Autore Topic: Il punto sul gender a scuola e i suoi legami col femminismo  (Letto 871 volte)

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Il punto sul gender a scuola e i suoi legami col femminismo
« il: Settembre 30, 2015, 01:46:24 am »
Da un articolo di Elisabetta Frezza che parla anche di femminismo e Convenzione di Instanbul, ed evidenzia la convergenza struttutrale e finanziaria tra rieducazione femminista e genderista. Ho messo l'essenziale in grassetto:
http://www.effedieffe.com/index.php?option=com_content&view=article&id=320923:facciamo-il-punto-sul-gender-a-scuola&catid=83:free&Itemid=100021


La campagna promozionale della buona scuola

La “buona scuola” di Renzi e della Giannini – caso più unico che raro di autocertificazione di bontà normativa – ha calato in campo la squadra dei propri promotori ufficiali. Le critiche dal basso cominciavano a farsi moleste perché, disvelando il complesso marchingegno legislativo, capzioso per forma e per contenuto, rischiavano di inceppare il trionfale corso della macchina da guerra globale omo-pan-sessualista, per la quale l’indifferentismo identitario è carburante fondamentale. E così le truppe governative, corredate da generosi supporters esterni ecclesiali e para-ecclesiali (tratti dall’associazionismo sedicente cattolico finto-resistente), sono state sguinzagliate per città e campagne a decantare le virtù della riforma del sistema scolastico: lo Stato Etico fattosi legge nel nome dei valori “democratici”, ovvero giacobini.

L’esercito renziano è formato da tre divisioni – che giusto per restare in tema potremmo chiamare “generi” – militanti: il genere parlamentare, fatto di senatori e deputati della maggioranza fautrice del provvedimento (soprattutto PD, ma anche AP, NCD e altre formazioni diversamente cattoliche); il genere pedo-psico-sociologico, costituito - tranne qualche confortante eccezione - dalla pletora di “esperti” (per definizione): sociologi, pedagoghi, psicologi e affini, sfornati a getto continuo dalle straboccanti facoltà omonime e finalmente suscettibili di essere messi a reddito; il genere scolastico, composto da insegnanti e dirigenti zelanti che, siccome la poltrona è sempre la poltrona e la cattedra anche, bisogna prendersi avanti e manifestare con tempestività il proprio ossequio agli ordini superiori, a prescindere.

Fungono da elemento accessorio di sostegno: legulei di ogni ordine e grado e rappresentanti diocesani e/o teologi o teologhesse (genere in ascesa). In caso di assenza giustificata di personalità del mondo clericale, viene comunque esibita la documentazione sostitutiva: la nota della diocesi di Padova è, allo stato, l’arma più gettonata dai negazionisti del gender e da tutti i fans più o meno dichiarati del mondo omosessual-femminista (posto che le due categorie sono, più che contigue, funzionalmente coincidenti). E ha guadagnato al suo estensore un’insperata popolarità in ambienti sino a poco tempo fa non troppo favorevoli alla categoria sacerdotale.

Tutti costoro, inviati dalla centrale operativa romana che prende a sua volta ordini perentori da Bruxelles, percorrono in lungo e in largo il territorio imbracciando l’estintore di ordinanza caricato a tranquillante, per spegnere i tizzoni di protesta e sedare prima che sia troppo tardi un popolo sorpreso impreparato dall’“invasione degli ultracorpi” nella scuola di stato e incline di conseguenza – ove debitamente informato – ad allarmarsi per la salute mentale e fisica dei propri figli.

Gli argomenti branditi dall’armata di regime sono più o meno sempre gli stessi. Innanzitutto il gender non esiste, è un’invenzione di alcuni visionari, esistono solo i “gender studies” o studi di genere; semmai ad esistere è il genere (cioè la traduzione in italiano del gender) termine di cui infatti la normativa è infarcita e quindi sarebbe difficile negare in toto l’esistenza, ma il cui significato è – per sua prerogativa essenziale – fluido e cangiante, e comunque edificante in ogni senso possibile perché espressione suprema di libertà, ovvero di autodeterminazione illimitata dell’io onnipotente capace di plasmare la natura secondo il proprio capriccio percettivo.

Quindi, coloro che hanno l’impudenza di preoccuparsi – di fronte alla ormai incontrollabile casistica di progetti dissennati registrati nelle scuole italiane e, ora, di fronte a una legge che ratifica tutto il pregresso e promette di meglio e di più – sono tanto per cominciare dei malfidenti, un po’ ignoranti, soprattutto fanatici e oscurantisti. Se poi costoro, nonostante le premurose rassicurazioni ministeriali – che blandiscono docenti e genitori con la carota dei diritti e dell’autonomia, per ribadire col bastone la cogenza del nuovo ordinamento scolastico – si ostinano a segnalare il pericolo incombente e manifesto, allora si tramutano in criminali turbatori della quiete pubblica e della agognata pace universale: come li ha graziosamente definiti la signora Giannini, veri e propri “truffatori culturali” meritevoli di essere, oltre che denigrati dai governanti illuminati in tournée, anche inquisiti dal comitato di salute pubblica e (sperabilmente) puniti in modo esemplare. Dal che emerge tutta l’arroganza di un potere che non possiede più ragioni fondate sulla ragione e al quale non resta quindi che l’esercizio dell’autoritarismo deteriore. L’avvertimento è lanciato per via televisiva e a mezzo stampa a chi osa denunciare prassi scolastiche già diffuse e ampiamente documentate, e si permette di criticare una legge anticostituzionale (lesiva dell’articolo 30 che stabilisce il prioritario dovere/diritto dei genitori a istruire ed educare i figli), nonché iniqua perché immorale.

Di certo, l’autorevole minaccia tradisce un certo nervosismo. Lo stesso nervosismo che serpeggia tra i parlamentari di maggioranza autori della legge – i quali amano autodefinirsi con modestia “legislatori” nel presentarsi al pubblico dei governati – che, se interrogati sulle parti occulte della legge, manifestano un evidente imbarazzo e dribblano dialetticamente l’ostacolo ribaltando la responsabilità sui genitori, chiamati a controllare l’attività scolastica dei figli e a partecipare agli organi collegiali. Come dire: noi vi abbiamo preparato la pozione di veleno, l’abbiamo messa in bottigliette di acqua minerale, e sta a voi assaggiarla prima (o dopo) che venga somministrata a scuola ai vostri bambini. Ma dovete fidarvi, perché tutti dobbiamo essere a priori alleati e il nostro intento è alto e nobile: mira a crescere torme di individui in batteria, destrutturati e plasmabili a piacimento, sottomessi, omologati ed eterodiretti. Ma felici, perché persuasi di essere fieramente autodeterminati e padroni della propria natura e del proprio destino. Come osserva infatti la filosofa-giornalista-deputata PD Michela Marzano intervistata su La7: «Perché i genitori devono mettere bocca sulla educazione sessuale a scuola? Su questi temi delicati la formazione deve essere della scuola, non della famiglia». Appunto.

Lo stesso nervosismo che si percepisce pure tra quei rappresentanti diocesani di vario ordine e grado che hanno abbracciato con solerzia la linea dell’ossequio incondizionato al potere costituito. Atteggiamento in effetti un po’ anomalo da parte di un’istituzione che dovrebbe porsi in alternativa al mondo e alle sue seduzioni. Ma i valori della nuova religione universale – si sa – sono quelli, condivisi, del dialogo e dell’inclusione in una società plurale. E la cura delle anime vada pure a farsi benedire insieme a una verità che non risulta più attraente, ed evidentemente nemmeno remunerativa.

Attenzione però, perché siamo già di fronte a un passaggio ulteriore rispetto al pacifico abbandono buonista di ogni distinzione tra ciò che è bene e ciò che è male. La torsione luciferina del messaggio sedicente cristiano imbocca ora la strada della demonizzazione della resistenza: è pronunciato nella pubblica piazza il proclama di condanna contro chi – in nome di una verità “in tasca” – si discosta dal neo-dogma del pluralismo: il pluralismo, che accoglie con amore nel suo seno qualsiasi idea, tranne appunto quella che esista una verità. L’intolleranza dei professi della nuova religione della tolleranza, cattolici per autocertificazione, arriva al punto di additare chi sfugga alla omologazione coatta come antidemocratico seminatore di odio. Sanno, costoro, di poter far tintinnare le manette in dotazione alla psico-polizia internazionale contro i “discorsi dell’odio” (vedi paragrafo I, sub A e B della Raccomandazione CM/Rec(2010)5 di cui si parla paoc’anzi). Sostanzialmente, contro la parola di Cristo. In questo autentico delirio totalitario, le scuole parentali diventano – udite udite – pericolose nicchie di intransigenza e vivai di disadattamento sociale e sovversione.

Il famoso comma 16 della legge 107/2015 (la buona scuola) non conterrebbe dunque alcun riferimento diretto o indiretto a “fantomatiche” ideologie gender e dintorni, dicono i sostenitori della riforma.

Vale allora la pena di spiegare il gioco di prestigio presentato al pubblico dagli illusionisti di apparato che, sfilando d’improvviso dalla scena l’espediente del gender e mettendo nella penombra il suo omologo italiano, sfoderano al suo posto tutto il repertorio di formule suggestive che di fatto lo sostanzia. Tentano così di sedurre le folle nella veste di paladini della lotta alla omofobia, alla violenza sulle donne (che va combattuta sin dall’asilo insieme al femminicidio piaga sociale dei nostri tempi), alla violenza di genere (che sarebbe sempre la stessa cosa chiamata diversamente, ma repetita iuvant), a ogni discriminazione; della parità tra i sessi che richiede l’abbattimento degli stereotipi, dei ruoli famigliari e sociali, delle tradizioni; delle pari opportunità (ormai rappresentate obbligatoriamente ovunque, dal governo centrale al circolo di bridge), del rispetto per chicchessia (tranne evidentemente per i bambini), dell’uguaglianza, dell’inclusione, dei diritti di tutti (e della responsabilità di nessuno).

È evidente che chi ha potuto agire sinora indisturbato perché acquattato nei meandri di una burocrazia pletorica e militarizzata, ha tutto l’interesse di negare e minimizzare la portata devastante del disegno globale di indottrinamento di massa, per poter riportare tutto sotto soglia e proseguire l’opera di omologazione dei cervelli mascherata di belle parole e buone intenzioni.

Come difendersi dalla pubblicità ingannevole

Di fronte al madornale inganno è però necessario difendersi. Per difendere gli indifesi.

Al tal fine, oltre ad avere presente il gioco di scatole cinesi con cui la legge introduce la nuova etica invertita, bisogna possederne la chiave di lettura, ossia il codice di decrittazione dei testi che ci vengono inflitti. Mi scuso per un’esposizione che potrà apparire pedante, ma che spero utile a fornire gli strumenti essenziali per contrastare un avversario proteiforme.

È imprescindibile innanzitutto l’analisi comparata dei documenti internazionali che costituiscono la matrice ideologica e normativa dei provvedimenti interni. La dipendenza dei secondi dai primi è dichiarata da ambo le parti: gli uni fanno esplicita pressione sulle istituzioni degli Stati membri, gli altri richiamano espressamente le fonti internazionali di cui si rendono esecutori. Questi documenti sono in effetti ormai incontrollabili per numero e per mole. Si segnala però, in particolare, la Risoluzione del comitato dei ministri dell’UE 5/2010 che ha provocato l’adesione volontaria del governo Monti dimissionario, in persona del ministro Fornero, attraverso quella “Strategia nazionale contro le discriminazioni basate sul l’orientamento sessuale e sull’identità di genere” che, pur essendo di per sé priva di alcun valore giuridico, ha fatto da trampolino di lancio di tutti gli interventi successivi di carattere legislativo e amministrativo.

L’adozione della Strategia era stata oculatamente preceduta nel gennaio 2013 da un protocollo di intesa tra ministero del Lavoro con delega alle Pari Opportunità (Fornero) e il Ministero della Istruzione Università Ricerca (Profumo), dove i due contraenti si impegnavano ad agire di concerto per il raggiungimento di obiettivi comuni di sensibilizzazione informazione e formazione dei giovani, nell’ambito di “un ampio processo di riforme che poggia sulla consapevolezza del ruolo primario della scuola e della cultura nello sviluppo della società civile”. È questo l’anello di congiunzione tra tutto l’armamentario prodotto dall’Unar (ufficio istituito presso il dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri in cui opera stabilmente un gruppo di lavoro di 29 associazioni LGBT) e il mondo della scuola.

Per citare solo un paio di passaggi salienti, il documento europeo del 2010 – la cui premessa traccia mirabilmente l’orizzonte ideologico della operazione – raccomanda agli Stati Membri:

1) di passare in rassegna le misure legislative e di altro tipo esistenti, di riesaminarle periodicamente e di raccogliere e analizzare dati pertinenti, al fine di monitorare e riparare qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.

2) di vigilare affinché siano adottate e applicate in modo efficace misure legislative o di altro tipo miranti a combattere ogni discriminazione fondata sull’orientamento sessuale ed sull’identità di genere, a garantire il rispetto dei diritti umani delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali e a promuovere la tolleranza nei loro confronti...

Il capitolo VI dell'allegato alla Raccomandazione è dedicato specificamente all’istruzione, e stabilisce (n.32) che gli Stati membri adottino le «misure appropriate a ogni livello per promuovere la tolleranza e il mutuo rispetto a scuola, a prescindere dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere». E continua specificando che «tali misure dovrebbero comprendere la comunicazione di informazioni oggettive sull'orientamento sessuale e l’identità di genere, per esempio nei programmi scolastici e nel materiale didattico, nonché la fornitura agli alunni e agli studenti delle informazioni, della protezione e del sostegno necessari per consentire loro di vivere secondo il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere».

Per inciso, non è peregrino rilevare come al capitolo IV n.18 della stessa Raccomandazione si affacci il sinistro invito ai paesi membri a legittimare la pedofilia, il che la dice lunga circa la minacciosa perversione che aleggia in questi oscuri organismi burocratici senza volto e senza responsabilità. Ecco il passaggio in questione:

«Gli Stati membri dovrebbero assicurare l’abrogazione di qualsiasi legislazione discriminatoria ai sensi della quale sia considerato reato penale il rapporto sessuale tra adulti consenzienti dello stesso sesso, ivi comprese le disposizioni che stabiliscono una distinzione tra l’età del consenso per gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso o tra eterosessuali; dovrebbero inoltre adottare misure appropriate al fine di abrogare, emendare o applicare in modo compatibile con il principio di non discriminazione qualsiasi disposizione di diritto penale che possa, nella sua formulazione, dare luogo a un'applicazione discriminatoria».

Di recente, il 9 settembre scorso, è stata approvata in Parlamento Europeo nel silenzio generale la risoluzione “Rodrigues”, il cui testo, che si consiglia di leggere integralmente, mette in luce con chiarezza adamantina il piano stringente di asservimento dei popoli al potere perverso delle burocrazie internazionali, agenti di vertice della necrocultura. Solo per brevi cenni:

5. «Invita i responsabili delle politiche in materia di istruzione della Commissione e degli Stati membri a provvedere affinché l’impegno a favore della parità di genere vada oltre le dichiarazioni di principio e le intenzioni politiche e si manifesti in considerevoli aumenti degli sforzi e delle risorse investiti, ricordando l’importanza fondamentale dell’istruzione nella realizzazione del cambiamento culturale».

28. «Incoraggia le autorità competenti degli Stati membri a promuovere la parità di genere nei loro programmi globali di educazione sessuale e relazionale...»

41. «Invita gli Stati membri a elaborare e diffondere orientamenti destinati alle scuole, ai decisori politici nell’ambito dell’istruzione, agli insegnanti e ai responsabili della definizione dei programmi scolastici , in modo da inserire la prospettiva di genere è la parità di genere e assicurare l’eliminazione degli stereotipi e dei pregiudizi sessisti che potrebbero figurare nei libri di testo è nel materiale didattico, sia nei contenuti che a livelli linguistico o nelle illustrazioni, incoraggiandoli anche a combattere il sessismo presente nella letteratura, nel cinema, nella musica, nei giochi, nei media, nella pubblicità e negli altri settori che possono contribuire in modo radicale a modificare l’atteggiamento, il comportamento e l’identità di ragazze e ragazzi».

42. «...Ricorda che vi è ancora molto da fare per migliorare la capacità dei docenti riguardo a come promuovere al meglio la parità di genere; insiste, pertanto, sulla necessità di garantire agli insegnanti, a tutti i livelli dell’istruzione formale e informale, una formazione iniziale continua ed esaustiva, compresi l’apprendimento fra pari e la cooperazione con organizzazioni e agenzie esterne...».

44. «Crede fortemente nel potenziale trasformativo dell’istruzione nel sostenere la causa dell’uguaglianza di genere...».

50. «Sottolinea la necessità che organi indipendenti [associazioni femministe e LGBT?] controllino e valutino i progressi conseguiti all’interno degli istituti di insegnamento in seguito all’adozione di politiche in materia di parità di genere....e che la prospettiva di genere divenga in tempi brevi un criterio di valutazione interna ed esterna degli istituti di insegnamento».

54. «Sottolinea che la supervisione del processo di attuazione dei programmi sulla parità di genere e la rispettiva valutazione devono essere assicurati dai centri di ricerca pedagogica, in stretta collaborazione con gli esperti sulle questioni di genere, gli organi istituiti dall’UE e le autorità locali....».

55. «Propone di istituire un premio annuale europeo per la parità di genere da attribuire agli istituti di insegnamento che si sono distinti nel conseguimento di tale obiettivo ed esorta gli Stati membri a fare altrettanto a livello nazionale».

Ma, oltre alla cornice internazionale in cui la normativa italiana va inquadrata, è opportuno premettere alla analisi della legislazione nazionale vigente un paio di ulteriori avvertenze per l’uso, peraltro autoevidenti a chiunque abbia la pazienza di accostarsi alla documentazione (nazionale e sovranazionale) in materia. Essa presenta la caratteristica costante di ruotare in modo prolisso e defatigante intorno a un repertorio fisso di formule tautologiche, destinate a penetrare nel lessico comune nonostante la loro vacuità sostanziale, come infallibile strumento di propaganda. Per comprendere dunque il testo della legge 107 (la buona scuola) secondo il codice lessicale della nuova antropologia globalizzata è necessario tenere presente che:

1) Il termine genere non è sinonimo di sesso, e dunque non si riferisce al binomio maschio/femmina, ma a tutte le varianti che possono superarlo, in omaggio al principio di autodeterminazione nella scelta della propria identità. Infatti, nei testi, la locuzione “di genere” è disgiunta, in funzione paratattica, rispetto a quella che indica il sesso. Introduce perciò il ventaglio di tutte quelle variabili (appunto “di genere”), che – si prescrive – devono essere oggetto di rispetto, educazione, promozione, non discriminazione…

2) La pretesa violenza o discriminazione delle donne, che sarebbero per dogma inconfutabile imprigionate in obsoleti ruoli stereotipati, è la copertura utilizzata – secondo un plateale piano strategico che si snoda in decenni di indefessa attività degli organismi sovranazionali e che trova il suo definitivo suggello nella conferenza di Istambul contro la violenza sulle donne del 2011 – per introdurre in unico pacchetto la normalizzazione del fenomeno omosessista e dintorni. Il repertorio femminista (minorata condizione femminile, violenza sulle donne, discriminazione, ecc.) è il veicolo per introdurre l’indistinzione sessuale in una forma più potabile, perché più famigliare, alla maggioranza manipolata dalla retorica di regime.
Infine, va segnalato e ribadito un dato di fatto verificabile a chiunque: i progetti di ri-educazione di massa all’omo-indifferentismo sessuale e al pansessualismo sono già diffusi a macchia d'olio nelle scuole di ogni ordine e grado e catalogati tra le sperimentazioni educative condotte all'insegna dei nuovi valori universali; i libri di testo e il materiale scolastico sono già ampiamente contaminati dalla ideologia genderista, evidentemente riformulati in tempi record e passati al vaglio della regia secondo i criteri del codice di autoregolamentazione che discende dall’accordo Polite siglato tra Presidenza del Consiglio/Pari Opportunità (dove, non dimentichiamo, è incardinato stabilmente il gruppo di lavoro costituito da 29 associazioni LGBT) e l’Associazione Italiana Editori.

La normativa vigente senza veli

Ecco quindi, sulla base delle premesse esposte, cosa dispone il comma 16 in questione:

«Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, nel rispetto dei limiti di spesa di cui all’articolo 5-bis comma 1, primo periodo, del predetto decreto-legge n. 93 del 2013».

L’articolo 5 comma 2 della legge 119/2013 richiamata, espone nelle linee generali il “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, la cui elaborazione è demandata al Ministro delegato per le Pari Opportunità e che «deve essere predisposto in sinergia con la nuova programmazione dell’Unione Europea», secondo la previsione del comma 1 dello stesso art. 5. Ora, il Piano è stato presentato il 7 maggio scorso dal delegato per le Pari Opportunità ed è stato adottato con decreto del Presidente del Consiglio il 7 luglio successivo. Consta di un testo articolato in otto punti, nonché di sei allegati espressamente definiti “parte integrante” del piano. Tra le “linee di azione” sono contemplate la comunicazione, la educazione, la formazione. Al punto 5.2, per esempio, sotto il titolo “Educazione”, sta scritto:

«Obiettivo prioritario deve essere quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare per superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini nel rispetto dell’identità di genere, culturale, religiosa, dell’orientamento sessuale, delle opinioni e dello status economico e sociale, sia attraverso la formazione del personale della scuola e dei docenti sia mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica».

Si consiglia in particolare la lettura integrale del punto 2 (obiettivi), del punto 5 (linee di azione) e degli allegati A, B e C del Piano.

Interessante notare la modalità con cui viene integrato il testo legislativo renziano: cioè attraverso un documento formulato e varato da un organismo burocratico privo di fisionomia istituzionale e quindi di responsabilità politica.

Il Piano di azione straordinario è dunque fonte di diritto ed entra a fare parte integrante del corpo della normativa scolastica pur non essendo stato adottato con le procedure previste per la produzione né delle leggi né dei regolamenti. Ha la forma giuridica dell’atto amministrativo generale.

Di fatto, esso opera come una sorta di regolamento di attuazione, ma non è sottoposto al regime dei regolamenti (quindi non gli si applica la vacatio legis; non gli si applica l’irretroattività –– ove contenente norme favorevoli; non gli si applicano le garanzie procedimentali come il parere del Consiglio di Stato; le norme sulla sua interpretazione sono quelle sulla interpretazione dei contratti e non quelle sulle fonti del diritto).

È dunque un atto che sfugge al sistema di garanzie previste dall’ordinamento per le fonti del diritto tanto di primo quanto di secondo grado ma che, di fatto, è fonte di diritto trascinata surrettiziamente allo stesso livello della legge. Per giunta, in una materia cruciale come quella della istruzione scolastica statale.
È il caso di aprire gli occhi, e di sollecitare anche gli altri ad aprirli – nonostante molti non vedano l’ora di essere tranquillizzati sulla assoluta affidabilità dei governanti e dei loro consulenti esterni – di fronte all’attentato senza precedenti sferrato ai fondamenti etici del vivere comune e ai più elementari principi di ragione.

Tramite l’istruzione scolastica, lo Stato pretende di penetrare nella vita intima degli individui per sovvertirne i naturali criteri di comportamento, per manipolarne le coscienze ed espropriare la loro libertà, insieme alla libertà educativa della famiglia. È il momento, prima che sia troppo tardi, di scrollarsi di dosso quell’atteggiamento di sudditanza anche in parte involontario che scatta quando si riconosce la superiorità di un potere altrui che ci è imposto e non si è più in grado di controllare sicché, più questo potere aumenta, più si tende a sottomettersi ad esso. Nonostante la disparità delle forze in campo, nonostante la crescente pressione conformista del gruppo, nonostante il tradimento di molti, la posta in gioco è davvero troppo alta: si tratta di difendere la vita dei nostri figli, vale a dire il nostro futuro e la nostra civiltà.

Elisabetta Frezza
« Ultima modifica: Settembre 30, 2015, 03:23:30 am da Vicus »
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.