Da mezzo secolo ci ripetono tutti i giorni che le donne sono moralmente superiori agli uomini, più empatiche di noi e coloro che donano la vita. Ci ripetono che con loro al potere non ci saranno più guerre.
La Clinton e la Rice rappresentano la filiera di potere dal governo degli Stati Uniti all'ONU. Tutta la scellerata politica estera statunitense degli ultimi tempi è passata da loro, e tutto l'occidente s'è praticamente allineato alla loro agenda.
L'aggressività contro Assange, Gheddafi e Assad, l'arroganza condita da uno stile di linguaggio ben al di là dei limiti della diplomazia internazionale. E quel recente monito, dove la Clinton intimava al governo siriano di avere ancora pochi giorni per evitare un attacco catastrofico, pochi giorni prima dell'attentato all'apparato di sicurezza, probabilmente eseguito da un kamikaze. E poi minacce e ricatti: "Cina e Russia pagheranno un prezzo ...". Cose mai viste e mai sentite a questi livelli. Ridere da vincitori di un nemico che viene massacrato, sodomizzato e barbaramente ucciso, è qualcosa che secondo un codice leale di guerra supera in orrore l'eccidio. Che sia recitazione o no questo appare, e in politica conta ciò che appare. Conta la parola, il gesto, l'idea palesata. Il linguaggio politico non è solo forma.
La parole vanno supportate dai fatti, e non basta più salvarsi in corner affermando che fanno così perché hanno assorbito un modello maschile. Sono donne. Femministe, che rivendicano una identità femminile in politica, che stanno costruendo l'ordine simbolico del potere rosa, ai più alti livelli.
Dove sta la pace in tutto ciò?
Le puntuali e misurate risposte di Lavrov (ministro degli esteri russo), sono di gran lunga meno provocatorie e più pacifiche (ridurre la conflittualità verbale è prodromico al compromesso) rispetto al loro scomposto isterismo.