In rilievo > Osservatorio sui Femministi
Lorenzo Gasparrini
Angelo:
Un'altra zerbinata dell'omino del no... Veramente patetico il piccolo ZZZZerbigno femministuccio. Ho messo in risalto le baggianate scritte da questo femministiello.
Ricordiamo ai lettori che l'omino del no, alias Zerbino Gasperino Paperino ha scritto (metto tra virgolette le sue perle di zerbinismo) che la vera lingua italiana è considerata "sessista" dallo zerbinoide il quale "Nella vita obbedisce pazientemente alla dott.ssa *******" * e che quando va in vacanza scrive: " Voglio solo obbedire inerte a figli e moglie, alla famiglia, dato che per tutto l’anno ho dovuto dire no sempre e soprattutto a cose da fare con loro. Io in vacanza dico sempre di sì. L’unico progetto è stare insieme, il resto verrà."** . Lui si sente "moderno" , "cool" , "Dem", *, @ , "antifa' " (in assenza di regime fascista :shifty: ) , "cittadino del mondo" ( casualmente con le stesse caratteristiche del cittadino politicamente corretto e senza coglioni "santificato" da certa stampa a guida USA ed Occidentale) ...
* http://utenti.quipo.it/villaleague/redazione.htm
**http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2011/07/26/storie-di-un-padre-non-separato-4/
A voi l'articolo del femminista più ridicolo d'Italia (o quasi) . :lol: Mi raccomando, non perder troppo tempo a leggere i commenti che arriva l'estate... E' il momento del "Sì" agli ordini del capo (donna). Ci sono i piatti da lavare e tutti i femministi sanno che chi non lava i piatti non suona la tromba... :lol: :lol:
http://intersezioni.noblogs.org/personalepolitico/il-problema-femminista/
A me pare evidente: questo paese ha un problema col femminismo. Ma mica inteso come movimento politico, magari: significherebbe che viene considerato, dai più, come tale. Qui c’è proprio il problema del pronunciare la parola “femminista”.
Cominciamo con un bell’esempio recente. Su Samantha Cristoforetti è stato detto di tutto e di più. Per me la cosa più sbalorditiva rimane questo articolo apparso su La Stampa in digitale, nel blog Obliqua-mente di Gianluca Nicoletti, che vorrebbe essere anche un elogio dell’astronauta italiana. Titolo e sottotitolo dicono già tutto:
IL MITO #ASTROSAMANTHA CHE SEPPELLIRA’ BOTOX E TACCO 12
La donna astronauta contro una legione di super femmine costruite sul tavolo chirurgico, la perfetta risposta alle emule di Belen, ma anche al baffo politico e il rogo del reggiseno
Leggo tutto ciò abbastanza costernato, e mi chiedo, tanto per cominciare: ma perché Cristoforetti dovrebbe seppellire qualcun’altra? Perché essere una scienziata di livello mondiale dovrebbe nuocere a supposte super femmine costruite sul tavolo chirurgico? Nicoletti le mette in contrapposizione senza dire il perché. Nell’articolo non c’è traccia del motivo per cui Samantha e Belen dovrebbero essere una contro l’altra: evidentemente è dato per scontato, è ovvio.
Com’è ovvio che una donna che studia e che si fa valere nel mondo della scienza non è – appunto – una donna: da stereotipo qual è (perché contrapposta a un’altra donna-stereotipo, Belen Rodriguez), Samantha è ipercazzuta. Samanta ce l’ha grosso – infatti è nominata ingegnerE, ecco perché è tanto diversa da Belen, che notoriamente invece ha la farfallina.
Farfallina che, sostiene Nicoletti cavalcando i luoghi comuni che evidentemente galoppano molto lontano, è anche lei poco femminile ormai, anzi poco umana: Belen è l’esempio di prodotti umanoidi. Non è più neanche un essere umano.
Ricapitolando, un uomo descrive una supposta lotta per l’esistenza (“seppellire“) tra donne in questo modo: una non-donna mette sottoterra un non-essere umano. Complimenti. Ma come ha fatto? Ecco la spiegazione:
in lei si è riflessa quella parte del paese che non ha mai accettato come unità di misura del successo femminile i centimetri di tacco, ma nemmeno la fierezza dei baffi e il rogo dei reggiseni.
Cioè Samantha è una donna – anche se con un grosso pisellone ed è ingegnere – NON FEMMINISTA. Non corrisponde allo stereotipo della femminista: non ha i baffi (?) e non brucia il reggiseno. Ecco perché ha battuto la farfallina, dice Nicoletti.
Ora, il problema sociale che articoli come questo sollevano non è certo la cultura di genere di Nicoletti, che si presenta da sola e non vale la pena commentare. Il problema è che questa roba ha raccolto, tanto per fare un esempio, più di quindicimila condivisioni su un social network. Cioè è un buon esempio di quello che pensano lettori e lettrici – dato il giornale, dato il blog, dato l’autore – di cultura quantomeno media in Italia.
Di questo si ha riscontro anche nella chiacchiera quotidiana. Qualunque femminista che non si vergogna di professarsi tale si scontra con persone che a quella parola si sentono in dovere di sottolineare che si tratta di qualcosa di profondamente negativo. Racconta Lola sul suo sempre ottimo “Ci riprovo”:
Ieri ho parlato un po’ con un uomo dell’età di mio padre. Ad un certo punto gli ho detto che spesso usa un linguaggio fortemente sessista, e che quando ride di me che glielo faccio notare o si lancia in ardite spiegazioni sul perché è possibile dare della “troia” ad una donna che non ci piace mi manda in bestia.
“Mi sembri una di quelle…” “Sono una di quelle”. E da qui due ore a parlare. Quello che ho capito di tutto quel discorso è che la cosa fondamentale per poter permettere ad una femminista di parlare è che lei non si dichiari mai tale e che il femminismo non venga mai nominato.
Puoi dire quello che vuoi – basta che tu non sia FEMMINISTA. Puoi arrivare a tutti i traguardi che vuoi – basta che tu lo faccia NON DA FEMMINISTA.
Evidentemente, in questo caso a me “ha detto culo”: in tutto il mondo io sarei un feminist, e mica me ne vergogno. Però in Italia io sono un antisessista, perché se mi dicessi “femminista” tantissimi uomini riderebbero a crepapelle pensando che io sia parecchio strano o molto checca (il che non sarebbe un male di per sé, ma non corrisponderebbe nemmeno a verità), e fior di donne si offenderebbero – a parte ridere di gusto forti di una loro supposta superiorità (anche questo, per quanto incredibile, mi è successo).
Tutto ciò, oltre a confermare in vario modo la legge di Lewis (“I commenti a qualsiasi articolo sul femminismo giustificano il femminismo”), dimostra che qui in Italia in molti e molte hanno dei grossi problemi con questa parola. Ma grossi, eh.
Per esempio, abbiamo quell* che credono a uno o più dei tanti luoghi comuni sulle femministe. Abbiamo anche un gruppo di musiciste che porta avanti un progetto musicale “a favore delle donne vittime di violenza”, dichiarando a destra e manca che non sono femministe. Abbiamo gruppi di donne che non hanno problemi a dire che loro sono più femministe di altre. (Fuori, intanto, non è che vada tanto meglio, se ci sono media internazionali che si divertono a giocare con la parola “femminista”).
Uomini e donne che, semplicemente, non hanno idea di cosa significhi femminista. Hanno il grosso problema di non poter accettare che un/a femminista è, come da definizione, “una persona che crede nell’uguaglianza sociale, politica ed economica tra i sessi”. Perché?
Da una parte, molti e molte credono di essere “una persona che crede nell’uguaglianza sociale, politica ed economica tra i sessi”, MA non direbbero mai “tra i sessi”, perché a sentire loro non hanno importanza: esistono solo “le persone”. Cioè esistono solo le loro capacità, indipendentemente dai loro corpi; e infatti la stessa Cristoforetti non è femminista, dato che disse, poco tempo fa, che
per me non c’è differenza tra maschi e femmine. L’unica differenza è tra chi è competente e chi, invece, non lo è.
Tanto per dire: che milioni di donne non siano nelle condizioni minime per avere o usare le loro competenze, e che milioni di uomini siano automaticamente socialmente avvantaggiati da tutto ciò, non sembra essere per lei di grande importanza. Complimenti anche a lei.
D’altra parte, in molt* credono che quella “uguaglianza sociale, politica ed economica” sia già raggiunta, a forza di leggi paritarie, quote rosa, divorzi vantaggiosi e altre fantasiose amenità legislative che dimostrerebbero chissà cosa – rendendosi colpevoli, almeno, di ignoranza e ipocrisia. I dati sulla disparità di genere, sull’attivo e funzionante patriarcato discriminante, ci sono, e non sarà certo una legge a cambiarli a breve termine.
Un problema culturale? Direi proprio di sì. Che comincia dall’alto:
Fino al 2000 le studiose femministe hanno fatto ricerca e insegnato ‘sotto mentite spoglie’, prive di nome, impossibilitate a esibire la propria carta d’identità. Gli studi delle donne li abbiamo dovuti non solo inventare, ma anche continuare a reinventare un anno dopo l’altro, come se ogni volta fosse stato necessario presentare di nuovo i documenti per dimostrare la validità di nome, data di nascita e domicilio di residenza.
Prima che si chiamassero «di genere», per indicare molte altre cose, oppure anche soltanto essere utilizzati come sinonimo dall’apparenza ‘perbene’, gli studi delle donne li abbiamo insegnati en travesti. Ciascuna di noi agiva come un agente segreto mascherato dentro, dietro e sotto un’altra denominazione ufficiale; la quale poteva essere: letteratura italiana, economia politica, antropologia, sociologia, storia moderna, filosofia medievale o storia della scienza. Il documento d’identità legalmente autorizzato per la pratica didattica serviva a coprire i riferimenti a oscuri e disdicevoli commerci sessuali e politici che avrebbero fatto un’oscena irruzione se si fosse usato il loro vero nome.
E pure dal basso:
Scuotono la testa con decisione non appena sentono il termine femminismo. Si stringono forte al proprio compagno mentre dichiarano di essere femminili, non femministe, come a volerlo rassicurare. Se interrogate sul significato del termine affermano che: «Non sono superiore al mio uomo, ognuno ha il proprio ruolo e io sono una donna».
A dirlo sono in tante, tantissime, forse milioni di donne. Sono laureate, casalinghe, giovanissime e meno giovani, occupate, disoccupate o inoccupate, ma anche donne in carriera e di successo. Più che il titolo di studio, l’età o il tipo di lavoro svolto, la differenza lo fa l’ambiente sociale che frequentano, ancora molto maschilista e misogino e che loro, in un modo o nell’altro, avallano.
Aggiungendoci anche qualche vero e proprio delirio:
oggi, guadagnati e fatti salvi quei diritti civili grazie a sacrosante battaglie di idee (cito una campionessa per tutte: Simone de Beauvoir), è ormai antistorico e anacronistico continuare a procedere nella stessa direzione, cercare un accanimento antifemminile che di fatto non esiste e non è mai esistito, inventarsi una persecuzione sessuale che di fatto non esiste e non è mai esistita (a proposito: ma chi crede davvero al femminicidio?), perpetuare l’idea di una presunta contrapposizione sessista che da tempo dovrebbe [avere, ndr] fatto il suo tempo.
In tutto ciò, non c’è davvero di che preoccuparsi per i maschilisti d’Italia. Finché questi problemi di cultura – io preferisco dire di ignoranza, ma so’ io, non ci fate caso – continueranno ad averceli tanti uomini e tante donne, di femminista in giro ci sarà sempre ben poco.
(Grazie a Lola e a Chiara per l’ispirazione)
Angelo:
Ma la perla di zerbinismo è qui ----> dal Minuto 08:26 ---> //www.youtube.com/watch?v=ndpT7NTHeq8
[b]Secondo lo zerbinoide :" UN VERO UOMO PISCIA SEDUTO" "E ANCHE SE VIVI DA SOLO DICI AI TUOI AMICI :" AMICI SEDETEVI SUL CESSO" [/b] :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol:
Sardus_Pater:
Come fa a parlare, lui, di veri uomini :lol: ?
ilmarmocchio:
un vero uomo come GaspariNo fa di più che sedersi sul cesso :
ci si butta dentro e tira lo sciaquone.
L' umanità riconoscente ringrazia
Angelo:
L' "uomodelno" , il femminista che dice " :" UN VERO UOMO PISCIA SEDUTO" "E ANCHE SE VIVI DA SOLO DICI AI TUOI AMICI :" AMICI SEDETEVI SUL CESSO" adesso prova a "ragionare" sul recente caso di cronaca (lo stupro della 16enne a Roma ad opera di un militare della Marina)... Il solito atteggiamento di chi difende i rom e le schifezze immonde delle lezioni gender nelle scuole. Ma c'è qualcosa pure in più...
Guardate un po' che dice... :shifty: Ve lo avevo detto che stanno fiutando "i danari"... Spero di sbagliarmi, ma i parassiti sono abilissimi nel fottersi i soldi delle tasse.
http://intersezioni.noblogs.org/condivisioni/la-mignotta-nella-testa/
Bene, finita la mania dell’arcobaleno? Per carità, c’è da essere contenti che un uomo nero dichiari legale il matrimonio gay da presidente del suo paese, e che quel paese sia la guida economica – e non solo – di tutto l’occidente. Non è male, ma la strada è ancora molto lunga, e non è detto che quella imboccata sia la direzione giusta.
Il matrimonio è comunque un contratto che fa parte di una gamma di istituzioni tipicamente patriarcali, strettamente connesso con un certo concetto di famiglia, certi dispositivi legali di diritto ereditario, un preciso modo di concepire e regolare i rapporti tra i generi… insomma sì, va bene, beati monoculi in terra caecorum, ma non è che il tutto sia scevro di critiche. Anche perché il silenzio tombale su libertà di aborto, per dire, non è che prometta niente di buono per il futuro.
Prima di tutto c’è il solito dubbio, sui provvedimenti sociali calati dall’alto, che questi siano una bella operazione di facciata e/o di opportunismo politico: rainbow washing(ton)? Forse sì, in un paese dove già ci si lamentava dell’eccessivo marketing arcobaleno in tempi non sospetti. Poi ci sarebbe – ripeto, pur nella dovuta gioia per chi aspettava comunque da decenni un minimo traguardo di civiltà – da fare un raffronto tra paesi, prima di essere contenti. Qui è stato facile farsi invadere da tante mode USA, ma per questa temo che ci sarà qualche ostacolo in più rispetto al jeans, al rock’n’roll, e così via.
No, perché intanto che milioni di italiani si sono arcobalenizzati il profilo facebook, in Italia si continua non solo a stuprare, ma a dare la colpa a chi viene stuprata. E a pensare alla castrazione come a una soluzione al problema. Sì, la castrazione, la versione chirurgica delle ruspe salviniane: la rimozione fisica della “causa visibile” del problema. L’incontrollabile libido dello stupratore, l’incontrollabile alloggio del nomade. Entrambi da spazzare via, da annullare. Non a caso entrambe le soluzioni arrivano proposte dalla stessa parte politica.
Forse dipende dal fatto che qui, sempre dall’alto, è calata una fantasmatica “teoria del gender” per costruire una nuova propaganda contro ogni forma di educazione sessuale? Forse perché in questo paese un pensiero omofobo e patriarcale come il cattolicesimo permea così tanto il senso comune da rendere credibile che la “famiglia tradizionale” sia in pericolo – la stessa famiglia che viene accusata di lasciare in giro una sedicenne a mezzanotte? Forse questa micidiale miscela di ipocrisie ha come risultato – uno dei tanti – che un tizio pagato dal paese che non spende una lira in educazione sessuale, ma milioni di euro in educazione militare (“i nostri marò!”), stupri una sedicenne spacciandosi per un altro tizio in divisa, e un numero schifosamente grande di persone pensa che lei se la sia cercata?
Difendiamoci pure, noi con milioni di profili con l’arcobaleno, pensando la solita storia del malato, dell’eccezione, dello schifoso-gliela-farei-vedere-io. Come già detto in occasione del poliziotto che tortura (che dite, ci sarà un legame pure tra cultura patriarcale e difesa della violenza di Stato?), non è una mela marcia: è l’albero che ha qualcosa che non va.
Ci sarebbe anche da dire, date le migliaia di commenti che danno alla sopravvissuta allo stupro – ricordo, minorenne di anni 16 – della “zoccola”, che di fronte a questi esempi di cultura popolare forse le discussioni sul sex working sono un po’ premature, in Italia – anche se comunque necessarie. Nel senso che se anche domattina, per un magico caso del destino, venisse approvata una splendida legge che con un colpo solo combatta efficacemente la tratta internazionale, smantelli il regime di schiavitù di migliaia di prostitute a forza e permetta a chi vuole di prostituirsi legalmente – avremmo cambiato qualcosa per le milioni e milioni di “mignotte” nella testa degli italiani e delle italiane?
No. Quelle saranno sempre lì, pronte a saltar fuori al prossimo incrocio, al prossimo divorzio, al prossimo stupro, pronte per il maschio italico e i suoi nobili istinti. E attenzione: i suoi sono nobili, perché se sono di uno non al 100% italiano nell’aspetto o nel sangue, allora: a casa! Linciaggio! Ruspa! Castrazione!
Ah, a proposito di leggi: dice che non basta mica fare le leggi, perché ci sono pure i tribunali da cui difendersi. Eh sì, difendersi, perché se sei una sedicenne stuprata da amici in gruppo, ti può succedere che
tu vai avanti, ti fai la tua battaglia in Tribunale, ti sottoponi a perizie e controperizie, parli con psichiatri, psicologi e magistrati. Racconti la tua storia e provi a non ondeggiare nella fiducia: ti crederanno, tu sai che stai dicendo la verità. E in qualche modo lo crede anche il giudice che per le infinite pagine della motivazione della sentenza, che assolverà i tuoi stupratori, riconosce l’onestà delle tue parole. Solo che non ci sono le prove: “Se è vero che il comportamento passivo della vittima – si legge nelle motivazioni della sentenza – e il fatto che scivolasse nella doccia avrebbero dovuto indurli a sospettare che la stessa avesse perso la lucidità necessaria per presentare un valido consenso all’atto sessuale è altrettanto vero che l’assenza di azioni di respingimento e di invocazioni di aiuto avrebbero potuto ingenerare la convinzione che la 16enne fosse consenziente”.
No, ma non è un problema culturale, no no. Ci vuole la legge. Certo, come no.
Ripeto: ben felice che altrove qualche traguardo – anche se discutibile – venga raggiunto, anche se dall’alto e tramite una legge. Però preferirei che qualcosa cambiasse anche da queste parti, dal basso e nel sentire comune. E’ molto più faticoso, ma i risultati sono sicuramente più duraturi. Sarà il caso di cominciare presto, dalle scuole, dai centri antiviolenza (anche maschili)… o no?
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