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Beppe Severgnini, l'eunuco femminista del corriere della sera
TheDarkSider:
Solo per stomaci forti, ecco la leccatina del giorno che il maschietto Severgnini dedicata alle donne:
--- Citazione ---A proposito delle donne ai vertici
Cambiate gli uomini, non voi stesse
Partiamo dal 1984: in fondo, è un anno letterario. Facevo il giornalista, avevo ventisette anni, prima sede all’estero. London Bureau Chief, recitava il biglietto da visita: un titolo altisonante, anche se non c’era personale da dirigere né un ufficio da condurre. Solo una casetta a Clapham South, dove arrivò il primo invito dell’Ambasciata italiana: lettere dorate su cartoncino bianco. Quando mi presentai, un po’ emozionato, in cima ai gradini del numero 4 di Grosvenor Square, non volevano lasciarmi entrare: lei è troppo giovane, mi dissero, l’invito sarà per suo papà.
La diplomazia italiana che mi aspettava oltre quella porta era, in effetti, ben più anziana di me, e a me sconosciuta. Un mondo felpato, maschile e cromaticamente prevedibile: grigio di giorno, blu di sera, nero nelle occasioni eleganti. Una visione fredda, direi antartica. Eppure al governo, in quel Paese, c’era Margaret Thatcher. Vestita con colori sgargianti, poco felpata, decisamente donna.
Ventott’anni dopo, entro in questa sala e ho la conferma di quanto già sapevo: è cambiato molto. A Villa Madama — nome impeccabile, vista l’occasione — vedo davanti a me ministre, sottosegretarie, ambasciatrici di tutto il mondo (spiegherò tra poco perché scelgo di usare i femminili).
Penso che l’Italia s’è mossa per tempo, anche se poi si dev’esser spaventata del proprio ardire: nel 1994 Susanna Agnelli era ministro degli Esteri del governo Dini. So che state per ricevere un messaggio di Hillary Clinton, segretario di Stato americano. Tutto bene, quindi? Temo di no.
Susanna Agnelli, lo sappiamo, s’è rivelata un’eccezione: e non portava un cognome comune. Hillary Clinton è eccezionalmente dotata e eccezionalmente sposata.
Due donne speciali possono costituire un’avanguardia e un esempio: non ancora una regola. Dovete prendervi il potere; e siete ancora indietro. Non solo nel mondo della diplomazia.
Solo nove donne su 190 capi di Stato nel mondo. Solo il 13% nei Parlamenti. Solo il 14% alla guida di imprese private e nei consigli di amministrazione. Solo tre nella Corte Suprema degli Stati Uniti d’America (due di loro non hanno formato una famiglia). L’elenco potrebbe continuare.
Conoscete la serie televisiva «Mad Men»? Racconta l’ambiente dei pubblicitari a New York, negli anni 60: un mondo maschile e sessista. Be’, perché non pensate a una nuova serie, ambientata proprio nel mondo della diplomazia?
«Mad Women», donne arrabbiate. Perché dovreste esserlo. Non lo dico per altruismo, per furbizia, per cavalleria o perché sostenere il contrario — qui, stasera — sarebbe rischioso. Lo dico per egoismo: il che, se volete, è molto maschile. Rinunciare alle donne, in qualsiasi ambiente, vuol dire rinunciare all’empatia, al realismo, alla fantasia.
Voi lavorate duro e sapete cosa volete. Ma inseguite — con crescente successo, certo — un modello maschile. Orari maschili, agende maschili, viaggi maschili, carriere maschili: quasi incompatibili con la famiglia e i figli, se non a prezzo di enormi sacrifici personali. Anzi: di eroismi. Conosco Marta Dassù da tempo, nel 2005 ho recensito sul Corriere della Sera il suo libro «Mondo Privato» — titolo non casuale — dove descrive, con un sorriso, queste sfide e queste difficoltà. Marta ce l’ha fatta: ma anche lei costituisce un’eccezione.
Credete che io stia esagerando? O che abbia scelto di dirvi ciò che volete sentirvi dire? No davvero.
Pensate a questa affermazione:
«Per il suo lavoro, ha sacrificato la famiglia!».
Se fosse riferita a un uomo, la reazione più comune sarebbe: «Com’è generoso!». Se fosse riferita a una donna, diventerebbe: «Che egoista». Pensateci: non è giusto, ma è così.
Forse il racconto per The Atlantic è troppo lungo ed enfatico, ma Anne-Marie Slaughter ha ragione, quando scrive «Why women still can’t have it all», perché le donne ancora oggi non possono avere tutto. Ero all’Aspen Ideas Festival, in Colorado, due settimane fa, l’autrice era presente. La prima donna a ricoprire l’incarico di direttore della pianificazione politica per il Dipartimento di Stato americano. Ha lasciato dopo due anni. Per non perdere la tenure a Princeton, forse. Ma soprattutto perché non se la sentiva di restare lontano da casa durante l’adolescenza dei figli, nonostante l’aiuto del marito.
Ms Slaughter lascia intendere, senza falsa modestia, di essere una persona eccezionale: eppure non ce l’ha fatta a combinare carriera e famiglia, a quel livello professionale. E ci ricorda che le motivazioni delle donne come lei — nate negli anni 50 e 60, segnate dall’esperienza e dall’eredità del femminismo — sono superiori a quelle delle donne più giovani, nate negli anni 70 e 80. Queste ultime potrebbero decidere che, se non si cambia il modello di carriera, forse non vale la pena accettare tanti sacrifici. È una corsa impari: a noi uomini si chiede di essere bravi, a voi donne di essere eroiche.
Ecco perché io insisto a chiamarvi «ambasciatrici», e non «ambasciatori», quando guidate una missione diplomatica. Perché in quel sostantivo maschile che voi amate, quasi fosse il vessillo del fortino conquistato, è nascosta l’accettazione di un modello che, alla lunga, vi danneggia. Il linguaggio è importante. L’italiano dispone di formidabili femminili: usiamoli. Anzi: usateli. Alcune di voi, dentro le ambasciate che dirigevano, hanno educatamente protestato: «Eh, no, caro Severgnini! L’”ambasciatrice” esiste già: è la consorte dell’ambasciatore!». Ho risposto: «Posso chiamare così suo marito, signora?».
So che siete salite in alto con fatica. So che vi sto chiedendo di scalare una montagna e, insieme, di piegarla alle vostre necessità: un compito impossibile, direbbe un alpinista. E questo è ancora niente, perché vi aspetta un impegno ancora più arduo: cambiare la testa di noi uomini. Questa sarà la vera impresa, credetemi.
--- Termina citazione ---
A parte il disgusto per lo zerbinaggio sfacciato dell'autore, che non si vergogna di definire "eroiche" le donne che sono riuscite a fare carriera, è divertente notare che nella foga di leccare i piedi alle donne Beppe Severgnini non si accorge di comportarsi come il peggiore dei maschilisti sessisti: e cioè pretende di sapere cosa è meglio per le donne e di dire loro come comportarsi :w00t:
Peter Bark:
Per chi scrive questo giornalista?
Ah,per Mieli.
Ora ho capito perche lecca i piedi alle femmine.
Peter Bark:
vediamo un pò meglio da che scuola proviene Severgnini:
chi sono gli ebrei Mieli?
Chi è stato il fondatore del movimento omosessuale italiano? Il suo nome è Mario Mieli, scrittore e autore nel 1977 del celebre “Elementi di critica omosessuale” che divenne un fondamento dei cosiddetti “lavaggi del cervello”, ovvero delle teorie di genere in Italia: approccio psicologico e antropologico dell’omosessualità (con quali competenze?), giudicato “pietra miliare per un’intera generazione di militanti gay”.
Mieli in gioventù usava vestire quasi sempre con abiti femminili, andava truccato a scuola, saliva sugli autobus nudo sotto una pelliccia, indossava i gioielli di famiglia, non a caso il professor Zapparoli, lo psichiatra che lo aveva in cura, aveva diagnosticato una sindrome maniaco-depressiva con connotazioni schizoidi. Frequentò esponenti del movimento gay inglese e fondò nel 1971 la prima associazione del movimento di liberazione omosessuale italiano, chiamata “FUORI!” (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano). Se staccò da essa nel 1974 perché l’associazione si fece inglobare dai soliti approfittatori del Partito Radicale, lui invece non era convinto che si dovesse passare dalla politica per cambiare il mondo (e su questo aveva ragione).
La caratteristica per cui è spesso ricordato è stata la coprofagia, ovvero l’hobby sessuale di mangiare i propri escrementi. E’ famosa la sua esibizione pubblica all’Ompo’s, durante la quale si esercitò in questi atti (anche con gli escrementi del suo cane). Il poeta gay Dario Bellezza (morto di AIDS) ironizzò così: «A Mario è rimasto altro che mangiar la m…, per far parlare di sé». Morì suicida nella sua abitazione di Milano, nel 1983 a soli 30 anni, dopo l’ennesimo periodo di depressione. A lui è intitolato il Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, sorto a Roma nello stesso anno della morte da suoi estimatori, che lo ricorda così: «si esibì più volte gustando m… e bevendo il proprio p… pubblicamente come a fornire un supporto umano e pesante ai prodotti più nascosti e più inumani dell’uomo; come a farsi forte di quella m… con cui una società bigotta, borghese e clericale aveva tentato di coprirlo». Mieli era notoriamente anche necrofilo.
Il quotidiano ufficiale del Partito Comunista Italiano, “Liberazione”, lo ha celebrato più volte. L’11 marzo 2008 ha riassunto così la sua biografia: «Vestiti da donna, teatro d’avanguardia, teoria, militanza, droga, coprofagia. Venticinque anni fa, il 12 marzo 1983, usciva volontariamente di scena, suicida a 31 anni, il più grande intellettuale queer italiano». L’articolo è scritto da un suo ammiratore, che ha onorato le gesta di una «dimensione esemplare e quasi mitica, sfaccettature di una coraggiosa e coerente complessità». Il suicidio di Mieli viene definito un «capolavoro di estremo narcisismo o esempio di masochismo che può sublimare, se usato politicamente, l’istinto di morte della Norma eterosessuale». La Norma eterosessuale significava per Mieli -probabilmente segnato dall’esperienza dell’ospedale psichiatrico e dall’effetto di droghe di cui abusava-, la rimozione dell’omosessualità e della femminilità da ogni uomo, perché «la dimensione di una transessualità originaria e profonda, costituisce la cifra essenziale dell’Eros di ciascun individuo». Lui ha introdotto il concetto per cui la «la Norma eterosessuale castra il desiderio attraverso l’educazione, producendo una società di adulti “monosessuali”, repressi, intrinsecamente omofobi e per questo votati alla guerra». In poche parole, per l’icona gay italiana, «ogni uomo si trova a dover fare i conti con il frocio e con la donna repressi dentro di lui, che Mieli invita ad accettare, accogliere e liberare».
“Fissarsi” su «un singolo oggetto sessuale» (cioè, per oggetto si intende solo l’uomo o solo la donna) è -secondo Mieli- «un limite, un sintomo di repressione, di rimozione della naturale disposizione transessuale». Bisognerebbe aprirsi sessualmente ad ogni “oggetto”, dagli uomini agli animali e, perché no, fino ai propri escrementi. Solo così non si sarebbe repressi e omofobi. «Una posizione, questa, che scandalizza ancora oggi», si lamenta il suo ammiratore su “Liberazione”. Le perversioni più assurde, servono proprio per «restituire agli individui la condizione originaria di transessualità, ovvero la libera e gioiosa espressione della pluralità delle tendenze dell’Eros». Esse, secondo lo slogan da lui coniato, “Mens sana in corpore perverso” (sbagliando pure il latino), «sono tappe inevitabili, lungo il cammino dell’Eros e dell’emancipazione per la rottura di ogni tabù». L’ammiratore di Mieli scrive con stile mistico-religioso: «Elogio della m… come grimaldello che apre le porte dell’armonia, come supremo vessillo della liberazione, come fonte di ricchezza accessibile a chiunque, come comunione sublime per un’iniziazione scandalosa, per una conoscenza schizofrenica e divergente. Il Mieli “alchemico” dell’ultima parte della sua vita narra un’esperienza magico-erotica che lo vede protagonista insieme al suo fidanzato: la celebrazione di un rito di “nozze alchemiche”, con la preparazione e l’assunzione di un pane “fatto in casa”, un dolce nel cui impasto confluivano non solo m…, sangue e sperma, ma anche ogni altra secrezione corporale, dalle lacrime al cerume. Perché? “L’abbiamo mangiato – dice Mieli – e da allora siamo uniti per la pelle. Pochi giorni dopo le “nozze”, in una magica visione abbiamo scoperto l’Unità della vita. Era come se non fossimo due esseri disgiunti, ma Uno; avevamo raggiunto uno stato che definirei di comunione“». Forse è per questo che non pochi psicologi hanno cominciato a parlare di “terapie riparative”?
Anche in Mieli ritorna il pensiero della pedofilia, come nel movimento omosessuale americano. Si legge nell’articolo di “Liberazione”: «Il bambino è, secondo Mieli, l’espressione più pura della transessualità profonda cui ciascun individuo è votato. È l’essere sessuale più libero, fino a quando il suo desiderio non viene irregimentato dalla Norma eterosessuale, che inibisce le potenzialità infinite dell’Eros». Secondo l’articolista del quotidiano comunista, questo è un «discorso eversivo e scomodo oggi più che mai, in una società attanagliata dal tabù che investe senza appello il binomio sessualità-infanzia, ossessione quasi patologica che trasforma il timore della pedofilia in una vera e propria caccia alle streghe». Anche i bambini dovrebbero fare sesso, secondo Mieli, perché l’Eros, «se lasciato libero di esprimersi, può fondare una società diversa da quella in cui viviamo. Sicuramente più libera». L’adozione gay, invece, potrebbe «inculcare nel bambino i valori di una sessualità più vicina al potenziale transessuale originario?», ci si domanda su “Liberazione”. I valori cristiani e quelli familiari naturali, secondo Mieli sono «pregiudizi di certa canaglia reazionaria» che, trasmessi con l’educazione, hanno la colpa di «trasformare il bambino in adulto eterosessuale». I pedofili invece possono “liberare” i bambini: «noi checche rivoluzionarie», ha scritto l’icona gay italiana, «sappiamo vedere nel bambino l’essere umano potenzialmente libero. Noi, si, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega
TheDarkSider:
--- Citazione da: Peter Bark - Luglio 17, 2012, 11:42:46 am ---Per chi scrive questo giornalista?
Ah,per Mieli.
Ora ho capito perche lecca i piedi alle femmine.
--- Termina citazione ---
Non per contraddirti, ma io credo la questione sia più semplice: Servegnini lecca i piedi alle femmine perché sono una parte importante dei sui lettori, quelli che lo leggono e comprano i suoi libri, e anche perché è un perfetto rappresentante dell'establishment economico-mediatico e quindi si adegua come tutti al politically correct.
Insomma non è altro che un volgare paraculo.
Peter Bark:
quindi,secondo te,4 libri che prendono per il culo Berlusconi,e 3 libri che farneticano del perfetto tifoso interista (sto Severgnini parla dei nerazzurri come parla di femmine,cioè non capisce una mazza,l'hai mai sentito disquisire di questioni calcistiche?),sarebbero le letture preferite dalle femmine? Perché non mi sembra che il giornalista abbia mai scritto qualche libro dedicato propriamente al loro mondo.
Non credo nemmeno che intendessi dire che sono in gran numero quelle che leggono i suoi trafiletti sul quotidiano sionista per cui scrive,se poi convieni con me che di solito le femmine prediligono letture tipo donna moderna o vanity fair..
ecco,da bravo pupazzo qual'é,si adegua mestamente alla linea del giornale per cui collabora,hai ragione..che è più o meno la seguente:
viva i froci,le lesbiche,i travoni,i bisex,insomma tutti i subumani,gli extracomunitari,i coprofagi,le famiglie omosessuali e le femmine che sono più intelligenti degli uomini.
abbasso gli eterosessuali ,la gente bianca di pelle,chi non mangia la cacca,la famiglia tradizionale,e l'essere di sesso maschile responsabile di ogni male del mondo.
a furia di bombardare con questa propaganda,la famiglia tradizionale in Europa non esiste più praticamente.I matrimoni si sfaldano in tre mesi,e sono meno delle separazioni,che ormai non coinvolgono più solo coppie giovani ma anche quelle dei vecchietti,che magari erano unite da mezzo secolo,le femmine hanno sostituito il lavoro ai figli perchè fare figli non è gratificante quanto fare una carriera,e significa anche essere schiave degli uomini,la promiscuità razziale va di pari passo coi problemi di ordine sociale e bla bla...
una situazione ideale per mantenere più efficacemente sotto controllo il popolo.
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