Autore Topic: una femminista antifemminista ?  (Letto 1295 volte)

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Offline ilmarmocchio

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una femminista antifemminista ?
« il: Aprile 21, 2012, 17:44:51 pm »
Marcela Iacub

femminista nemica delle femministe

PARLA DI MORALE SESSO E TABU'

 

 

Libro di riferimento: Antimanuale di educazione sessuale (non ancora in edizione italiana)

di Maria Grazia Meda
 

Per le femministe radicali è il nemico; per i moralisti il diavolo. Per tutti gli altri anche solo un po' curiosi delle faccende del mondo, è una delle più interessanti intellettuali della nuova generazione. Stiamo parlando di Marcela Iacub, argentina che vive e lavora in Francia, specialista di diritto. Più precisamente di giurisprudenza del corpo, ovvero delle leggi che regolano la nostra relazione con il corpo, e che rivelano le evoluzioni di una società che le vota. Insieme al marito, il filosofo Patrice Maniglier, ha scritto un libro appena uscito in Francia: Antimanuale di educazione sessuale. Il contenuto è già esplicito nel titolo: non ci sono informazioni sulle mille tecniche copulatorie e ancor meno direttive per localizzare una volta per tutte il mitico G-spot. L'antimanuale, appunto, non è un manuale, ma un'analisi storica/pedagogica - senza dubbio provocatoria - della questione sessuale nella nostra società. Con un doppio approccio, giuridico e filosofico. Con una scrittura fluida e un tono spigliato Iacub e Maniglier ci dimostrano che la liberazione sessuale non c'è stata. O meglio: è servita a cambiare alcune regole del gioco, a sdoganare alcune pratiche ma a contrabbandarne altre, a costruire insomma una nuova morale al cui centro rimane sempre una volontà normativa e penalizzante delle pratiche sessuali. In questo senso la rivoluzione sessuale ha fallito nel suo principale obiettivo: quello di desacralizzare il sesso. Anzi, oggi più che mai intellettuali e politici moralisti così come vari gruppi femministi fanno pressione per creare leggi che circoscrivano e "proteggano" i comportamenti sessuali, che dettino insomma la morale, rivestendo così l'eros di un valore strutturante della società. Siamo andati a trovare la coppia nel suo bell'appartamento parigino tappezzato di libri. Lily, un pappagallo youyou del Senegal, è appollaiato sulla spalla di lei; il verde brillante delle sue piume mette ancora più in risalto i magnifici occhi di Marcela. Tra tazze di caffè e tante sigarette abbiamo parlato dell'antimanuale e scelto alcune parole chiave. Un breve dizionario della cultura sessuale contemporanea, con i suoi paradossi, le sue ipocrisie, il peso sempre più forte di uno Stato che attraverso le leggi vuole occuparsi non solo del benessere materiale dei cittadini ma anche di quello psichico, quindi anche sessuale. Il paradosso della libertà Se avessimo davvero liberato la sessualità non saremmo qui a parlarne, o meglio ne parleremmo come una semplice fonte di piacere al pari della buona cucina, o di un buon concerto. E invece accade proprio il contrario: una società sempre più moralista spinge il legislatore a pensare delle leggi tagliate su misura per inquadrare e reprimere la sessualità. Il paradosso della liberazione sessuale è appunto di aver parlato in termini di liberazione senza però desacralizzare ciò che stavamo liberando; il sesso non è stato liberato dai pregiudizi che lo incatenano alla vergogna, al segreto, alla devianza, all'immoralità. Insomma, la sessualità è rimasta un territorio particolare, a parte, trattata come qualcosa di misterioso e sacro e percepita troppo spesso in modo negativo e colpevolizzante. Sempre più spesso il sesso è associato alla violenza, si vuole promuovere un'educazione sessuale sempre più precoce essenzialmente per proteggere i bambini da un eventuale pedofilo, nello spazio lavorativo si vive nel terrore di essere accusati di molestie sessuali, si vuole proibire la pornografia con la scusa che "fabbrica" gli stupratori. Insomma la promessa di una sessualità libera e gioiosa è oggi una minaccia: dove sta la liberazione? Commercio o dono? Fare sesso è davvero la massima espressione dell'amore puro e disinteressato? Forse nelle favole. Sappiamo tutti che l'atto sessuale implica sempre una forma di scambio. Con il sesso si contrabbandano i sentimenti, una posizione sociale, dei favori, il benessere economico, il desiderio; ma ipocritamente questo aspetto "commerciale" è rimosso. Puritani repressivi e romantici naïf - con motivazioni diametralmente opposte - vorrebbero imporci una società dove l'atto sessuale ha valore di dono. E non un dono qualsiasi, ma il dono di sé. A pensarci dà le vertigini: un gioioso incrocio di corpi trasformato in atto sacro. Non ci sono statistiche in merito, ma è legittimo chiedersi se la tragica confusione tra amore e desiderio non sia responsabile del divorzio di così tante coppie. Il grande vizio Cosa è che ci disturba nella prostituzione? La prova inconfutabile che il sesso non è sacro; che può essere vissuto come una qualsiasi attività commerciale. La prostituta, quindi, è un elemento sommamente eversivo all'interno del nostro sistema moralista e ipocrita. In questa logica la prostituta è dipinta in modo manicheo: o è la madre dei vizi (in quanto donna che commette atti degradanti in cambio di soldi) o è la vittima per eccellenza della dominazione maschile (sfruttata dall'uomo abietto che l'avvilisce per il proprio piacere). In entrambi i casi va "salvata": dal proprio vizio o dal vizio altrui. Ma cosa salviamo con la prostituta? L'idea che l'atto sessuale sia un atto speciale, singolare. Che salvaguardando la dignità della donna, la donna procreatrice, per estensione salvaguardiamo la vita. Se non fossimo condizionati sarebbe facile dimostrare che la vendita di un atto sessuale è paragonabile ad altre attività fisiche o intellettuali, e si potrebbe accettare che - come in ogni altra attività commerciale - ci sia una forma di controllo e di tutela: si puniscono gli sfruttatori, ma si lascia la libertà individuale di fare il proprio mestiere. Invece mettiamo tutte le forme di prostituzione nello stesso sacco, e assimiliamo la prostituzione (una prestazione di servizi) al traffico d'organi (offesa all'integrità fisica). Psiche e amore Qui entriamo in un campo minato: oggi nei tribunali la nozione di sessualità è assimilata a quella di psiche; parliamo di integrità sessuale dandole un valore di integrità psicologica. Ma perché la violenza a carattere sessuale dovrebbe essere trattata diversamente dalle altre forme di violenza? Perché abbiamo fatto entrare nei tribunali l'eccezione sessuale? Per mascherare la posizione moralista e normativa della società nei confronti del sesso. La sessualità non può essere banalizzata: la sfera sessuale deve restare qualcosa a parte, attinente alla psiche; va trattata come qualcosa di oscuro e insondabile e quindi va valutata con strumenti altrettanto oscuri e insondabili. Ecco perché per le vittime di crimini sessuali non si parla di danno materiale ma di danno psicologico. Oggi gli esperti in un processo non devono più verificare i dati obiettivi ma le tracce del trauma psichico, non quantificabile per definizione. Ma la psicologia non è una scienza esatta: il rapporto con la verità è quindi falsato da criteri aleatori e non verificabili. Questo implica una deriva pericolosa nella maniera di concepire il diritto: la distanza sempre più grande tra la legge e l'approccio psicologico della valutazione delle pene. In questo senso la sessualità è diventata una sorta di laboratorio della "psicopolitica", ha insomma aperto la porta dei tribunali alla psicologia. Emerge così uno dei rischi inerenti alla modernità, quello di uno Stato che vuole mostrarsi attento e garante della specificità di ogni individuo. Uno Stato autoritario, che scava nelle coscienze, che definisce - per poi garantirla - quale sia la felicità, e la sessualità, degli individui. Tutto è relativo Ricordate un famoso caso statunitense della babysitter latino americana arrestata per pedofilia? La ragazza - originaria del Nicaragua - era stata sorpresa a baciare gli organi genitali del bebè che stava accudendo. È solo in tribunale che si è potuto appurare che nella cultura di alcuni Paesi dell'America Latina è una pratica banale: si baciano i bebè su tutte le parti del corpo, senza alcuna connotazione sessuale. Ma senza andare a cercare pratiche culturali ancestrali e lontane, guardiamoci intorno qui, nelle nostre città: quante famiglie dei ceti più poveri vivono in due stanze? Quanti genitori fanno l'amore mentre i bambini dormono a pochi centimetri dal loro letto? Dovremmo metterli tutti in prigione con l'accusa di pornografia e corruzione di minore? Dove finisce la giusta preoccupazione di salvaguardare l'incolumità della persona e dove comincia la censura e la sessuofobia? Un posto per l'anima La questione è annosa e tuttora irrisolta: dove sta l'anima di un essere umano? In quale parte del corpo è localizzabile la sua identità? Leonardo Da Vinci, il quale come tanti si è posto la domanda, ha concluso che l'identità di un essere umano non poteva risiedere nella sua volontà. A sostegno della sua tesi il fatto che la volontà non bastava a procurare un'erezione. La questione era già nota ai padri della chiesa: quando Adamo fu scacciato dal Paradiso perse - tra gli altri privilegi - quello di avere erezioni a volontà. Quindi per i filosofi classici se il sesso non è il luogo della volontà non può essere il luogo dell'anima, perché l'anima è volontarista. Nella nostra società postmoderna pensiamo che l'identità di un essere, la sua anima, si riveli nella sua fragilità: siamo una società post-eroica. E cos'altro può meglio riassumere la fragilità di un uomo se non il suo sesso, che non funziona a comando? è chiaro che se accettiamo che la verità soggettiva è nel nostro sesso è estremamente difficile banalizzare la sessualità. Rischio e peccato Perché il preservativo non è diventato il migliore amico dell'uomo e della donna? Perché diamo troppa importanza all'atto sessuale: gli diamo un valore che va ben oltre il semplice atto di piacere. Dando all'atto sessuale un valore sacro il preservativo non può che veicolare dei valori negativi quali la promiscuità, la malattia, e l'idea di morte. Per estensione ecco perché in una coppia eterosessuale l'uso del preservativo simboleggia la sfiducia: alcune indagini condotte negli Usa hanno rivelato che le donne chiedono al partner di non usare un preservativo per fargli capire che vogliono entrare in una relazione stabile e monogama. Sdrammatizzando la sessualità - svincolandola dalle nozioni di amore, fedeltà, dono di sé - si può partecipare, tra le altre cose, più attivamente alla prevenzione dell'Aids, perché il gesto di usare un preservativo corrisponderebbe a un atto banale. Il rapporto con il preservativo nella nostra società è rivelatore dell'eccezione sessuale: con l'uso o meno del preservativo affermiamo che la morale sessuale è più importante della vita. Genitori e basta Siamo certi che il figlio di Saddam Hussein sia più felice del figlio di Oscar Wilde? Insomma, che un bambino possa crescere "bene" solo con dei genitori eterosessuali? Oggi le coppie omosessuali rappresentano un pericolo perché minano le fondamenta del sistema riproduttivo della società. Il diritto dovrebbe andare oltre la distinzione dei sessi: dovrebbe cancellare la differenza sessuale e dare un ruolo neutro ai genitori. Questa posizione neutrale permetterebbe che la filiazione si fondasse su un progetto e non su un atto biologico. Saremo in grado di uscire dall'eccezione sessuale e di andare verso una genitorialità neutra? È probabilmente ineluttabile, a condizione che le donne entrino sempre di più nel mondo del lavoro e non costruiscano la loro identità esclusivamente sulla maternità. Diritto al piacere Da un punto di vista giuridico la sessualità è tollerata ma non è un diritto positivo, così come lo sono, ad esempio, l'istruzione, la proprietà, il voto. Con la costruzione dell'Unione europea si porrà il problema di armonizzare le leggi anche in materia sessuale. Verso quale modello? Oggi in Spagna le coppie gay possono sposarsi. Ma è in Olanda che assistiamo all'elaborazione di leggi interessanti: nel caso di genitori troppo repressivi, i giovani possono chiedere a un giudice di garantire il loro diritto a fare sesso a prescindere dal permesso di mamma e papà. Su un altro fronte, il diritto olandese considera che gli handicappati hanno diritto ad avere una attività sessuale, così oggi lo Stato finanzia un programma di incontri fra disabili e prostitute. Post sessualità Niente paura: la post sessualità non è la fine del sesso. Significa semplicemente uscire dall'eccezione sessuale. Uscire dai pregiudizi e dalla morale dominante. Smetterla insomma di lasciare allo Stato e ai tribunali il compito di definire cosa sia sessuale o meno, argomento tanto vasto quanto indefinibile e variabile nel tempo. Nel mondo post sessuale la legge non ci costringerebbe a rispettare una certa idea della virtù ma definirebbe un quadro nel quale ciascuno può vivere liberamente la propria sessualità a prescindere da giudizi di valore. Fare sesso per amore, per soldi o per sport; restare fedele o cambiare partner tutti i giorni, praticare solo la sodomia o masturbarsi guardando un film porno, poco importa: tutte queste attività devono essere subordinate a una sola regola, il consenso dei partner. Perché è proprio con il consenso che l'individuo manifesta la propria morale in materia sessuale. Sono i partner a definire le regole del gioco sessuale e non lo Stato, il quale si limiterebbe a garantire la libertà di vivere secondo la propria morale e a punire i crimini senza volere definire il "bene" sessuale di tutti. Fa' come vuoi Pensate che tutte le pratiche sessuali si equivalgono? Errore. Ecco qualche esempio particolarmente istruttivo: è legale andare a letto con una ragazza di 16 anni, ma se le fai delle fotografie in pose "sospette" commetti un crimine. Puoi sperimentare tutte le posizioni del kamasutra con un sedicenne, ma se lo fai davanti a uno specchio rischi un'accusa di corruzione perché stai mostrando un'immagine pornografica a un minorenne. E soprattutto non pensare di invitare la tua fidanzata diciassettenne a un'orgia: un giudice sessualmente corretto potrebbe schiaffarti in prigione e buttare via la chiave a richiesta delle leghe antipornografia. Cosa ci dicono queste leggi? La chiara volontà di promuovere una sessualità "buona" in opposizione a una sessualità deviante, corruttrice. Ancora una volta attraverso le leggi in vigore vediamo la diffidenza della società nei confronti della sfera sessuale considerata un territorio pericoloso, negativo, riprovevole. Ma soprattutto queste leggi rivelano la volontà moralista dello Stato che ti dice: puoi fare sesso ma solo alle condizioni che considero buone per te. Ossessionati dai pedofili La sessualità attuale è legittimata dal consenso, ovvero consideriamo un atto sessuale accettabile, "buono", quando le due parti acconsentono liberamente. Al contrario, quindi, là dove la sessualità non può essere consensuale, in particolare parliamo di stupro e pedofilia, l'orrore della sessualità emerge in tutta la sua forza. Un bambino molestato, una donna stuprata, non essendo consenzienti simboleggiano nella violenza subita tutto l'orrore inerente alla sessualità. Senza ovviamente minimizzare il fenomeno, è chiaro che in questa costruzione emerge una concezione pre-freudiana dell'eros dove i piccoli sono sempre angeli asessuati. E quindi se il bambino ha un qualsiasi gesto o comportamento che può essere interpretabile come un gesto sessuale, si pensa immediatamente che sia stato molestato da un adulto. L'osservatorio francese dell'infanzia ha recentemente segnalato che l'attuale ossessione per la pedofilia ha occultato il terribile problema dei maltrattamenti che a volte sfociano in omicidi di bambini. Bisogna sdrammatizzare ma in senso positivo: se un bambino dà segni di malessere o se si inventa violenze che non ci sono c'è comunque un problema da risolvere. Il punto non è di focalizzare sulla sessualità, ma in generale sul benessere del bambino. La violenza verso un bambino è il vero problema, in ogni sua manifestazione.

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Re: una femminista antifemminista ?
« Risposta #1 il: Aprile 21, 2012, 18:05:07 pm »
Marmocchio  :muro:

non potresti evidenziare le frasi importanti così non dobbiamo passare 10' a leggere banalità?
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Re: una femminista antifemminista ?
« Risposta #2 il: Aprile 21, 2012, 18:08:27 pm »
http://www.ilfoglio.it/soloqui/13119

qui un altro articolo, recente, e il libro, che mi parrebbe interessante

Offline ilmarmocchio

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Re: una femminista antifemminista ?
« Risposta #3 il: Aprile 21, 2012, 18:10:56 pm »
Marmocchio  :muro:

non potresti evidenziare le frasi importanti così non dobbiamo passare 10' a leggere banalità?

.azzo, non mi sembrava così lungo, letto nell'originale.
lasciate pure perdere questo e date un'occhiata al link del " foglio " . per noi niente di nuovo, però almeno ora certe tematiche vengono fuori

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Re: una femminista antifemminista ?
« Risposta #4 il: Aprile 21, 2012, 18:31:42 pm »
http://www.ilfoglio.it/soloqui/13119

qui un altro articolo, recente, e il libro, che mi parrebbe interessante

Marmocchio  :crybaby:

ma tu quanto tempo hai da dedicare alla lettura?

io pochissimo, per cui se quando leggi metti in evidenza i passaggi salienti, fai un servizio reale, non solo un linkaggio  :ohmy:
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Re: una femminista antifemminista ?
« Risposta #5 il: Aprile 21, 2012, 19:16:34 pm »
Mah, sono d'accordo con Cosmos. Manco a me va di leggermi tutto sto "papiello".

Offline ilmarmocchio

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Re: una femminista antifemminista ?
« Risposta #6 il: Aprile 21, 2012, 20:24:55 pm »
Il primo papello è effettivamente troppo lungo, il secondo invece è un articolo  ella sua classica lunghezza.
vediamo di estrapolare i pezzi importanti del primo :


la liberazione sessuale non c'è stata.

oggi più che mai intellettuali e politici moralisti così come vari gruppi femministi fanno pressione per creare leggi che circoscrivano e "proteggano" i comportamenti sessuali, che dettino insomma la morale,

il peso sempre più forte di uno Stato che attraverso le leggi vuole occuparsi non solo del benessere materiale dei cittadini ma anche di quello psichico, quindi anche sessuale. Il paradosso della libertà

Sempre più spesso il sesso è associato alla violenza, si vuole promuovere un'educazione sessuale sempre più precoce essenzialmente per proteggere i bambini da un eventuale pedofilo, nello spazio lavorativo si vive nel terrore di essere accusati di molestie sessuali, si vuole proibire la pornografia con la scusa che "fabbrica" gli stupratori. Insomma la promessa di una sessualità libera e gioiosa è oggi una minaccia: dove sta la liberazione? Commercio o dono?

vorrebbero imporci una società dove l'atto sessuale ha valore di dono.

In questa logica la prostituta è dipinta in modo manicheo: o è la madre dei vizi (in quanto donna che commette atti degradanti in cambio di soldi) o è la vittima per eccellenza della dominazione maschile (sfruttata dall'uomo abietto che l'avvilisce per il proprio piacere). In entrambi i casi va "salvata": dal proprio vizio o dal vizio altrui. Ma cosa salviamo con la prostituta? L'idea che l'atto sessuale sia un atto speciale, singolare. Che salvaguardando la dignità della donna, la donna procreatrice, per estensione salvaguardiamo la vita. Se non fossimo condizionati sarebbe facile dimostrare che la vendita di un atto sessuale è paragonabile ad altre attività fisiche o intellettuali, e si potrebbe accettare che - come in ogni altra attività commerciale - ci sia una forma di controllo e di tutela: si puniscono gli sfruttatori, ma si lascia la libertà individuale di fare il proprio mestiere. Invece mettiamo tutte le forme di prostituzione nello stesso sacco, e assimiliamo la prostituzione (una prestazione di servizi) al traffico d'organi (offesa all'integrità fisica). Psiche e amore Qui entriamo in un campo minato: oggi nei tribunali la nozione di sessualità è assimilata a quella di psiche; parliamo di integrità sessuale dandole un valore di integrità psicologica. Ma perché la violenza a carattere sessuale dovrebbe essere trattata diversamente dalle altre forme di violenza? Perché abbiamo fatto entrare nei tribunali l'eccezione sessuale? Per mascherare la posizione moralista e normativa della società nei confronti del sesso. La sessualità non può essere banalizzata: la sfera sessuale deve restare qualcosa a parte, attinente alla psiche; va trattata come qualcosa di oscuro e insondabile e quindi va valutata con strumenti altrettanto oscuri e insondabili. Ecco perché per le vittime di crimini sessuali non si parla di danno materiale ma di danno psicologico. Oggi gli esperti in un processo non devono più verificare i dati obiettivi ma le tracce del trauma psichico, non quantificabile per definizione. Ma la psicologia non è una scienza esatta: il rapporto con la verità è quindi falsato da criteri aleatori e non verificabili. Questo implica una deriva pericolosa nella maniera di concepire il diritto: la distanza sempre più grande tra la legge e l'approccio psicologico della valutazione delle pene. In questo senso la sessualità è diventata una sorta di laboratorio della "psicopolitica", ha insomma aperto la porta dei tribunali alla psicologia. Emerge così uno dei rischi inerenti alla modernità, quello di uno Stato che vuole mostrarsi attento e garante della specificità di ogni individuo. Uno Stato autoritario, che scava nelle coscienze, che definisce - per poi garantirla - quale sia la felicità, e la sessualità, degli individui.

C'è anche dell'altro, ma direi che questo basta.  per noi nulla di nuovo, ma non per il " mondo esterno ".


per l'articolo su DSK :

Le femministe francesi, e al loro traino una buona parte dei mezzi d’informazione, sposarono questo schema narrativo, sbarazzandosi senza troppi scrupoli dell’antico principio della presunzione d’innocenza, anzi insinuando il sospetto che chi vi si appellava facesse il gioco di una giustizia sessista e classista. Alla presunzione d’innocenza, dicevano tutt’al più – con un pericoloso paralogismo che inverte l’onere della prova – deve fare da contrappeso “la presunzione della sincerità della denunciante”. Il plot era così potente che quando emersero le gravi contraddizioni nel racconto della donna e il procuratore decise per il non luogo a procedere, una strana delusione s’impadronì degli animi che più si erano riscaldati. Si parlò di un finale mancato, osserva Iacub, “come se, invece di ammettere che non gradivano il finale, preferissero dire che ne mancava uno”. Prodigi dell’epos mediatico-giudiziario: quando una storia è così perfetta che sembra creata apposta per offrire l’illustrazione e la dimostrazione di una teoria, distaccarsene è sempre un po’ doloroso.
Con una limpidezza argomentativa tutta cartesiana e una prosa che preferisce, per così dire, il secco all’umido, Marcela Iacub esamina gli usi ideologici che del caso Strauss-Kahn ha fatto il femminismo radicale francese. Lo scopo: proporre una nuova logica ispiratrice della legislazione sullo stupro, volta a farne un “reato sessista”, un’espressione dei rapporti di forza vigenti nella società e non già un attentato, tra le altre cose, all’autodeterminazione e alla libertà sessuale. Se la liberazione sessuale degli anni Settanta aveva celebrato tutte le forme della vita erotica purché fossero consensuali, questo nuovo femminismo cavilla quanto più possibile proprio sulla questione del consenso. Al punto di dire – come nel caso di Strauss-Kahn – che la soggezione suscitata da un uomo potente svuota l’eventuale consenso del suo contenuto di libertà, equiparando di fatto un rapporto sessuale a uno stupro; al punto di credere che una donna che accusa un uomo di stupro non possa, in fin dei conti, mentire quasi mai, e che le sue eventuali menzogne siano anch’esse un prodotto del trauma patito; al punto di ammettere che una donna, riscossa d’improvviso dalla sua soggezione psichica, possa ridefinire retrospettivamente un atto consensuale come stupro, e pretendere che ne seguano le vie legali; al punto, infine, di insinuare che esistano pratiche erotiche e perfino posizioni amatorie “oggettivamente” violente e sessiste, consensuali o meno che siano – quasi una variante dei vecchi manuali dei confessori.


Il verdetto di Marcela Iacub sulle trappole ideologiche di queste “scuole del risentimento” è impeccabile: “Ciò che il femminismo radicale cerca è che il disgusto, la colpa, il disprezzo del sesso, lungi dallo sparire, ricadano sulle spalle degli uomini, come un tempo su quelle delle donne. (…) L’importante è che ci siano figure che incarnino l’orrore del sesso e ne paghino le conseguenze, affinché questa attività sia sempre qualcosa di eccezionale, di pericoloso, di sporco e di difficile. La teoria del dominio sessista è, come lo sono state in passato le buone maniere e la morale bigotta, la giustificazione ‘razionale’ della sopravvivenza di questo orrore”. Le teorie di questo femminismo – di cui si ha l’impressione qua e là che l’autrice sovrastimi l’influenza pubblica – sono qualificate con tre aggettivi: “irrazionali, paranoiche, liberticide”

E' un femminismo sottilmente clericale, perché si serve del vecchio trucco apologetico secondo cui l’unica libertà è l’adeguazione della coscienza al vero Bene, teologicamente o ideologicamente prescritto, e ogni altra espressione libera è illusoria, è la maschera di una schiavitù così interiorizzata da non essere percepita come tale (in altri termini: il femminismo radicale e moralista pretende di sapere che cosa realmente desiderano le donne meglio delle donne stesse). Ed è infine un femminismo dal volto inquisitorio, perché si allinea a quella sciagurata inversione degli ultimi due decenni in forza della quale i libertari invocano, a sostegno delle loro rivoluzioni, il braccio secolare dei giudici e dei gendarmi, i loro arcinemici di sempre.

Se al lettore fischiano le orecchie, è con buona ragione: proprio come il pamphlet di Soulez Larivière sul circo mediatico-giudiziario, il libro di Marcela Iacub parla dell’Italia almeno quanto parla della Francia. Certo, l’affaire DSK ha poco in comune con i nostri scandali sessuali, la giustizia americana un bel niente con quella italiana, e oltretutto il femminismo francese è assai diverso da quello che occupa la scena nel nostro paese. Ma la triade di moralismo, ideologia e manette, e i numeri mirabolanti che mette in scena sotto il tendone del circo mediatico-giudiziario, sono tuttora un grande pericolo da cui stare in guardia.

Il testo che pubblichiamo è la prefazione di Guido Vitiello al saggio di Marcela Iacub “Una società di stupratori?”, edito da Medusa, in questi giorni in libreria.


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sui nostri media, a parte Massimo Fini, non mi pare di aver letto  o ascoltato idee simili

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Re: una femminista antifemminista ?
« Risposta #7 il: Aprile 22, 2012, 12:58:12 pm »
riprovo io  :P



Citazione
La società dello stupro
DSK: come il circo mediatico-giudiziario ha alimentato un femminismo punitivo e molto illiberale

...
Marcela Iacub, giurista e ricercatrice di origini argentine, femminista libertaria nemica del femminismo moralista, nota nel dibattito francese per le sue posizioni in difesa della prostituzione e della pornografia, ricostruisce in queste pagine gli aspetti ideologici del circo mediatico-giudiziario scatenato dall’affaire DSK. La sua controinchiesta non ha l’ambizione di stabilire che cosa è accaduto nella suite del Sofitel (su questo aspetto, da garantista, si attiene alle procedure di accertamento della verità giudiziaria) ma vuol portare alla luce le implicazioni politiche e ideologiche dei discorsi intessuti intorno alla vicenda.

...

La prima ricostruzione della vicenda della suite 2806 del Sofitel di Manhattan, d’altro canto, sembrava fatta apposta per adattarsi allo stampo di una grande narrazione allegorica,
...
 La prima, la cui presenza ostinata è rimasta spesso sottotraccia (Iacub quasi non ne parla), era d’intonazione decisamente anticapitalistica e terzomondista: uno dei padroni del mondo, il direttore del Fondo monetario internazionale, bianco e ricco, appartenente alla casta dei dominatori, fa i suoi comodi con una donna umile, nera e immigrata,
...
E poi la seconda grande narrazione, egemonica sui media francesi a sentire Iacub, la narrazione del femminismo radicale: il maschio affermato e potente, vertice della piramide del patriarcato – quasi un Urvater freudiano – che abusa nella certezza dell’impunità di una donna indifesa e socialmente subordinata, manifestando la sua supremazia nella forma esemplare dello stupro. A dargli man forte, una legislazione sessista, una giustizia sessista e una stampa sessista.
...

Le femministe francesi, e al loro traino una buona parte dei mezzi d’informazione, sposarono questo schema narrativo, sbarazzandosi senza troppi scrupoli dell’antico principio della presunzione d’innocenza, anzi insinuando il sospetto che chi vi si appellava facesse il gioco di una giustizia sessista e classista. Alla presunzione d’innocenza, dicevano tutt’al più – con un pericoloso paralogismo che inverte l’onere della prova – deve fare da contrappeso “la presunzione della sincerità della denunciante”. Il plot era così potente che quando emersero le gravi contraddizioni nel racconto della donna e il procuratore decise per il non luogo a procedere, una strana delusione s’impadronì degli animi che più si erano riscaldati. Si parlò di un finale mancato, osserva Iacub, “come se, invece di ammettere che non gradivano il finale, preferissero dire che ne mancava uno”. Prodigi dell’epos mediatico-giudiziario: quando una storia è così perfetta che sembra creata apposta per offrire l’illustrazione e la dimostrazione di una teoria, distaccarsene è sempre un po’ doloroso.
Con una limpidezza argomentativa tutta cartesiana e una prosa che preferisce, per così dire, il secco all’umido, Marcela Iacub esamina gli usi ideologici che del caso Strauss-Kahn ha fatto il femminismo radicale francese. Lo scopo: proporre una nuova logica ispiratrice della legislazione sullo stupro, volta a farne un “reato sessista”, un’espressione dei rapporti di forza vigenti nella società e non già un attentato, tra le altre cose, all’autodeterminazione e alla libertà sessuale. Se la liberazione sessuale degli anni Settanta aveva celebrato tutte le forme della vita erotica purché fossero consensuali, questo nuovo femminismo cavilla quanto più possibile proprio sulla questione del consenso. Al punto di dire – come nel caso di Strauss-Kahn – che la soggezione suscitata da un uomo potente svuota l’eventuale consenso del suo contenuto di libertà, equiparando di fatto un rapporto sessuale a uno stupro; al punto di credere che una donna che accusa un uomo di stupro non possa, in fin dei conti, mentire quasi mai, e che le sue eventuali menzogne siano anch’esse un prodotto del trauma patito;
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Il verdetto di Marcela Iacub sulle trappole ideologiche di queste “scuole del risentimento” è impeccabile: “Ciò che il femminismo radicale cerca è che il disgusto, la colpa, il disprezzo del sesso, lungi dallo sparire, ricadano sulle spalle degli uomini, come un tempo su quelle delle donne. (…) L’importante è che ci siano figure che incarnino l’orrore del sesso e ne paghino le conseguenze, affinché questa attività sia sempre qualcosa di eccezionale, di pericoloso, di sporco e di difficile. La teoria del dominio sessista è, come lo sono state in passato le buone maniere e la morale bigotta, la giustificazione ‘razionale’ della sopravvivenza di questo orrore”. Le teorie di questo femminismo – di cui si ha l’impressione qua e là che l’autrice sovrastimi l’influenza pubblica – sono qualificate con tre aggettivi: “irrazionali, paranoiche, liberticide”.
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E' un femminismo sottilmente clericale, perché si serve del vecchio trucco apologetico secondo cui l’unica libertà è l’adeguazione della coscienza al vero Bene, teologicamente o ideologicamente prescritto, e ogni altra espressione libera è illusoria, è la maschera di una schiavitù così interiorizzata da non essere percepita come tale (in altri termini: il femminismo radicale e moralista pretende di sapere che cosa realmente desiderano le donne meglio delle donne stesse). Ed è infine un femminismo dal volto inquisitorio, perché si allinea a quella sciagurata inversione degli ultimi due decenni in forza della quale i libertari invocano, a sostegno delle loro rivoluzioni, il braccio secolare dei giudici e dei gendarmi, i loro arcinemici di sempre.
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Il testo che pubblichiamo è la prefazione di Guido Vitiello al saggio di Marcela Iacub “Una società di stupratori?”, edito da Medusa, in questi giorni in libreria.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Guido Vitiello

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Offline Milo

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Re: una femminista antifemminista ?
« Risposta #8 il: Aprile 22, 2012, 16:37:05 pm »

Offline ilmarmocchio

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Re: una femminista antifemminista ?
« Risposta #9 il: Aprile 22, 2012, 16:38:27 pm »
non male. allora, si può anche far cpsì :
La femminista argentina marcela Iacub ha detto, e dice, che le femministe sono stronze e represse :P :P

scherzi a parte, è positivo comunque che il muro di omertà e di consenso indiscusso attorno al femminismo si stia incrinando