Riporto questo passaggio che spiega, come dal punto di vista della lingua ebraica (e mi pare dalla sua traduzione in greco nella Septuaginta), sia impossibile che Gesù rappresenti la discendenza di maria (ovvero che il passo 3,15 abbia il significato che è stato dato dai cristiani), nel senso che l'interpretazione data dai cristiani alla genesi è una forzatura che non sta in piedi.
B. IL CONCETTO DI “DISCENDENZA”: CHI È LA STIRPE DELLA DONNA? Una seconda inaccettabile forzatura che l’esegesi devota ha compiuto su Gn 3, 15 per trasformarlo nel “protovangelo” consiste nella pretesa di vedere indicato nella “discendenza” della donna un individuo determinato, e precisamente Cristo, il futuro Redentore.
In realtà, questo è assurdo. Il termine spérma (usato per l’ebr. zera nella versione dei Settanta, che faceva testo per l’AT nei secoli a cavallo dell’Incarnazione) indica tutti i singoli discendenti di x fino a un punto determinato, ossia fino al discendente y. Non può, di regola, indicare il solo discendente y.
Al pari degli equivalenti italiani “discendenza”, o “seme” (o “progenie”, “stirpe”, “schiatta”), è un nome collettivo; pertanto, anche al singolare indica una pluralità. Più precisamente: indica un insieme, non un elemento.
Con un’avvertenza (che spiega il “di regola” usato sopra): le due indicazioni vengono a coincidere quando l’insieme in questione è formato da un solo elemento.
Perché questo non sembri un gioco di bussolotti, converrà immaginare la discendenza, secondo la sua intima natura, come una catena.
Poniamo che questa sia composta di cento anelli e che il primo di essi sia fissato a un gancio infisso nel muro (gancio che nell’economia della metafora rappresenta il capostipite della stirpe). Se si opera un taglio ad esempio fra l’ottantesimo e l’ottantunesimo anello, la catena si ridurrà ad ottanta anelli; analogamente, potremo ridurla a cinquanta, venti, dieci anelli.
Supponiamo ora di tagliarla tra il primo e il secondo anello: avremo ancora, formalmente, sia pure in senso piuttosto improprio, una catena, composta di un solo anello. Ecco dunque che, per estensione analogica, si potrà avere un insieme coincidente con un suo elemento.
Ma con una precisazione fondamentale: questa identificazione della catena con l’anello, ossia dell’insieme con un suo elemento, è possibile solo per il primo anello.
Sarà cioè possibile se si opera il taglio tra il secondo anello e il primo, il quale rimane però unito al gancio (ovvero al capostipite). Non sarà possibile per qualunque altro elemento, in quanto esso, per venire isolato da tutti gli altri, dovrà necessariamente venire separato anche dal gancio.
Ecco dunque perché nell’Antico Testamento incontriamo varie volte la parola “seme” (gr. spérma, ebr. zera) – che è chiaramente, ripetiamo, un nome collettivo – usata per indicare un solo discendente: in tutti i casi in cui ciò avviene ci si riferisce a un discendente diretto, vale a dire a un figlio del(la) capostipite, ossia al primo anello della catena di generazioni.
Nel nostro caso, quindi, Cristo, anello lontano, potrà venir definito “discendente” di Eva, ma mai sua “discendenza”, ossia suo “seme”. Mentre potrà venir definito in tal modo Set, in quanto figlio di Eva, e perciò primo anello della sequenza generazionale; e ciò è proprio quanto leggiamo in Gn 4, 25.
Caso analogo è quello di Ismaele, prole di Abramo (cfr. Gn 21, 13). E in 1Sam 1, 11 Anna si augura di poter avere un figlio maschio (“seme di uomini”), così come in 2Sam 7, 12 Salomone, figlio di Saul, figura come suo seme (unitamente a tutta la discendenza).
È pertanto speciosa e fuorviante l’argomentazione tanto spesso ripetuta che nell’uso biblico spérma e zera possono indicare tanto una pluralità quanto un individuo: possono indicare un individuo solo quando questi è prole, ossia discendente diretto, del capostipite.
È dunque totalmente sprovvisto di base filologica vedere in Cristo la “discendenza” di Eva. L’uso costante della Bibbia ebraica, al pari dell’uso dei Settanta, lo esclude. Siamo quindi di fronte a un’ulteriore forzatura esegetica gravissima, a un vero e proprio abuso.
Che sperma e zera non possono riferirsi a un singolo discendente lontano dal progenitore viene spesso giustamente osservato a proposito del passo paolino di Gal 3, 16, in cui l’abuso consiste nell’identificare con Cristo la “discendenza” di Abramo destinataria delle promesse fatte da Dio a più riprese in Gen 12-22.
Il testo di Paolo ha certo contribuito a dare una parvenza di fondamento all’interpretazione messianica che ha fatto di Gn 3, 15 il “protovangelo”. Ma ovviamente, per quanto si è or ora illustrato, tale interpretazione del passo paolino è essa stessa totalmente priva di legittimità filologica.
Di passaggio, varrà la pena di notare come, per offrire uno straccio di alibi a Paolo (al solito sovranamente sicuro nelle sue operazioni di esegesi veterotestamentaria), anche illustri biblisti si diano ad acrobazie di indicibile goffaggine.
http://www.controapologetica.info/testi.php?sottotitolo=Gn%203,%2015:%20il%20cosiddetto%20'protovangelo'