Autore Topic: Femminile plurale: un sito per stomaci forti!  (Letto 1150 volte)

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Offline skorpion72

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Femminile plurale: un sito per stomaci forti!
« il: Agosto 25, 2012, 21:01:47 pm »
Queste di FP se la battono bene con le fas in quanto a spargimento a piene mani delle solite teorie femminoidi secondo cui le donne sono perseguitate dagli uomini e bla bla bla.

Ecco due loro post da voltastomaco:

Citazione
Riscossa femminile?
http://femminileplurale.wordpress.com/2012/07/17/riscossa-femminile/

Riportiamo qui di seguito il testo della relazione che abbiamo tenuto a un incontro organizzato a Villa Estense ieri sera nell’ambito della festa “Tempeston”, al quale siamo state invitate a parlare di “Riscossa Femminile” . Hanno partecipato al dibattito: Sara Puddu (vicepresidente dell’associazione “CollegaMenti”), Alessandra Moretti (vicesindaco di Vicenza, PD) e Raffaella Salmaso (Portavoce Regionale delle Donne Democratiche – Veneto).

Negli ultimi anni il discorso delle donne e sulle donne in Italia sembra aver ripreso vigore sul piano della discussione pubblica. Questo non significa che, nel frattempo, questo discorso si fosse interrotto dopo l’esplosione del femminismo negli anni ’60 e ’70. Tuttavia, in particolare per questioni legate allo scenario politico italiano, e alla necessità di opporsi all’ex premier Silvio Berlusconi,  le istanze e le rivendicazioni delle donne sembrano essere state riportate in primo piano: in modi spesso strumentali rispetto agli scopi politici dei partiti, come spesso accade e con effetti quanto meno problematici per le tematiche sollevate dai movimenti delle donne, il ruolo delle donne nella società italiana e la questione del loro accesso a  posizioni di rilievo in questa stessa società sono questioni che oggi impegnano, di nuovo, una parte importante del dibattito pubblico.

Può essere particolarmente opportuno, in questo contesto, parlare dei problemi legati al modo in cui il discorso sulle donne è condotto nel dibattito pubblico e ai paradossi che gli argomenti usati rischiano di produrre – o stanno già producendo, se si pensa all’ennesima auto-candidatura di Silvio Berlusconi e alla probabile presenza di una donna nella posizione di candidata vice-premier.

Nell’ambito delle riflessioni che portiamo avanti come gruppo ci sembra che il dibattito attuale soffra di due ordini principali di problemi: il primo è legato al modo in cui si difende il diritto delle donne ad accedere a pieno titolo all’ambito del lavoro, della partecipazione politica e della partecipazione sociale, ossia a tutto ciò che eccede le mura domestiche e dunque la cura della casa e della famiglia; il secondo ha invece a che fare con una questione fondamentale ancora gravemente irrisolta, ossia il rapporto tra uomini e donne che sta alla base dell’organizzazione della nostra società.

Quanto al primo ordine di problemi, è abbastanza chiaro come nel dibattito attuale sulle donne si punti molto sulle presunte “qualità femminili” per sostenere l’opportunità e la “convenienza” di misure finalizzate a garantire l’accesso delle donne a posizioni di potere sia dal punto di vista economico che dal punto di vista politico. Per quanto riguarda il modo in cui si difende la questione femminile, in altre parole, un grosso problema è determinato dalle argomentazioni che si portano a suo sostegno: tutte ruotano intorno a “doti femminili” spacciate per innate, che in realtà non sono altro che il prodotto del modo tradizionale di intendere il ruolo della donna.

Si pensi, ad esempio, alle cosiddette “quote rosa” nei consigli di amministrazione, nelle liste elettorali, o nei più diversi organismi rappresentativi. Naturalmente siamo d’accordo sulla necessità di garantire uguale rappresentanza a uomini e donne “ovunque si decida”, come recitava lo slogan della campagna UDI di qualche anno fa.

Le donne costituiscono la metà della popolazione italiana, e ci sembra naturale che un sistema democratico garantisca questa rappresentanza. Così naturale, a dire il vero, che l’onere della prova sta, casomai, dalla parte di chi la pensa diversamente. In altre parole, non c’è bisogno di nessun argomento particolare per giustificare la presenza delle donne nella sfera pubblica: ne facciamo parte a pieno titolo e non dobbiamo certo essere trattate – o pensarci – come una minoranza da tutelare o alla quale fare concessioni più o meno generose.

Proprio per questo, ci sembra assurdo e controproducente il richiamo alle famose, e presunte innate, “virtù femminili”: si pensi al gran parlare che si fa di quanto le donne siano più flessibili, comprensive, empatiche, pazienti. Questa non è altro che la banale generalizzazione di una natura femminile inesistente se non in un certo immaginario: se le donne sono state, tradizionalmente, più empatiche o più pazienti, questo è da ricondursi essenzialmente al ruolo nel quale sono state relegate. Un ruolo che si può efficacemente sintetizzare come ruolo di “servizio”, a vario titolo, nei confronti degli uomini e della propria famiglia.

Non solo auspichiamo che questo ruolo sia progressivamente abbandonato nel nome di una reciprocità e di una condivisione della cura intesa in senso generale; ma ci interessa richiamare l’attenzione sul pericolo insito nel richiamo a queste presunte virtù per “vendere” come economicamente conveniente la presenza delle donne nel lavoro e nella società in generale. Come se si trattasse, peraltro, di una scomoda minoranza la cui esistenza non può non essere accettata, ma il cui ruolo attivo nella società deve essere in qualche modo reso appetibile.

Come ha osservato Lea Melandri, voce autorevole del femminismo italiano, “che altro è la ‘femminilizzazione’ del lavoro, della politica, se non l’estensione di un ruolo tradizionalmente domestico all’intera sfera pubblica, la ‘riserva’ di energie chiamate in soccorso di una civiltà in declino?” (Amore e violenza, p. 70)

La verità di questa presunta riscossa femminile sembra essere un po’ meno piacevole di quanto il dibattito attuale voglia far credere. Ciò si comprende ancora meglio se esaminiamo brevemente le modalità di rappresentazione delle donne nella società e nei media. I modelli che vengono impiegati sono limitati, rigidi e riduttivi. Da un lato la donna è oggetto erotico deputato al piacere del maschio, dall’altro è moglie e madre. Ha ragione allora Melandri quando afferma:“il corpo femminile che oggi la fa da protagonista è dunque, da un lato, il corpo erotico, la seduzione e, dall’altro, il corpo materno … come valorizzazione delle ‘doti femminili’, una richiesta che viene anche dal sistema produttivo, dalla nuova economia. È quello che nelle ricerche dell’Università Bocconi si chiama il Valore D” (ibid., p. 74).

Siamo sicure di voler cavalcare quest’onda? Non è forse necessario, una volta per tutte, gettare uno sguardo più profondo e condurre un’analisi più radicale delle dinamiche tra i sessi che strutturano la nostra società?

Si apre qui il secondo ordine di problemi, quello più profondo.

C’è una verità scomoda di cui è necessario prendere atto: l’ambito politico ed economico, come hanno funzionato sino ad ora, si basano in modo essenziale su un’immensa quantità di lavoro gratuito femminile. Di ciò che riguarda la gestione della casa e della famiglia – se pure in un clima che negli ultimi anni ha visto un inizio di mutamento negli equilibri – si ritiene tuttora che siano le donne a doversi occupare in modo quasi esclusivo.

Il fatto stesso che la famosa questione della “conciliazione di lavoro e famiglia” riguardi tuttora sempre e soltanto le donne la dice lunga. E quello che ci dice è che la famiglia, la cura della casa, dei figli e degli anziani è ancora principalmente una faccenda di donne e da donne. Finché non si affronta questo problema, parlare di quote rosa sarà sì opportuno, ma risolverà gran poco.

Se si vuole garantire spazio alle donne, pensare di farlo lasciando intatte le dinamiche sociali in virtù delle quali privato e pubblico sono separati e il primo è occupazione e dovere esclusivamente femminile, il risultato dell’operazione sarà un carico insostenibile per qualsiasi donna – a meno che il discorso non ci interessi solo per le esponenti di classi sociali molto elevate, che possono senz’altro delegare i loro compiti “domestici” a qualcun altro: nella fattispecie, a donne meno privilegiate di loro, e ovviamente sottopagate.

È quindi necessario, anzi imperativo, ridiscutere gli equilibri tra i sessi: e visto che su questi equilibri si è retta l’intera società per come la conosciamo, se vogliamo portare avanti in modo serio il dibattito sulla questione femminile, dobbiamo ammettere come complementare e necessaria una questione maschile.

Ripensare il ruolo delle donne dall’interno, per così dire, porterà sempre a risultati parziali se non controproducenti per la qualità della nostra vita. Porterà – come è già accaduto e come sta accadendo – a strumentalizzare la questione femminile e a usarla come strategia elettorale a poco prezzo: e qui ritorno alle battute iniziali di questo intervento. Un dibattito superficiale sulla presenza delle donne in politica, come è stato condotto fino ad ora dalla politica mainstream, fa in modo che chiunque piazzi una donna in una posizione più o meno rilevante possa acquisire un vantaggio mediatico a cui fanno da contrappeso una “sostanza politica” e un cambiamento concreto dei rapporti sociali del tutto carenti, se non nulli.

Una questione essenziale in questo senso è quella della welfare: dove sono gli asili? Dov’è il tempo lungo nelle scuole? Dov’è l’assistenza sanitaria e sociale agli anziani? Sono disposti, gli uomini che tanto sostengono i diritti delle donne, a prendersi delle responsabilità? Delle carenze del sistema sociale, tradizionalmente, si fanno carico le donne.

La carriera degli uomini, e la loro possibilità di impegnarsi nella sfera pubblica, è garantita dal sacrificio di realizzazione personale e di partecipazione politica da parte delle donne. Si dice spesso che dietro ogni grande uomo c’è una grande donna. È il momento di ammettere che quella “grande” donna (o piccola, perché questo vale per tutti i livelli) è una donna che ha rinunciato alla sua vita e alla sua individualità per sostenere i desideri, le aspirazioni e i successi dell’uomo al quale è vicina.

Citazione
#NOPAS: Comunicato congiunto
http://femminileplurale.wordpress.com/2012/06/15/nopas-comunicato-congiunto/#comment-3669

Anche FP si unisce al comunicato emesso dalla Casa Internazionale delle Donne e da altre realtà associative relativo alla discussione che si sta tenendo in Senato in merito all’affido condiviso.

“In questi giorni la Commissione giustizia del Senato discute le norme a modifica della legge sull’affido condiviso (54/2006) entrata in vigore in Italia sei anni fa, una legge che dovrebbe garantire la bigenitorialità e la possibilità per i bambini di crescere con entrambi i genitori che si separano. Disegni di legge in cui sono presenti importanti “ritocchi” che stravolgerebbero il principio base della bigenitorialità spostando il peso dalla condivisione a un riconoscimento “sostanziale” nei confronti del padre, ritocchi che riportano alla memoria il concetto di “patria potestà” cancellato nel 1975 con il nuovo diritto di famiglia.

Nel ddl 957 per esempio, proposto da Pdl e Udc sulla potestà dei genitori (Art. 316, cc), si recita che se anche “il figlio è soggetto alla potestà dei genitori sino all’età maggiore o alla emancipazione” nel momento i cui “sussiste un incombente pericolo di grave pregiudizio per il figlio, il padre può adottare i provvedimenti urgenti ed indifferibili (322)”: un potere dato al padre che esclude la madre. Mentre nell’art. 9 propone che “il comprovato condizionamento della volontà del minore, in particolare se mirato al rifiuto dell’altro genitore attivando la sindrome di alienazione genitoriale, costituisce inadempienza grave, che può comportare l’esclusione dall’affidamento”.

Il dibattito è tale che i disegni di legge presentati sono cinque: ddl 957 (Pdl e Udc), ddl 2800 (Idv), ddl 2425 (radicali e Pd), e ddl 3289 (Achille Serra UDC-SVP) al Senato, e ddl 5257 presentato da Michaela Biancofiore (PDL) alla Camera.

Il dato inquietante, oltre alla pretesa di far comunicare tra loro i genitori su ogni dettaglio della vita di figlie e figli anche quando la separazione è avvenuta per via delle violenze agite da un partner sull’altro, è che tutti i ddl hanno in comune l’inserimento della Pas (Parental Alienation Syndrome) nella norma di legge, una modifica che porterebbe l’Italia a riconoscere una sindrome mai scientificamente provata e classificata come “scienza spazzatura” dal contesto scientifico internazionale.

La Pas, sindrome inventata dallo psichiatra Richard Gardner che sosteneva come “non vi fosse nulla di particolarmente sbagliato nella pedofilia, incestuosa o meno”, è stata negli ultimi dieci anni sottoposta a rigorose verifiche scientifiche, sia di parte psichiatrica sia di parte giuridica, e già nel 2002 la Prof.ssa Carol Bruch, docente di discipline giuridiche all’Università Davis della California, concluse che la PAS non ha né basi logiche né tanto meno scientifiche, mentre in Spagna l’Associazione Neuropsichiatrica Spagnola (AEN) ha raccomandato ai suoi iscritti di non usarla in quanto “non ha alcun fondamento scientifico e presenta gravi rischi nella sua applicazione in tribunale”.

I tribunali italiani, invece, la usano con sempre maggiore frequenza, e proprio nel caso in cui uno dei due genitori sia autore di violenza domestica, con lo scopo fin troppo evidente che il genitore maltrattante sia in realtà messo in cattiva luce dal coniuge maltrattato, e per di più accusato di manipolazione. E di fronte all’aumento della violenza domestica, che non è “conflittualità” ma un grave reato che avviene sovente di fronte ai minori, che ne riportano danni irreparabili, si rischia che la strumentalizzazione della Pas da parte del genitore abusante, che per la maggior parte dei casi in Italia è il padre, possa allargare il condono di violenze, abusi, maltrattamenti entro le mura di casa con il timbro delle istituzioni che invece di proteggere, esporrebbero in questo modo, non solo le donne ma anche i minori presenti.

In Italia e in Europa, come riportato nel dossier per l’Onu“Femmicidio e femminicidio in Europa. Gli omicidi basati sul genere quale esito della violenza nelle relazioni di intimità”. – il 70% dei femmicidi è legato a violenza domestica, mentre è ancora attuale la ricerca del progetto Daphne III, Spettatori e Vittime: i bambini e le bambine che assistono ad un atto di violenza, lo subiscono, per cui delle 7 milioni di donne che tra i 16 e i 70 anni hanno subito una qualche forma di violenza, con circa 700 mila che avevano figli al momento della violenza e un totale di circa 400 mila bambini che hanno assistito a violenze.

E non dimentichiamo che, in Italia, ad oggi sono già 63 le donne ammazzate dal partner.

Ed è per questo, per arginare la violenza che si nasconde entro le mura domestiche, che le donne e gli uomini si mobilitano con la volontà di bloccare i disegni di legge di modifica dell’affido condiviso, chiarendo che la denuncia della violenza domestica non è un escamotage per avere condizioni migliori di separazione e che avere vicino un padre responsabile e abile a crescere i figli in maniera condivisa è, per una madre, una risorsa e non un ostacolo a una vita felice. Per questo una proposta seria e alternativa sulla bigenitorialità deve prevedere esplicitamente che quando un partner è violento, prima o dopo la separazione, gli sia negato o revocato l’affido condiviso.”

Casa Internazionale delle Donne – Roma; UDI nazionale; Piattaforma CEDAW; Associazione Differenza Donna; Associazione Donne, Diritti e Giustizia; Associazione Giuristi Democratici; Associazione Il Cortile; Associazione Maschile Plurale; Associazione A.R.Pa Ass. Raggiungimento Parità donna uomo; Bambini Coraggiosi; Cooperativa Be Free; D.I.Re – Donne in rete contro la violenza; Fondazione Pangea; Lorella Zanardo- Il corpo delle donne; Movimento per l’Infanzia; Zeroviolenzadonne; Femminismo a Sud, Vita da streghe, Femminile Plurale.

Per info e adesioni: segreteria@casainternazionaledelledonne.org

Qualcuno vuol dialogare pure con queste?
I discorsi delle femministe fanno sempre molto "rumore"...il problema è che puzzano anche da morire

Offline krool

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Re:Femminile plurale: un sito per stomaci forti!
« Risposta #1 il: Agosto 25, 2012, 21:12:18 pm »
Macchè, non riusciamo nemmeno a dialogare tra di noi (tramite messaggi privati, skorpion... :( ).

Offline Peter Bark

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Re:Femminile plurale: un sito per stomaci forti!
« Risposta #2 il: Agosto 25, 2012, 21:16:47 pm »
sempre la solita minestra...
marciano sempre sulle solite stronzate...la femmina lavora e poi deve badare alla casa e ai bambini...
solo che non ci sono riscontri oggettivi di sta roba.
voglio dire.se dieci milioni di femmine lavorano,chi mi assicura che dopo 8 ore di massacri e frustrate davanti al pc in un caldo ufficio,si massacrino ancora per servire bambini e marito,e non sia il marito a preparare la cena e a curare i bambini?
l'unica cosa di oggettivo e che le femmine se ne fottono della politica,ma pretendono parità di rappresentanza anche li pur essendo un duecentesimo degli uomini. qualcuno lungimirante disse:Cosí un pericolo non piccolo sorge quando vengono loro affidate la politica e certi settori della scienza (per esempio la storia). Giacché: che cosa è piú raro di una donna che sappia veramente che cos’è la scienza? Le migliori nutrono addirittura in seno un segreto disprezzo nei suoi riguardi, come se in qualche modo le fossero superiori.

Uno che non le capiva...
ci ha colto in pieno invece,la politica non è mai stata così merdosa e antidemocratica come da quando hanno voluto mettersi in mezzo delle femmine,ovviamente non per vera passione ma per i soliti capricci da complessate.

Offline Cato

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Re:Femminile plurale: un sito per stomaci forti!
« Risposta #3 il: Agosto 25, 2012, 21:46:26 pm »
Le quote rosa servono a far avere anti-democraticamente un 30% a partiti femministi,
che, dove esistono, democraticamente riscuotono solo attorno allo 0.5%.