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Via libera dal Senato: un terzo di candidate in lista e par condicio in tv. Fuori chi viola la norma. Nei Comuni possibili due voti se dati a esponenti di sesso diversodi Annalisa Cuzzocrea da La Repubblica, 11 ottobre 2012Con uno sguardo agli schermi che mostrano l’aula, i senatori di passaggio per un caffè alla buvette scuotono la testa. “Un obbrobrio”, “Una cosa indecente”, “Incostituzionale”. La legge che garantisce un terzo di donne nelle liste elettorali e la doppia preferenza di genere alle comunali è passata con 60 voti contrari e 30 astenuti.Ma è passata dopo che nell’aula del Senato è andata in scena un’autentica guerra tra i sessi, con un tifo da stadio per gli esponenti del Pdl che, uno dopo l’altro, si alzavano per dire che no, nonostante una delle relatrici fosse dei loro, nonostante le lunghe mediazioni portate fin qui, questa legge non s’ha da fare. Stefano De Lillo, Lucio Malan, Carlo Giovanardi hanno votato in dissenso dal loro gruppo insieme ad altri 57. L’80 per cento del partito di Silvio Berlusconi aveva deciso di affossare le quote rosa. Il leghista Sergio Divina – che ha guidato la pattuglia dei 30 astenuti, ben sapendo che l’astensione a Palazzo Madama vale voto contrario – ha spiegato che «il mondo femminile è in gran parte disinteressato alla politica», e che «se noi forzosamente imponiamo alle donne di dover partecipare alla vita democratica, violiamo il principio di meritocrazia».Le senatrici provano a spiegare. Raccontano – lo ha fatto Adriana Poli Bortone – di quando nel ’67 in un consiglio comunale della Puglia erano in 4, e ora nello stesso consiglio le donne sono solo 2. Niente da fare. Giovanardi si infervora: «È un manifesto ideologico, la decadenza di un uomo in caso manchi una donna in lista è una cosa aberrante. Ne fuciliamo uno a caso per dare l’esempio. Questo è disprezzo per le persone». Nel frattempo, in Transatlantico, il senatore Fedele Sanciu dice a Beppe Pisanu: «È una cosa assurda. Per fortuna deve tornare alla Camera, c’è la speranza del voto segreto».Non saranno gli stessi del 2005, i parlamentari italiani. Non saranno gli stessi che grazie al voto segreto, maschile e trasversale, impallinarono il timido emendamento di Stefania Prestigiacomo dicendo cose come «le donne non ci devono scassare la minchia» (copyright Pippo Gianni). Il clima, però, è sempre quello.La legge approvata ieri – se nonostante i propositi bellicosi del centrodestra riuscirà a superare l’ultimo esame della Camera – andrà applicata dalle prossime elezioni. Prevede che nelle liste dei candidati alle comunali nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore ai due terzi. E che, qualora non sia così, la lista venga ridotta cancellando i nomi dei candidati appartenenti al genere più rappresentato. In caso di violazione di questo principio, nei comuni sopra i 15mila abitanti, la lista decade. I paesi più piccoli sono stati salvaguardati dalla sanzione più dura perché lì decadrebbe anche il sindaco. C’è poi la possibilità di esprimere due preferenze, invece che una, per i candidati a consigliere comunale, a patto che si tratti di un uomo e di una donna. In caso contrario, si annulla la seconda preferenza.Le trasmissioni di comunicazione politica sono invitate a rispettare «i principi dell’articolo 51 della Costituzione» sulle quote rosa «per la promozione delle pari opportunità ». Infine, si invitano i consigli regionali ad adeguarsi alla parità di accesso per le cariche elettive.Se si guarda alle norme vigenti in Francia, Spagna, Belgio, non è nulla di straordinario. Non lo è soprattutto se si considera che da noi la rappresentanza femminile in Parlamento è del 20 per cento, contro l’oltre 40 di Svezia e Paesi Bassi. «Viva le donne», dice Beppe Pisanu al cronista che gli chiede cosa ne pensi. Ma il suo gruppo? «Io ho votato sempre a favore. Loro hanno le idee confuse». Talmente confuse che in uno dei suoi interventi Malan fa l’esempio di Vladimir Luxuria per dimostrare l’inapplicabilità della legge. «Il punto è che devono rinunciare a una poltrona – dice affranta l’Idv Giuliana Carlino – tanti giri di parole, ma la sostanza è quella».