Il fatto che le donne prendano voti più alti non è un indice corretto di bravura. I ragazzi universitari, a differenza delle ragazze che imparano i testi a memoria, utilizzano la testa e si fanno mille domande. Inoltre i ragazzi, a differenza delle ragazze, molto tempo lo usano per divertirsi e per coltivare i propri interessi. Infine vale la pena ricordare che l'università col lavoro non c'entra una mazza, e sul lavoro, quando c'è da usare la testa e non imparare a memoria i testi, gli uomini prevalgono. Senza contare l'intraprendenza maschile, indiscusso vantaggio. Le donne vanno avanti solo a colpi di diritti, agevolazioni e quote rosa.
http://www.lavoroediritti.com/2012/05/rapporto-annuale-istat-e-allarme-lavoro-in-un-paese-in-cui-vige-la-disuguaglianza/L’Istat nel suo rapporto annuale, dipinge un paese in cui il lavoro è sempre più utopia e dove forti sono le disuguaglianze sia tra uomo e donna che tra Nord e sud. Anche i giovani, in questa triste casistica non sono per niente fortunati; oltre due milioni di giovani, in un paese sempre più vecchio, non studia nè lavora.
Iniziamo dal divario del reddito tra uomini e donne: per gli uomini occupati, è relativamente più facile raggiungere livelli più elevati di reddito da lavoro che per le occupate. Tale differenza sussiste per qualunque livello di reddito, ma al crescere di quest’ultimo il divario di genere acquista un peso sempre più rilevante.
L’Italia è in fondo alla classifica europea per il contributo della donna al reddito della coppia: il 46,5 % delle donne ha un lavoro, contro una media europea del 58,5%. Il nostro Paese presenta la maggiore diffusione di coppie in cui la donna non percepisce redditi, insieme a Malta (51,9 per cento), Grecia (31,4 per cento) e Romania (29 per cento).
I due terzi delle coppie in cui la donna ha tra i 25 e i 54 anni il suo contributo economico è nullo o inferiore al 40 per cento del reddito della coppia. Circa la divisione dei carichi di lavoro domestico e di cura, in quasi un terzo delle coppie le donne non contribuiscono al reddito familiare e si fanno carico della totalità o quasi del lavoro domestico e di cura; quando c’è una qualche divisione con il partner, è la donna a farsene prevalentemente carico, mentre sono rarissimi i casi nei quali prevale un equilibrio.
L’Italia è un paese conscarsa fluidità sociale: la classe di origine influisce in misura rilevante sulla mobilità sociale, determinando disuguaglianze nelle opportunità degli individui. Influisce anche sugli esiti nello studio: il 55,4 per cento dei figli della classe operaia ottengono titoli di studio elevati, contro l’89,1 per cento tra i figli della classe sociale più agiata, e tale distanza si conferma soprattutto con riferimento al conseguimento del titolo universitario.
Le donne sono sicuramente più brave e, l’aumento dell’incidenza di laureate nella popolazione femminile è indipendente dalla classe sociale di origine: quelle che provengono dalla classe operaia quadruplicano il tasso di conseguimento della laurea (dal 3,2 al 12,8 per cento). Miglioramenti importanti si registrano anche per le altre classi (dal 4,0 al 18,5 per cento per quelle provenienti dalla piccola borghesia; dal 23 al 34 per cento per le discendenti della classe media impiegatizia; dal 31,5 al 49,2 per cento per quelle nate in famiglie borghesi).
Andiamo sulle note dolenti del lavoro. Il lavoro atipico si conferma il canale di accesso al mercato del lavoro sempre più diffuso. La quota di lavoratori atipici al primo lavoro è del 44,6 per cento, a fronte di percentuali del 31,1 per cento per i nati negli anni ‘70, del 23,2 per cento per quella degli anni ‘60 e di circa un sesto tra i nati nei decenni precedenti.
Occupazione e disoccupazione: Il tasso di occupazione (15-64 anni) è del 56,9 per cento nel 2011. Una nota positiva c’è; dal 1993 al 2011 cresce l’occupazione femminile. Dal 1993 al 2011 il numero di donne occupate è cresciuto da circa 7,6 milioni a poco più di 9,3 milioni, mentre il livello dell’occupazione maschile si è ridotto di 40 mila unità.
Tra il 1993 e il 2011 l’occupazione femminile è cresciuta del 22,2 per cento, quella maschile è scesa dello 0,3 per cento. L’incremento dell’occupazione femminile si è distribuito in modo molto disuguale sul territorio: in quasi venti anni si è registrato circa un milione e mezzo di occupate in più nel Centro-Nord, ma solo 196 mila nel Mezzogiorno. Nell’ultimo decennio, appena il 10 per cento della crescita del lavoro femminile si è registrato nelle regioni meridionali, con un ulteriore ampliamento, anche in merito a questo aspetto, della già elevata forbice tra Nord e Sud.
Un lavoratore a tempo determinato su due è donna. In oltre un terzo dei casi i contratti a tempo determinato riguardano le donne più giovani (nelle classi 25-29 e 30-34 anni), che risultano anche maggiormente esposte al rischio di mancato rinnovo, o di stabilizzazione, in caso di gravidanza.
Giovani: nel 2011 il tasso di occupazione dei 18-29enni è sceso al 41 per cento, dopo aver toccato il valore massimo del 53,7 per cento nel 2002. Il tasso di disoccupazione dei 18-29enni, ha raggiunto , nel 2011, il 20,2 per cento. la quota di Neet, (giovani che non studiano e non lavorano) è sensibilmente superiore (22,1 per cento nel 2010) alla media europea(15,3 per cento).
In Italia si tratta di oltre 2,1 milioni di persone. Peraltro, la quota di giovani neet, raggiunge il livello più alto nel Mezzogiorno, 31,9 per cento, un valore quasi doppio rispetto a quello del Centro-Nord. Campania e Sicilia sono le regioni con le quote più elevate, superiori al 35 per cento, seguite da Calabria e Puglia, con valori rispettivamente pari al 31,8 e al 29,2 per cento.
Nel Sud, il 23% delle famiglie è povero, contro il 4,9% del nord. Nel 2010, il 67 per cento delle famiglie e il 68,2 per cento delle persone povere risiedono nel Mezzogiorno.
Peggiora la condizione economica delle famiglie più numerose e con minori: nel 2010 il 29,9 per cento di quelle con cinque e più componenti risulta in condizione di povertà relativa, con un incremento di più di sette punti percentuali rispetto al 1997. Le famiglie con tre o più minori mostrano un aumento dell’incidenza della povertà di quasi cinque punti percentuali giungendo al 31,2 per cento a livello nazionale e al 47,3 per cento nel Mezzogiorno