http://27esimaora.corriere.it/articolo/ninna-nanna-ninna-oh-questo-bimboa-chi-lo-do-i-luoghi-oscuri-del-materno/#more-4208Madri invidiose, possessive, depresse, narcisiste. Capaci di creare simbiosi asfissianti e ricatti affettivi, di innescare catene di colpe e risentimenti. Che uccidono senza uccidere. Predatrici di pudore, rispetto e innocenza. L’Ombra con cui fare i conti
Ninna nanna, ninna oh, questo bimbo
a chi lo do… I luoghi oscuri del materno
di Giuseppina Manin
Tags: cinema, famiglie, maternità, storie
Chi asciugava i pianti miei? Mamma buona era lei… Chi in cucina cucinava? Mamma cuoca canticchiava… Io la sera nel lettino, Mamma a nanna lì vicino….
Amorosa, premurosa, affettuosa. Mamma Tutto, come elencava una canzoncina da Zecchino d’oro di qualche anno fa. Ma di quel «tutto» la retorica di una maternità sacra e intangibile, rimuoveva il lato perturbante, là dove covano disagi, angosce, violenza. Se una donna poteva permettersi di essere fredda, apatica, persino malvagia, il passaggio nella categoria delle madri le garantiva automaticamente la remissione di ogni peccato e una patente di santità e virtù eterne. E se poi, per caso orrendo, qualcuna avesse osato incrinare quell’immagine di perfezione, l’appellativo giusto era bell’e pronto: madre snaturata.
Eppure sarebbe bastato prestar ascolto alle filastrocche e alle favole, quelle che ogni mamma recita ai suoi bambini, per rendersi conto che le cose non stavano proprio così. Mammine che cullavano i loro bebè con
Ninna nanna, ninna oh, questo bimbo a chi lo do, lo darò all’uomo nero, che lo tenga un mese intero…
potevano dare a pensare. Quanto alle fiabe, da Pollicino a Hansel e Gretel, da Biancaneve a Cenerentola, sembrano inventate per evocare situazioni da brivido: bambini abbandonati, seviziati e minacciati di morte proprio da chi più gli sta vicino…
«La grande astuzia della fiaba è di scindere la figura materna in due: la mamma buona, quasi sempre opportunamente morta, e quella cattiva, incarnata da una matrigna o da una strega», spiega Lella Ravasi-Bellocchio, psicanalista junghiana, autrice di numerosi testi sul rapporto madri-figli. L’ultimo titolo, L’amore è un’ombra (Mondadori, pp. 160, 17 euro) si spinge a indagare proprio in quei luoghi oscuri del materno che, assicura l’autrice, «sono tanto duri da attraversare». Luoghi estremi, popolati di mamme psicotiche, pronte a scannare i loro figli. Magari cancellando subito dopo ogni memoria, fingendo un incidente domestico, dandone la colpa a misteriose voci interiori…
Casi finora relegati nella cronaca nera e negli archivi psichiatrico-giudiziari. Cominciare a parlarne al di là di inutili demonizzazioni è un tentativo coraggioso di sollevare scomodi veli. Non a caso sullo stesso tema sono in uscita due film italiani, Maternity Blues di Fabrizio Cattani, nei cinema a fine aprile, e Baby Blues di Alina Marazzi, appena terminato.
Per inoltrarsi in questi insidiosi territori, il libro di Ravasi-Bellocchio si dimostra una guida preziosa. Attingendo alle testimonianze di colleghi che hanno avuto in cura alcune «sventurate», l’autrice le mette a confronto con l’agghiacciante archetipo di Medea. Con il sostegno della psicanalisi e il conforto di poesie di Sylvia Plath, Attilio Bertolucci, Christa Wolf, Montale e Lamarque, si ripercorrono così le favole nere di Gemma e di Rosa, di Teresa e Caterina, di Wanda, Liliana, Dolores…
Nomi fittizi per storie fin troppo vere. Ma l’indagine si spinge oltre, alle radici di un male segreto, molto più diffuso di quanto si pensi. «Tutte le mamme possono essere terribili», recita il sottotitolo del libro. Se i casi di violenza omicida sono per fortuna pochi, moltissimi risultano quelli di insidiosa violenza quotidiana. Madri invidiose, possessive, depresse, narcisiste. Capaci di creare simbiosi asfissianti e ricatti affettivi, di innescare catene di colpe e risentimenti. Che uccidono senza uccidere. Predatrici di pudore, rispetto e innocenza. L’Ombra con cui fare i conti.
«Le madri sono tramite di vita e di morte. Il conflitto è lì. Riconoscere la violenza del materno è un percorso aspro ma necessario per ogni figlio». Bisogna calarsi, come dice Goethe nel Faust, nell’abisso del Regno delle Madri.
«Le Madri non sono le mamme — precisa Ravasi-Bellocchio — ma la profondità inconscia del materno. La parte matrigna che trasforma il “son tutte belle le mamme del mondo” in qualcosa di misterioso e terribile. Ma anche liberatorio. La discesa nel pozzo della malinconia diventa così l’approdo alla consapevolezza e alla creatività».