Ecco a cosa sta portando la propaganda antimaschile basata sulla balla dell' "emergenza violenza contro le donne" . Chi credeva che fosse solo un malcostume all' interno della sola sinistra, si sbagliava di grosso. Dopo l' Osservatorio Romano(quotidiano del Vaticano) anche tutti gli altri giornali e siti di destra all'attacco anti-maschio. Qui, questo sito di estrema destra(Questa è la Sinistra Italiana) si è proprio superato: "Metà del genere umano perseguita l'altra metà". Nemmeno sul manifesto o sull' Unità avevo visto affermazioni così misandriche e discriminatorie verso gli uomini. Questo è l'articolo:
http://www.qelsi.it/2012/se-mezza-umanita-perseguita-laltra-meta-riflessione-sulla-violenza-sulle-donne/Tra le tante emergenze che colpiscono la nostra società globale, dalla fame alle guerre, dalle epidemie all’analfabetismo, dalla disoccupazione alle discriminazioni religiose, ce n’è una che riguarda trasversalmente tutte le categorie in cui può essere suddivisa l’altra “metà dell’umanità”, quella non composta da uomini. Questa “emergenza tra le emergenze” che affligge le donne non riguarda soltanto il loro stato esistenziale, ma addirittura in molti casi il loro stesso diritto ad esistere. Per richiamare l’attenzione sulla drammatica situazione che investe le donne di tutto il mondo senza distinzione di razza, ceto, lingua e religione, le Nazioni Unite dal 1999 hanno indetto una Giornata Mondiale contro le Violenze sulle Donne, che si celebra ogni anno il 25 di novembre. Si legga con attenzione: contro le violenze sulle donne, non contro la discriminazione di queste in tutti i settori della vita civile, cosa che già di per se stessa rappresenta un problema di capitale importanza, ancora tutto da risolvere.
Ad offrire una dimensione della gravità di questa piaga sociale bastano le cifre. I dati emersi da uno studio della Harvard University mostra che la violenza da parte dell’uomo è la principale causa di morte delle donne, ancora prima del cancro, della malaria, degli incidenti stradali e persino della guerra. Un altro studio delle Nazioni Unite fa emergere una drammatica realtà che non risparmia nessuno e che non conosce confini in nessun Paese di qualsiasi continente, conferendo alla violenza sulle donne il poco invidiabile primato di attività più globalizzata dell’uomo, ancor più che l’informazione, il commercio, la finanza.
Secondo L’OMS di Ginevra, l’organizzazione mondiale della sanità, almeno 1 donna su 5 ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della sua vita. Ed è incredibile che, come segnalano le cronache quotidiane, il rischio maggiore di aggressione non arrivi da estranei, ma dai familiari, soprattutto dagli zii, ma anche da mariti e parenti, talvolta inclusi i padri, seguiti a ruota dagli “amici”: vicini di casa, conoscenti stretti e colleghi di lavoro o di studio.
E non parliamo mica solo di Paesi sottosviluppati. In Gran Bretagna, ad esempio, ogni anno una donna su dieci viene picchiata a sangue dal partner, marito o amante che sia. In Canada e in Israele è più probabile che una donna venga uccisa dal proprio compagno che da un estraneo. La violenza contro le donne è diffusa persino nelle avanzate democrazie scandinave: Marianne Eriksson, parlamentare europea della Svezia, ha dichiarato che, nel suo paese, “ogni dieci giorni una donna muore in seguito agli abusi subiti da parte di un familiare o di un amico”. E negli Stati Uniti, ogni 15 secondi, viene aggredita una donna, generalmente dal coniuge, come riferisce l’autorevole rivista giuridica edita dalla facoltà di legge di Harvard. Nei Paesi del terzo mondo, se possibile, la situazione è ancora più drammatica, anche se manca la possibilità di acquisire dati attendibili. In gran parte del mondo, la violenza sulle donne, infatti, è una “normale” componente del tessuto culturale e non viene identificata come tale neppure dalle sue vittime. In generale, viene comunque rilevata una stretta corrispondenza tra la diffusione delle violenze e la dipendenza economica della donna dall’uomo, cioè la violenza è maggiore dove le donne hanno meno voce in capitolo in casa o nella società. In molti paesi in via di sviluppo, picchiare la moglie rientra culturalmente nell’ordine naturale delle cose, una prerogativa maschile ancora indiscussa.
Lo stupro da parte del marito è ancora perfettamente legale in gran parte del mondo, e quantificarne l’incidenza è quasi impossibile. Un problema specifico di alcune culture asiatiche ed africane, trattato in un post di Qelsi del 3 aprile del 2012, è invece quello della infibulazione, la mutilazione genitale che nega alla donna-oggetto ogni piacere nell’atto sessuale, ma anzi facendo in modo che risulti doloroso per toglierle qualsiasi velleità di tradire il proprio partner. Una mutilazione dolorosa, che infligge dolore perenne e spesso gravi infezioni, che umilia profondamente la donna nella sua dignità, effettuata quasi sempre in condizioni sanitarie disastrose, senza anestesia e soprattutto su bambine ancora in tenerissima età, con effetti devastanti sulla loro salute e sulla loro vita sessuale e riproduttiva. Si stima che nel mondo siano almeno 130 milioni le donne che hanno subito questo genere di mutilazione, di cui almeno 500mila in Europa e 40mila in Italia, diffuse dagli intensi flussi migratori che stanno facendo arrivare il problema e le sue conseguenze all’interno anche delle più ricche e progredite civiltà occidentali.
Un’altra delle principali cause di perversione sulle donne è la povertà. Secondo stime dell’organizzazione internazionale per l’emigrazione ogni anno sono oltre mezzo milione le ragazze avviate alla prostituzione ed alla schiavitù provenienti un po’ dappertutto. Spesso i trafficanti si recano presso le comunità più deboli ed indifese di Asia ed Africa in tempi di guerra, di epidemie, di siccità e di carestie per rastrellare a quattro soldi migliaia di ragazzine da rivendere poi per compensi faraonici. Ma la piaga più diffusa contro le donne è lo stupro. Sempre stando alle cifre dell’OMS, più del 20 % delle donne hanno subito almeno uno stupro in paese occidentali avanzati come gli Usa ed il Canada. Ma in molti paesi la donna non è neanche in condizione di poter denunciare le violenze sessuali e fisiche che subisce. Per esempio in Pakistan, un paese islamico, ritenuto “moderato” e schierato con l’Occidente, la donna che denuncia il suo stupratore deve presentare almeno quattro testimoni oculari maschi dell’episodio ed è fatto divieto alla malcapitata stessa di testimoniare. A queste condizioni, la vittima non riesce quasi mai a dimostrare il reato, per cui viene lei stessa incriminata per attività sessuali illecite, incarcerata, frustata pubblicamente o addirittura lapidata come può succedere in Iran. La violenza sessuale è anche diventata una potente arma da guerra, solo da poco riconosciuta come tale dalle leggi internazionali. Nei conflitti etnici, come quelli scoppiati a suo tempo nei Balcani o quelli in corso in Africa centrale, si è fatto e si fa largo uso dello stupro come strumento bellico da parte dei contendenti. Nel 1993, il Centro per i crimini di guerra di Zenica aveva documentato in Bosnia 40 mila casi di stupro, ma le cifre reali sono ritenute ben più alte e vi sono sospetti che persino alcuni soldati dell’Onu, già che si trovavano là, si siano resi responsabili di aggressioni. Questo tanto per ribadire come il problema sia generalizzato e coinvolga situazioni ed individui al di là di ogni sospetto.
In Italia le cifre sono da brivido e, stando ai dati resi pubblici dall’Istat, l’esercito delle vittime si compone di 7 milioni di donne. Nel nostro Paese viene ammazzata una donna ogni due giorni. Una su tre di età compresa tra i 16 ed i 70 anni è stata vittima dell’aggressività di uomini e di violenze cui, nel 63 % dei casi, hanno assistito i figli. La fascia a più alto rischio è quella compresa tra i 16 ed i 24 anni, ma solo il 4 % delle violenze subite viene normalmente denunciato, e questo per vari motivi, che vanno dal pudore alla paura di rappresaglie, ma anche alla spesso dimostrata inutilità delle denunce. Secondo le risultanze di una inchiesta svolta in collaborazione tra vari istituti universitari europei, tra i quali l’Università Roma Tre, il danno indiretto delle violenze sulle mamme provocato ai figli nei loro primi 15 anni di vita induce questi a negare qualsiasi desiderio di stabilire una sana relazione di coppia ed a formare una regolare famiglia. Infine c’è il problema degli stalkers, individui non in grado di elaborare ed accettare l’abbandono da parte delle loro compagne e nei quali si attivano automaticamente una serie di comportamenti orientati a mantenere il contatto e ad esercitare il “controllo” sulla vittima per indurla a desistere dal proposito di allontanamento. Nella maggior parte dei casi si tratta di uomini “malati” che andrebbero isolati ed enucleati dalla società per la loro intrinseca pericolosità, che soffrono di rigidità relazionale, spesso affetti da disturbi della personalità e da psicopatologie gravi. Purtroppo, nonostante lo stalking in Italia sia ufficialmente riconosciuto come reato dal 2009, questo fenomeno continua a costituire motivo di forte allarme sociale. Per mettere al bando ogni violenza esercitata sulle donne, l’11 maggio del 2011 venne predisposto un trattato internazionale noto come Convenzione di Istanbul, che però è stato sinora sottoscritto solo da 24 paesi e ratificato solo dalla Turchia. Tra le sue principali finalità, la Convenzione annovera la prevenzione dei crimini contro le donne, dispone misure di protezione delle vittime e stabilisce la perseguibilità penale delle aggressioni contro le donne, equiparandole alla violazione dei diritti umani.
Perché possa entrare in vigore come legge fatta propria da tutti gli stati aderenti, la Convenzione deve essere ratificata da almeno 10 tra gli stati firmatari. La Fornero che l’ha firmata ha promesso di sensibilizzare il Parlamento per una sua rapida ratifica da parte dell’Italia, come ha già fatto con la Convenzione di Lanzarote contro gli abusi sui minori. Speriamo bene. Nell’attesa, ricordiamo che a livello nazionale è attivo il numero 1522 Antiviolenza Donna dedicato al supporto, alla protezione e all’assistenza delle persone che hanno subito maltrattamenti e violenze. Il servizio è gestito esclusivamente da donne, funziona 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno e si svolge in italiano, inglese, francese, spagnolo e russo. In attesa di tempi migliori, al momento il convento non offre niente meglio di questo.