Breve parentesi nel mondo reale: la vera ragione per cui la Slaughter se ne è andata è che all'università di Princeton si perde il posto da professore a tempo indeterminato dopo due anni di aspettativa. Ergo, fra la prospettiva di perdere quella lauta, tranquilla e sicura carriera e quella di mantenere una poltrona faticosa, insicura e traballante (la Slaughter non si è distinta per bravura ed efficienza, lo spoils system non perdona e alle prossime elezioni sarebbe stata sicuramente silurata), ha scelto la prima.
Tornando nell'iperuranio delle idee, delle belle opinioni e dell'aria fritta, a me sembra che la vexata quaestio sulla "scelta obbligatoria" che le donne debbano sostenere fra famiglia e carriera sia una quaestio de lana caprina.
Qui si fa sempre l'esempio di supermanager, consiglieri d'amministrazione delle Big 500, megaprofessori da Ivy League con cattedre in quattro continenti, ministri, presidenti, funzionari d'alto livello. Sembra quasi che ogni donna, perfino la Maria Pia di via Martiri della Liberazione, in un momento della sua vita si trovi a dover scegliere fra dirigere la FIAT e la possibilità di cantare ogni notte la ninna nanna ai figli. Tanto è grave e diffuso il problema che, a beneficio di tutte le donne, si deve ricorrere alle quote rosa nei CdA o nel consiglio dei ministri, il vero problema che angustia la donna di strada.
"Ora sì che la vita è migliore, con il 20% di donne nei CdA dell'Ansaldo-Breda e della Juventus"
"Già. Si respira tutta un'aria diversa, in casa! La vita è più luminosa, ora. C'è speranza all'orizzonte". Al mercato rionale del pesce non si parla d'altro. Giusto? Giusto? In realtà no.
Sempre nel solito mondo reale, sono pochissimi gli uomini e le donne che aspirano a quelle posizioni di altissima responsabilità. Sia per una questione numerica (stiamo parlando di un pugno di eletti), sia per una questione di vivibilità: un sottosegretario agli Esteri o un amministratore delegato devono ipso facto condurre, indipendentemente da tutto, una vita da pallina del flipper, rimbalzati da una parte all'altra del globo senza il benché minimo riguardo per la vita domestica. Sono i loro compiti istituzionali. È incluso nel pacchetto che debbano vivere in aeroporto, dormire pochissimo, passare buona parte del tempo vigile in riunione o al telefono, essere in quattro nazioni simultaneamente, lavorare ventiquattr'ore al giorno, mangiare come capita, essere reperibili in qualsiasi istante per essere inviati agli antipodi.
Maschio o femmina che sia il soggetto, il lavoro è lo stesso.
Dubito seriamente che i figli di Marchionne o di Mario Monti abbiano visto il padre molte più volte di quante i figli della Slaughter vedessero la madre. Nemmeno le grandi manager scandinave hanno l'opportunità di seguire passo passo i propri bambini (una volta lessi, non so dove: "Dietro ogni grande donna c'è una piccola donna che le pulisce la casa e le spupazza i figli"). Se vuoi perseguire una certa carriera, devi obbligatoriamente mettere in conto di sacrificare del tempo per la famiglia: in questo la Slaughter ha ragione, non possono "avere tutto" (del resto, l'erba voglio non cresce né nel giardino dei re né in quello dei dirigenti ministeriali). Invece, la maggior parte delle donne (e degli uomini) aspirano semplicemente ad una "buona condizione media", per citare il padre di Robinson Crusoe. Una condizione in cui i vantaggi e le gratificazioni della propria professione superino, di poco, gli svantaggi e le responsabilità, per poter condurre una vita dignitosa ma tranquilla.
Certamente c'è sempre il problema della famiglia. Ma credo che un buon sistema di welfare possa tranquillamente permettere alla Maria Pia di cui si parlava prima di lasciare i figli al sicuro mentre va al lavoro, per poi tornare a prenderli alla fine del regolare orario lavorativo e poter passare tutto il tempo del mondo con loro. Senza bisogno di quote rosa.