Salve, mi ero già presentato tempo fa nel vecchio forum ma non avevo partecipato molto.
Rispetto a qualche mese fa mi sono formato qualche convincimento più solido, credo, anche se la mia partecipazione al dibattito è più dovuta alle sensazioni che provo nell'apprendere nuove informazioni su questo argomento piuttosto che da un mio personale riscontro empirico.
Non sono ancora certo di aver capito del tutto le implicazioni derivanti dal femminismo, devo pensare e conoscere di più, e forse anche questo sarà del tutto vano.
Mi è arrivato due giorni fa il libro:" Questa metà della terra", sono arrivato a poco più di un quarto del libro.
Stasera leggevo e, non lo so, cresceva dentro di me la rabbia, il risentimento. Un sentire vivido, mai riscontrato leggendo un libro di saggistica.
Forse perché mi riguarda e sono egoista, non saprei, comunque il problema è che si tratta di una rabbia che non so dove indirizzare.
Cioè, cerco di farvi capire cosa intendo dire.
Accetto la tesi dell'autore quando afferma che non si debba provare risentimento verso le donne in quanto non si può colpevolizzare un genere perché non può avere una sua coscienza ed inoltre perché le azioni sia del genere che delle donne che lo compongono sono inconsapevoli, esistono ma non derivano da una volontà avente come scopo quello di farle derivare. Almeno credo intendesse questo, comunque io la penso così oggi.
E poi se facessi questo alla fine non finirei per fare quello a cui mi oppongo?
Però rimane il fatto che la realtà esiste come esiste, indipendentemente dalle responsabilità, ed io sento quel che sento.
Quindi la rabbia derivante dalla particolare condizione in cui sono riusciti/riescono/riusciranno a collocare il maschile deve rimanere impotente in se stessa?
Può solo trasformarsi in qualcos'altro? Qualcos'altro che? E finché non ci sarà quel qualcos'altro o in tutti quei momenti in cui non vorrò/potrò agire in funzione di quel qualcos'altro che me ne faccio del rancore? Passerà da solo?
Finché non sapevo e mi limitavo a vivere davo per scontato certe dinamiche ed al massimo potevo essere indifferente, spaventato o mi credevo in difetto.
Ora, da un anno, mi pongo più domande e più passa il tempo più tento di capire, e più tento di capire più passo dalla confusione all'arrabbiatura.
Io ultimamente ho difficoltà, a volte, a relazionarmi con alcune opinioni diffuse tra le ragazze, nella vita come in luoghi net dichiaratamente rosa, nel controbattere ad esse, pur tentando di essere sempre ragionevole, non credo di riuscire a nascondere un certo fastidio.
Fastidio che però io per primo ritengo non giustificato razionalmente.
Mi dispiacerebbe far prendere il sopravvento all'emotività, o meglio mi dispiacerebbe rinunciare al confronto con elementi che comunque ritengo, in qualche dimensione (etica, intellettuale, ecc... ) meritevole del mio tempo e del mio interagire.
Vorrei domandarvi un'altra cosa, siete più esperti di me ed avete credo tutti una vita più lunga alle spalle:
Voi come avete fatto, se siete riusciti a farlo, ad andar oltre al rancore e alla rabbia?
E se poi questo rancore ponderato si consolida creandomi una sorta d'imperativo morale che mi costringe a non legarmi sentimentalmente più a delle donne?
Cioè, non ho nulla contro chi chiede il divorzio o verso chi fa scelte diverse, ma venendo da una famiglia che più tradizionale non si può quando vado oltre all'occasionale penso a lungo termine.
Come faccio a vivere con serenità imbarcandomi in una situazione del genere sapendo che
la sessualità potrebbe diventare un'arma puntata in bocca; il clima psicologico potrebbe degenerare non in funzione di mie mancanze affettive ma piuttosto per ragioni economiche, morali, o per vere e proprie discriminazioni di genere (accuse, commenti, pestaggi ideologici) alle quali dovrei per forza di cose rispondere; per quel che riguarda la paternità potrei non avere voce in capitolo; il mio dovere di contribuire all'educazione dei figli potrebbe esser messo in discussione; qualora mi sposassi lei potrebbe lasciarmi togliendomi figli, soldi ed ostacolandomi, di fatto, nel mio diritto di ricrearmi una vita, mi si potrebbe imputare ogni azione e il suo contrario e ciò comporterebbe che avessi mai la volontà di plasmare il mio comportamento per salvaguardare il mio futuro sarebbe comunque inutile ogni mia attuazione
e oltretutto non potrei nemmeno imputare tutto questo direttamente alla mia compagna perché il suo agire è la risultante di un condizionamento ambientale?
Come si fa a volersi consciamente cacciare in una situazione del genere? E oltre a questo, se per vari motivi ci si ritrova in mezzo, aldilà delle qualità della propria donna, poi come la si vive?
Grazie in anticipo a chi vorrà rispondere e, per il resto, sono contento di esser tornato da queste parti ...