http://www.leprotagoniste.org/il-femminismo-occidentale-russia-resta-un-lussoIl femminismo occidentale in Russia resta un lusso
Argomento: Interviste | Tipo di notizia: Nazionale | Autore: ANNA ZAFESOVA LA STAMPA
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Una bambina muta che cresce in una kommunalka, un appariamento in coabitazione, nella Leningrado degli Anni 60, divisa tra il mondo di sua
madre, un'operaia sfinita dalla fatica, e delle tre vicine che diventano le sue nonne adottive: tre «divinità del fato» che hanno perso tutti quelli che amavano nel tritacarne del 900, e cercano di salvare la piccola rimasta orfana dall'internamento in un istituto dal quale non uscirebbe più, ma anche di salvare la sua anima dallo squallore del mondo sovietico. Il romanzo di Elena Cizova Il tempo delle donne, appena pubblicato da Mondadori, ha vinto il premio Booker Russia nel 2009, non senza qualche strascico di polemica: una storia «da camera», narrata a più voci femminili, che nella sua mínuziosa descrizione della quotidianità diventa una denuncia violenta del sistema sovietico. Per la cinquantasettenne Elena Cizova è anche un tributo alla memoria: «Ricordo i racconti della mia bisnonna, e mia madre e la nonna che parlavano dell'assedio dei tedeschi, dei fratelli che erano morti di fame, di tutto l'orrore, senza nascondere nulla». Perché nel romanzo, fin dal titolo, si sentono solo voci di donne? La storia russa è una storia al femminile?
«Decenni di guerre e repressioni hanno ucciso soprattutto gli uomini, a milioni. È per questo che tuttora esiste il personaggio della babushka, la nonna, ma non il suo corrispettivo maschile: sono tutte donne sole, alle quali il 900 ha portato via mariti, figli, nipoti, tutto. La nostra è in un certo senso una civiltà di donne».
La vita sovietica è descritta con una crudezza che coinvolge tutti i cinque sensi: la puzza delle cucine in coabitazione, il freddo, la fame, la fatica sentita sulla pelle. Voleva sfidare quelli che negli ultimi anni raccontano il passato sovietico come un idillio?
«Il passato idilliaco è un quadro totalmente falso, ma se si fosse trattato di una bugia raccontata intenzionalmente sarebbe semplice da smentire. Il problema è che i miei concittadini sono i figli dei sopravvissuti, di chi se non è stato un aguzzino del regime ha vissuto comunque per salvare se stesso. Come quei contadini tedeschi che abitavano a pochi chilometri da Buchenwald e non si chiedevano cosa fosse quel fumo che si levava dalle ciminiere del Lager. Gli altri sono morti, non hanno lasciato figli, non hanno avuto voce. Ho voluto parlare anche per loro».
La sua denuncia non passa dalla politica, ma dalla descrizione di una quotidianità squallida e disumana, a cui si oppongono le tre vecchie che ricordano ancora un passato senza comunisti. Sappiamo oggi quante persone sono state uccise o imprigionate dal regime. Quante sono state mutilate senza che alcuna statistica lo registrasse?
«Il sistema non era un'entità astratta, i suoi tentacoli arrivavano fino all'ultimo bambino vittima dei bulli all'asilo, all'operaio vessato dal caporeparto, allo studente preso di mira da un professore dogmatico. La politica e la vita privata non potevano essere separate. E il danno alle anime è stato assoluto. Il sistema ha prodotto una maggioranza
che viveva senza nemmeno riuscire a formulare delle domande da porsi. Quando facevano i delatori non si chiedevano se fosse un bene o un male, era lo Stato il detentore della morale».
È una vecchia teoria che la Russia è sempre tenuta in piedi dalle donne.
Valeva la pena?
«Le donne non hanno scelta. Non stanno salvando il Paese, ma i figli, i mariti, quelli che amano, tirano avanti questo carro fino a morire di fatica. E lo Stato ne ha approfittato. Voleva entrare nel paradiso comunista sulle spalle delle donne. Ma non ci è riuscito».
La sua eroina Antonina ha tutto quello per cui le sue sorelle in Occidente negli Anni 60 ancora lottavano: il diritto al lavoro, all'aborto, l'indipendenza dagli uomini. Ma vive questa situazione non come una conquista, bensì come un fardello. II femminismo non è per le russe?
«Da noi erano tutti schiavi dello Stato, uomini e donne. Le russe non dovevano lottare contro gli uomini che le schiavizzavano, ma con gli uomini contro il regime, come hanno fatto le dissidenti. Il femminismo all'occidentale per noi resta un lusso».
Anche oggi?
«Pensi a quante Antonine ci sono oggi, ragazze abbandonate a se stesse, senza nemmeno quelle poche garanzie che il socialismo offriva. Come diceva mia nonna dei bolscevichi: ruberanno tutto quel che è rimasto dagli zar e spariranno. Oggi è la stessa cosa: rubano il petrolio e il gas, finite le risorse spariranno».
E dopo? Sta crescendo una nuova generazione per la quale i suoi racconti suonano come fiabe. Una tv russa ha definito il suo un «romanzo storico»...
«Non provo nessun ottimismo. Penso che il Paese andrà a pezzi. Si possono fare riforme, dare più o meno democrazia, ma se le anime della gente sono anime di schiavi non ci sono speranze».
Pérché in Russia non è nata una letteratura contemporanea, e la ricerca del passato continua a essere ossessiva?
«Io ho completato adesso un romanzo che comincia negli Anni 90 e poi prosegue a flashback. Il problema è che in Russia un'epoca nuova non è mai iniziata. Il sistema sovietico ha prodotto delle metastasi, continuiamo a ripetere sempre gli stessi errori. Abbiamo avuto un brevissimo periodo di liberta all'inizio degli Anni 90, ma questi germogli sono stati calpestati. Gli orribili dranfrni del 900 sono rimasti dentro di noi, non siamo cambiati. Perché dovrei rispettare le leggi se la mia memoria genetica mi suggerisce che le leggi sono un capestro inventato dal regime per incastrarmi? Partire dal 1991, dall'anno zero, e far finta che prima non ci sia stato nulla è impossibile».