@bshishma
Se valga la pena per la McElroy dirsi "femminista" è in effetto proprio una domanda che le ho fatto esplicitamente nell'intervista.
Mi pare che lo faccia sostanzialmente per due ragioni - la prima è sostanzialmente di marketing politico, nel senso che in Nordamerica si tratta di un'etichetta che "tira" sufficientemente perché possa valer la pena provare a contenderla.
La seconda è che la sua analisi si concentra sulla condizione della donna e sulle modalità attraverso le quali tale condizione può trarre beneficio da un arretramento, anziché da un rafforzamento dell'intervento statale.
@jorek
A mio modo di vedere in assenza di interventi impositivi da parte dello Stato, si confronteranno comunque visoni e sensibilità culturali diverse che vanno a modificare nel tempo la condizione dei due sessi.
Il fatto che si sia contrari, ad esempio, alle quote non significa negare che possano esistere in alcuni campi pregiudizi non necessariamente motivati nei confronti delle donne e che possa essere legittimo od utile un impegno culturale per superarli. Così come magari ci può essere che pensa che i pregiudizi non esistano o che ci sono siano giustificati e contrasterà questa posizione. Alla fine chi avrà più filo da tessere, tesserà.
E' lo stesso meccanismo per cui essere contrari all'"antirazzismo per legge" non significa che non si debba ritenere molto sgradevole che dei ristoranti espongano il cartello "qui non si accettano negri" e che non sia utile e giusto impegnarsi per cambiare le cose, ad esempio non frequentandoli e facendo loro cattiva pubblicità.
E' lo stesso meccanismo per cui noi, anche al di là della "politica" e delle leggi, ci impegniamo per superare i pregiudizi che esistono contro gli uomini (che gli uomini sono violenti, che sono meno "innocenti", che sono genitori peggiori), attraverso un lavoro di "educazione" ad un nostro concetto di parità e di pari dignità.