Riporto questo splendido articolo di Veneziani (del 2007), perché non vorrei andasse perso.
Il miglior articolo sulla condizione del padre che io ricordi.
Il grande raggiro d'esser padri
di MARCELLO VENEZIANI
In principio era il Padre, alla fine è rimasto il bignè di San Giuseppe.
Domani è la festa del papà, doppiamente ridicola e surreale.
Ridicola come tutte le feste di genere astratto, dedicata alla mamma e agli innamorati, al gatto e alla donna, al bambino e al pi greco.
Le persone si festeggiano nelle loro ricorrenze vere e personali, il compleanno, al più l'onomastico, il giorno in cui si innamorarono, persino il giorno tremendo in cui capitolarono a nozze...
Ma le feste generiche sono fatte per ditte di dolciumi e pasticceri, per venditori di cravatte e di futili coglionerie.
Però la festa del papà è doppiamente, tragicamente ridicola, perché festeggia in realtà il più grande raggiro dei nostri tempi: celebra la riduzione del papà a pianta ornamentale, bancomat e inseminatore marginale.
La festa del papà coincide quest'anno con una tempesta legislativa: dai Dico che relativizzano la famiglia e riducono la paternità all'assoluta irrilevanza giuridica, vista l'equiparazione con le coppie gay, fino alla più ragionevole parificazione dei figli illegittimi.
Siamo felici che non ci sono più i figli di mignotta secondo legge; ma rischiano di nascere i figlio di minchione, a giudicare dal ruolo passivo a cui sono ridotti i loro padri.
Sullo sfondo c'è l'ombra dell'inseminazione artificiale e l'aspirazione sempre più crescente delle donne ad avere un figlio ma non un marito, meglio un partner a cottimo, a prestazione, noleggiato del tipo rent a man; non c'è più il pater ma Inseminator, meglio ancora se mascherato.
A festeggiare così quell'inutile babbione di Papà io consiglio di donargli per spingerlo definitivamente sulla via della depressione il bel libro di Marco Cavina, Il padre spodestato, uscito ora da Laterza: racconta la parabola dell'autorità paterna da capo famiglia a coda superflua della medesima.
Superflua naturalmente sul piano dei diritti e delle prerogative, a cominciare dall'auctoritas; ma coda decisiva sul piano dei doveri, perché è il terminale di ogni operazione patrimoniale, economica, giuridica.
Il padre ha da pagà.
Babbi pagherete caro, pagherete tutto.
Se sposati, se separati, se lasciati, persino se con i figli che scelgono di vivere con voi.
Non avete alcun diritto ma solo doveri, siete mazziniani senza volerlo.
Avete doveri verso la moglie in quanto donna, cioè soggetto debole per definizione, a prescindere; sennò chi le sente le femministe, le magistrate, le avvocate, le menadi scatenate?
Solo doveri verso i figli perché so' piezz e core, anche quando sono piezz e altro, e sono soggetti deboli anche se hanno 30 anni, sprizzano salute e sono più alti e robusti dei loro malandati padri; loro possono non rispettare alcuna regola, voi invece non potete impedire di farvi mungere.
E verso lo Stato, il fisco, le istituzioni, a cui risponde in primis e solitamente il babbo, non certo la moglie o i figli.
Non ci sarà più la patria potestà, ma nel 90% dei casi quando si tratta di rispondere alla legge sono sempre i babbi.
Ha ragione Cavina di notare che al padre «non restano altro che doveri da compiere», e ingratitudini da ricevere.
Magari unite al disprezzo e all'irrisione.
Da qui vedo una sottile presa per i fondelli universale in questa festa del papà, coglionato con un sottinteso coro: e sempre sia lodato quel fesso che ha pagato.
Il padre non ha più scampo anche se passa alla clandestinità, perché se si unisce fuori dal matrimonio o fa un figlio fuori dalle nozze, oggi si deve caricare di tutti gli oneri legali, economici e fiscali.
Certo, non dimentico che le donne, a loro volta, si caricano loro della casa e dell'allevamento dei figli, salvo le più snaturate.
E molte volte lavorano anche loro, e dunque portano a casa soldi e benessere.
Ma tutto questo anziché bilanciare i ruoli, aggrava la posizione marginale del padre, ridotto ad ombra di chi ne fa le veci.
Se vive alle spalle del marito ha tutti i diritti, perché soggetto debole; se invece lavora in casa e fuori, fa tutto lei e rende il padre un ente inutile.
In entrambi i casi la figura paterna ha un ruolo passivo, secondario, al più di capo-famiglio, nel ricordo dei famigli di un tempo, un incrocio tra cavalier serventi, collaboratori domestici e personale di supporto.
La sua figura somiglia a quella dell'eunuco nell'harem; assiste al gineceo, affianca mogli e figli, ma non sultaneggia, avendo perso lo scettro.
Il padre è un evirato simbolico, uno che ormai ha solo il fallo laterale, perché il suo organo sessuale serve solo per funzioni di supporto, per rapporti al lato del matrimonio.
Marx e Lenin sognavano l'abolizione della famiglia, la sua estinzione.
Siccome hanno vinto i riformisti che pensano di arrivare gradualmente allo stesso risultato, si è preferito il sistema rateale, e allora la prima rata per l'estinzione della famiglia è la soppressione del padre.
A dir la verità la scomparsa del padre non è avvenuta solo per parricidio ma anche per suicidio o meglio eutanasia.
Per esempio nel sessantotto, i ragazzi contestarono i loro padri e poi a loro volta rifiutarono la responsabilità di dirsi padri, sperarono di essere fratelli e complici dei loro figli, e magari pure figli delle loro mogli.
Così bambineggiando, nella speranza di restare sempre ragazzi, diventarono tutti dei Pater Pan, variante babbea di Peter Pan.
Si sono femminilizzati, gingillizzati, si sono ridotti ad appendici dei telecomandi, dei cellulari, dei video, dei dvd porno, delle pasticche blu.
Insomma si sono ridicolizzati.
Perciò oggi, giustamente, li si festeggia identificandoli con i bignè o nella variante meridionale con le zeppole, le loro ultime ciambelle di salvataggio.
Perché come le zeppole e i bignè, il papà è fritto, morbido, obeso di crema, sporca, sta sullo stomaco e aiuta la glicemia.
Una pasta d'uomo.