Autore Topic: rivendicazioni femministe sempre più assurde  (Letto 821 volte)

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Offline ilmarmocchio

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rivendicazioni femministe sempre più assurde
« il: Febbraio 28, 2012, 17:41:18 pm »
Le femministe sono come i pirana : gli dai il dito e si mangiano il braccio

http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=34037


Scritto da Rosa Ursina   
lunedì 27 febbraio 2012

...
Donne incazzose che pretendono agevolazioni, premi, contributi, sgravi fiscali e assicurazioni maggiori rispetto agli uomini e che non solo vogliono vedere realizzato il sogno di una famiglia numerosa ed economicamente tranquilla a spese dell’azienda, ma che oltretutto esigono che tutto questo sia chiamato “parità dei diritti”.

Se ne incontrano tutti i giorni di femministe dittatoriali e lamentose: a lavoro, in piazza con movimenti come “Se non ora quando?”, in televisione, su internet. Dicono di “volere la metà di tutto” e alla fine reclamano oltre al dito anche il resto del braccio. E la scapola. E il polmone. E il cuore. E il collo.
Prodigano una difesa del gentil sesso a spada tratta, senza rendersi conto di sminuire loro stesse esigendo trattamenti di favore, neanche fossero minorate mentali.
Ultimamente è stato il caso delle impiegate della Fiat di Pomigliano a fornircene un esempio: hanno denunciato un trattamento discriminatorio nei confronti dei dipendenti che, assentatisi per maternità o paternità, non percepiranno il premio di produzione del 2012, non raggiungendo il tempo minimo di 870 ore di lavoro (dall’articolo non si capisce se annuale, mensile o plurimensile).
Parliamone.
Il premio di produzione dovrebbe essere un elemento integrativo della retribuzione di base, nato con finalità incentivanti per il dipendente, che dietro l’idea di un compenso aggiuntivo al salario già percepito, lavora con più solerzia; gli emolumenti premiali sono diventati di fatti, col tempo, compensi fissi a periodicità plurimensile. Ne esistono diversi tipi: da quelli elargiti ad un’intera categoria di reparto all’interno dell’azienda a quelli concessi a singoli dipendenti per il conseguimento di determinati risultati; da quelli calcolati sulla base del fatturato o dell’utile a quelli calcolati su base tecnica, come quantità o qualità della produzione effettuata.
Vi è un’ultima catalogazione dei premi di produzione che riguarda la continuità o eventualità della loro erogazione e che determina una differenza di trattamento su un piano giuridico. Usualmente si dice che il compenso premiale ha natura retributiva solo quando la sua corresponsione sia determinata da una certa continuità, costanza o frequenza in un arco di tempo. A quel punto, questo premio diventa parte integrante della retribuzione annuale del lavoratore.
E se non viene percepito c’è motivo di protesta.
Ma c’è stata, nel corso degli anni, un’ulteriore evoluzione dell’emolumento premiale: è ovvio che, consci di godere di determinate retribuzioni indipendentemente dall’effettivo conseguimento dei risultati lavorativi posti a condizione, i dipendenti spesso e volentieri si siano macchiati di assenteismo. In vista di questo rischio, le aziende hanno elaborato di recente ulteriori tipologie di incentivi che possono essere raggruppati in due grandi gruppi: il primo compete alla sfera di dominio del lavoratore stesso perché è generalmente legato a qualità e quantità di prodotto o risparmio sulla catena di produzione; il secondo, invece, dipende dalle scelte strategiche aziendali e non sono legati alla prestazione lavorativa in sé e per sé.
Ora, qualsiasi sia la categoria d’appartenenza di questo premio di produzione, esso deve essere erogato sulla base delle condizioni imposte nel contratto (qualora l’emolumento sia ormai parte integrante del salario minimo) o determinanti nel regolamento (qualora abbia mantenuto la sua natura integrativa).
Ergo: se le ore di lavoro sono effettivamente la condizione determinante della retribuzione premiale, qualora i dipendenti non abbiano rispettato questo impegno, il premio non deve essere erogato. E non importa che i lavoratori siano entrati in maternità o meno.
Anche perché se si dovesse erogare effettivamente la somma a prescindere dall’avvenuto adempimento delle condizioni necessarie, basterebbe entrare in maternità a ripetizione e godere comunque della retribuzione anche con sei mesi di assenza dal posto di lavoro.
Espediente cui, ahimé, già molte donne hanno fatto ricorso.

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Pregevolissimo articolo scritto da ... una donna.
I giornalisti maschi dormono... o strisciano zerbinando :doh: