Caso Meredith, i media stranieri processano l’Italia e salvano Amanda Italia
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Aggiungi a Facebookdi Fabrizia B. Maggi4 Dicembre 2009 .Mancano alcune ore perché il processo più atteso del momento, quello presso la Corte d’Assise di Perugia per l’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, giunga finalmente ad una svolta. Dopo più di due anni di dibattiti, rinvii e udienze, i sei giudici sono entrati in camera di consiglio per decidere il destino dei due accusati, la giovane americana e coinquilina di Meredith, Amanda Knox, e l’ex fidanzato di quest’ultima, Raffaele Sollecito. La sentenza è attesa già in serata, ma per molti la colpevolezza di Amanda è stata decisa da un bel po’ di tempo, addirittura per molti nel momento in cui la sua faccia è finita su tutti i giornali del mondo. Andando a “rovistare” tra i giornali stranieri una cosa però è certa: sotto accusa più che i due fidanzatini di Perugia è finita l’Italia intera, la nostra cultura e il nostro sistema giudiziario.
Il processo di Perugia, man mano che le indagini andavano avanti e trapelavano i dettagli dell’omicidio, ha cominciato a scuotere le coscienze. Ma a colpire l’opinione pubblica è stata soprattutto l’ipotesi avanzata dai pm, ancora oggi la tesi dell’accusa. La mente del terribile omicidio sarebbe stata proprio la ragazza dagli occhi blu e il volto angelico che – spinta da qualche spinello di troppo – avrebbe avuto la brillante idea di organizzare un’orgia con il fidanzato Sollecito, la compagna di casa Meredith e l’ivoriano Rudy Guede, un ragazzo che aveva, poco prima, avuto un rapporto sessuale con la studentessa inglese. Al rifiuto di Meredith, Amanda avrebbe risposto con una coltellata alla gola, aiutata dai due ragazzi, forse un po’ troppo su di giri. Ma se da un lato Guede ha ammesso di trovarsi nella casa la sera dell’omicidio (e l’impronta della sua mano insanguinata nella stanza lo conferma), dall’altro Amanda e Raffaele hanno dichiarato che quella notte erano nella casa di Sollecito e non nell’appartamento di via della Pergola.
Messa così, la vicenda sembra una delle migliori storie di Edgar Allan Poe e, volente o nolente, i media italiani e la stessa magistratura hanno contribuito a trasformare il processo per l’omicidio di una ventenne in uno show mediatico. Negli ultimi giorni, poi, tanto l’accusa quanto la difesa si sono dilettati nel citare durante le loro arringhe personaggi cinematografici (da Amelie, protagonista del film francese “Il fantastico mondo di Amelie”, a Jack lo Squartatore) e dei cartoni animati (I tre porcellini) per descrivere il lato oscuro e le vere personalità degli accusati. Sulla dinamica della vicenda e sulle prove materiali che inchioderebbero i due giovani è passato meno rispetto a quanto l’informazione avrebbe dovuto/potuto fare. Non è un caso quindi che nel mirino dei media internazionali – specialmente quelli americani e inglesi – siano piovute accuse di tutti i tipi.
Nel migliore dei casi, l’Italia – e Perugia in primis – è stata dipinta come un Paese retrogrado, fortemente cattolico, non abituato alle stravaganze di una ragazza americana, moderna, indipendente ed emancipata.
(Povera stella) La mentalità italiana è stata incolpata di essere maschilista (Timothy Egan a giugno scriveva sul New York Times: “... they would never do that to a man”, cioè “non l’avrebbero mai fatto se si fosse trattato di un uomo” riferendosi alla diffusione di dettagli sconci della vita sessuale della studentessa di Seattle), moralista (la giustizia italiana starebbe giudicando Amanda non sui fatti certi ma per il suo “comportamento inappropriato”) e antiamericana (“Agli italiani non piace l’arroganza americana e questo si estende anche alla visione del sistema giudiziario”). A soffiare sul fuoco ci si è messa anche la stessa sorella della Knox che, in un’intervista alla NBC di qualche mese fa, affermava di fronte a milioni di statunitensi che Amanda veniva perseguitata perché “ è straniera, americana e bella”. a non è tutto. I media stranieri sono andati giù duro anche nei confronti della magistratura italiana. In generale, accusano i giudici di fare un processo senza prove materiali e basato solamente su speculazioni e sospetti. E lo fanno con toni che vanno dal “processo fondato sull’antico codice italiano del salvare la faccia e la difesa dell’onore” (sempre Timothy Egan del NYT, 2 dicembre 2009) al processo “inquisitorio simile a quelli del XVI° secolo” (Alex Rossi sul Blog di Sky.com, 3 dicembre 2009). Molti ricorderanno l’articolo di Egan “An Innocent Abroad” in cui accusa apertamente il pm Giuliano Mignini di cercare di ottenere fama e reputazione – nonché un avanzamento di carriera – utilizzando gli stessi argomenti (il satanismo) che lo portarono a riaprire anni fa il dossier sul famoso “mostro di Firenze”.
Nel mirino ci sono anche i tempi e i modi del processo penale italiano. Da un lato, i media anglosassoni non riescono proprio a capire come sia aspettare due anni per una sentenza d’omicidio, sottolineando che tempi così lunghi mettono a dura prova la memoria dei giudici. (In particolare non è passato inosservato il fatto che a giugno i giudici si sarebbero presi una lunga pausa estiva). Dall’altro, ribadiscono l’inesistenza di alcuna prova che dimostri la presenza di Amanda e Raffaele nella scena del crimine e sottolineano gli sforzi dell’accusa per cercare un movente (Meredith era una ragazza pulita mentre Amanda molto meno attenta all’igiene, quindi per i pm le diverse abitudini delle due studentesse avrebbero nel tempo accresciuto l’odio e il conflitto. Il rancore di Amanda nei confronti della coinquilina sarebbe stato sostenuto da Sollecito, un ragazzo senza personalità disposto a fare di tutto per l’americana). Il quotidiano inglese The Independent lo scorso 24 novembre scriveva che “il caso rafforza l’impressione che il mondo ha sul sistema giuridico italiano, ossia che non solo è diabolicamente lento ma è anche paurosamente inclino all’errore”.
Non mancano critiche ai pm “regolarmente fanno trapelare le loro teorie ai giornali, con tutti i particolari della vicenda e i giornalisti competono per ottenere le notizie più appetitose” né il fatto che durante l’interrogatorio della studentessa americana non siano stati presenti né un traduttore né un avvocato. Si tratta dello stesso colloquio con gli investigatori in cui, secondo quanto ha denunciato la Knox davanti ai giudici, la polizia l’avrebbe schiaffeggiata e l’avrebbe insultata chiamandola “stupida bugiarda” (vicenda per la quale ora anche l’intera famiglia Knox verrà processata per diffamazione alle autorità). Inoltre, il fatto che l’unica prova che piazza Raffaele e Amanda sul luogo del delitto – due tracce di Dna sul reggiseno di Meredith – sia stata scoperta 6 settimane dopo l’omicidio, ha messo sull’attenti più di un giornalista straniero in merito alla possibilità di contaminazione e manipolazione.
Di fronte a certe accuse alla magistratura italiana, in effetti, c’è poco da ribattere. Il sistema giudiziario è lento e le prove contro i due accusati non sono proprio schiaccianti. L’impressione poi è che – a differenza di altri processi, come quello di Cogne – i media e gli stessi avvocati siano stati più attenti alla psicologia dei due giovani che alla dinamica dell’omicidio. Di certo la giustizia italiana seguirà il suo corso. Un corso che, almeno da noi, non porterà alla pena di morte, come sarebbe invece successo se la vicenda fosse accaduta a Seattle, la città di Amanda.
MA vaffanculo a voi e il maschilismo...