Bravo Cosmos.
Infatti pensavo proprio al "di loro" non come possessività, ma come al principio di responsabilità [1]
Il problema sapete qual'è, che nella lingua, perché questa rispecchia una determinata concezione del mondo, questa differenza non esiste.
Non esiste la possibilità di concepire "il mio" che significa certamente che "non è tuo", di altri, ed in teoria dovrebbe significare solo questo, ma nel frattempo dovrebbe escluderne la possibilità di "proprietà", nel senso, visto che è mio, ne faccio ciò che voglio.
Non esiste.
Quando si cerca di spiegare concetti che
non esistono al mondo si ha sempre l'impressione, o la paura, di non essere capiti.
Quindi lo ripeto con altre parole.
Esistono certamente le dicotomie (separazioni binarie), "io"/"altri", ad es.
Ora, devo usare una parola, o insieme di parole, per dire che "qualcosa"
è in relazione con me, e solo con me (e dunque non lo è con gli altri).
Quest'insieme di parole è, guarda caso..."è il mio".
Ma come abbiamo appena detto, con queste parole di dovrebbe designare
solo il fatto di esprimere una relazione tra me e l'altro (non lo chiamo oggetto intenzionalmente) e l'esclusione dell'altro, con ogni altro soggetto.
Punto.
Quel "è mio", non dovrebbe significare "ne posso fare quello che voglio perché è mio!".
Poi certamente ci deve essere un termine per specificare qualcosa sul quale posso farne quello che voglio (tipo buttarlo dalla finestra, distruggerlo), ma non deve essere uguale a quello che indica semplicemente che ha relazione con me e non altri.
Quindi, dal mio punto di vista, se dico, "è la mia donna", non sto dicendo che ne ho la proprietà, e quindi ne posso fare quello che voglio tipo gonfiarla di botte, ma sto dicendo in particolare
che non è la donna di nessun altro.
Chiaro?
Poi esiste anche un altro caso, un'altra accezione dove "è mio" può significare "una differenza di relazione che l'altro ha con me e che non ha nessun altro di quella stessa categoria con me!", nel caso con "è la mia donna" vorrebbe dire che quella
è l'unica donna (tra le donne) che è in relazione con me.
Nel primo caso pongo l'enfasi su di me, nell'altro....sull'altro.
Cmq, per concludere, sperando di aver illustrato tra l'altro anche la povertà della "lingua di Dante", e che i concetti possibili (ai quali sono associati inevitabilmente le visioni del mondo) superano di gran lunga le costrizioni grammaticali linguistiche (che infatti derivano da una determinata morale/concezione del mondo), arriviamo al significato di quella relazione che deve essere associata a "l'altro è in relazione con me".
Beh, è proprio ...responsabilità.
"E' mio figlio", significa, "io sono in relazione con lui (e non sono gli altri ad esserlo)", e questa relazione non è "il possesso" (così se mi fa girare le palle lo posso mettere pure il lavatrice), ma la responsabilità: "sono io che sono responsabile
verso (non su) di lui".
Fiuu..che fatica.
1-http://it.wikipedia.org/wiki/Il_principio_responsabilit%C3%A0.