Autore Topic: La matriarca capessa d'impresa  (Letto 1576 volte)

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Offline Fazer

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La matriarca capessa d'impresa
« il: Ottobre 13, 2016, 11:41:44 am »
scorretto dire che le donne non sono fatte per comandare
suicida non dirlo

A proposito:
http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/16_ottobre_13/nonna-gilardoni-padrona-barricata-azienda-mandello-fda16e96-90b5-11e6-824f-a5f77719a1a0.shtml

Nonna Gilardoni si barrica
«Mai l’azienda a mio figlio»

Maria Cristina Gilardoni, 83 anni, Cavaliere del lavoro, con i suoi atteggiamenti ha messo in fuga decine di dipendenti. Il giudice l’ha estromessa ma lei «occupa» l’ufficio

Per i lavoratori della Gilardoni Raggi X di Mandello, al di là di quello che diceva il calendario, la giornata di mercoledì era una sorta di 25 aprile, un giorno di liberazione dopo anni di giornate di tensione vissute all’interno dello storico stabilimento in riva al lago. Da mercoledì, infatti, per effetto della sentenza emessa 24 ore prima dal Tribunale di Milano, la presidente Maria Cristina Gilardoni, cavaliere del lavoro di 83 anni, non ha più l’autorità formale per governare l’azienda fondata dal padre Arturo, un piccolo gioiello industriale lombardo che finora ha dominato il mercato mondiale delle apparecchiature a raggi X, sia nel settore della diagnostica medica sia in quello — delicato e in espansione per evidenti motivi — della sicurezza, dagli aeroporti agli edifici istituzionali.

Secondo le disposizioni del giudice Elena Riva Crugnola, da mercoledì la Gilardoni Spa è sotto la responsabilità di un amministratore giudiziario, Marco Taccani Gilardoni, che è anche figlio della presidente esautorata. All’origine della decisione del tribunale civile c’è la causa per «distruzione di valore d’impresa» avviata da Andrea Ascani Orsini, nipote della signora Gilardoni e titolare del 45 per cento delle quote sociali. A fare scattare questa piccola Dinasty lariana sono stati gli atteggiamenti reiterati negli anni della presidente-padrona nei confronti dei dipendenti: vessazioni, umiliazioni, richiami, sanzioni (ma anche lancio di oggetti) che da un lato hanno indotto molti lavoratori a gettare la spugna e a dimettersi anche in assenza di alternative occupazionali, dall’altro hanno progressivamente impoverito l’organigramma, soprattutto per quanto riguarda figure operative e decisionali importantissime per un’azienda ad alta tecnologia che opera su un mercato planetario.
Così, mentre è aperta alla procura di Lecco un’inchiesta penale basata sull’ipotesi di reato di maltrattamenti a carico di Maria Cristina Gilardoni e un suo uomo di fiducia, nonché capo del personale Roberto Redaelli, l’approdo a sentenza del filone giudiziario civile ha segnato un punto di svolta nella vita dello stabilimento. Un cambiamento – è il caso di dirlo – di regime.
Mercoledì mattina, infatti, tra i lavoratori reduci dalla grande fuga di questi ultimi tre anni (un centinaio scarso) c’era grande attesa, curiosità intrisa di una diffidenza alimentata da anni di giornate amare. «Il dottor Marco» lo conoscono bene, ha lavorato per anni come manager nell’azienda fondata da nonno Arturo, «ed è tutt’altra persona rispetto a sua mamma», raccontano ancora spaventati dall’idea di testimoniare con nomi, cognomi e volti. Ricordano con un piacere impolverato dalla lunga stagione della brutalità che «il giorno in cui lasciò l’azienda, il dottor Marco Gilardoni passò a stringerci la mano uno per uno». Però ancora non si fidano, ancora non ci credono. Anche perché, mercoledì mattina, sin dalle 6.30, come suo solito, la presidente ha varcato il cancello dello stabilimento a bordo della sua utilitaria e si è diretta nel suo ufficio con il solito passo deciso. Verso le 8 è arrivato in azienda anche il fido Redaelli.
Dalla palazzina uffici, già a metà mattinata, sono filtrati racconti di faldoni di documenti scaraventati e di una litania di improperi indirizzati ai «giudici comunisti», al suo stesso avvocato e anche al figlio-commissario fresco di nomina: «Figuriamoci se lascio l’azienda in mano a Marco…». Questo raccontano, con un sorriso ancora frenato dalla paura, i lavoratori più vicini alla plancia di comando.
«È stata una giornata normale — riassume Marco Soggetti, delegato sindacale della Fim Cisl — nel senso che come ogni giorno sono volate parole e gesti ruvidi da parte della signora Gilardoni». La liberazione non è arrivata. L’atteso ingresso del capo buono non c’è stato. Ma a quanto pare, il tam tam interno aveva già diffuso la notizia. Marco Gilardoni avrebbe speso il primo giorno da commissario giudiziario a ricucire rapporti che erano stati troncati in modo secco nei mesi scorsi. L’obiettivo prioritario sarebbe quello di recuperare clienti, commesse e buone relazioni con il mondo di riferimento dell’azienda. Compreso quel 70 per cento di aeroporti italiani che utilizzano macchinari concepiti e prodotti nello stabilimento in riva a quel ramo del lago e che richiedono manutenzione, aggiornamenti dei software e tutte le attenzioni indispensabili in un momento moto delicato dal punto di vista della sicurezza.
L’ingresso in azienda, dunque, è stato rinviato di 24 ore anche per evitare lo scontro diretto. Marco Gilardoni conosce bene sua madre ed evidentemente immaginava che lo avrebbe atteso con atteggiamento tutt’altro che conciliante. E poiché, come raccontano gli stessi lavoratori che l’hanno conosciuto, «è uno che ha sempre cercato di smussare i conflitti», ha deciso di presentarsi soltanto giovedì, accompagnato dal suo staff di legali. Ma mercoledì sera davanti ai cancelli, alla fine della giornata di lavoro, qualche operaio si diceva convinto che «dovrà intervenire anche la forza pubblica», perché «lei non cederà mai».
Poi riparte la gara dei racconti dolorosi: «Ti ricordi quando è morto il nostro collega e ha detto che ai funerali poteva andare soltanto uno per reparto?». «E quello lì che tre settimane fa è entrato per il primo giorno di lavoro e dopo un quarto d’ora si è dimesso?».È ricca la galleria di episodi che hanno segnato le giornate dietro quei cancelli. Molti fanno parte di un fascicolo giudiziario penale. Ma intanto qualcosa è successo. E poco importa se il 25 aprile alla Gilardoni arriverà con un giorno di ritardo.

Offline COSMOS1

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Re: La matriarca capessa d'impresa
« Risposta #1 il: Ottobre 13, 2016, 18:07:34 pm »
 :lol:
storie di ordinario femminismo
in senso proprio e stretto
Dio cè
MA NON SEI TU
Rilassati

Online Frank

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Re: La matriarca capessa d'impresa
« Risposta #2 il: Ottobre 13, 2016, 18:18:19 pm »
Citazione
A fare scattare questa piccola Dinasty lariana sono stati gli atteggiamenti reiterati negli anni della presidente-padrona nei confronti dei dipendenti: vessazioni, umiliazioni, richiami, sanzioni (ma anche lancio di oggetti)

In ambito lavorativo non mi è mai capitato qualcosa del genere, ma un fatto è certo: una ipotetica capa che mi tirasse, o mi avesse tirato degli oggetti, dovrebbe (o avrebbe dovuto) iniziare a correre più velocemente di Mennea.
Poi sì, io perderei il lavoro e sicuramente mi beccherei una denuncia, con tutte le conseguenze del caso; ma quattro bei schiaffoni e un paio di calci in culo non glieli toglierebbe nessuno alla stronza in questione.
Occhio per occhio, dente per dente.
Certa gente non merita il minimo rispetto.
Già lavorare è per certi aspetti una condanna, figuriamoci se uno deve pure sopportare delle cape (o dei capi) del genere.
Non esiste proprio.