Autore Topic: Nuovo libro: Finché la legge non vi separi  (Letto 1026 volte)

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Offline Vicus

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Nuovo libro: Finché la legge non vi separi
« il: Dicembre 24, 2012, 21:36:34 pm »
Un libro e un sito interessanti sulla QM che non mi pare siano stati ancora menzionati qui:
http://finchelalegge.blogspot.it/
Finché la legge non vi separi - Il divorzio come non ve l'hanno mai raccontato
Il tono del sito è ideologicamente neutrale e ancorato ai fatti.
A quel che ne so, è una delle prime volte che il tema viene trattato esplicitamente da un editore con un vasto pubblico.

Tra gli articoli più recenti:
Perché la fabbrica dei divorzi sta distruggendo la nostra civiltà
60 milioni di consulenti tecnici

Covenant marriage
Come si è arrivati a questa innovazione? La storia americana ha dimostrato che, da quando il no-fault divorce (divorzio senza colpa) venne introdotto nel 1970 nella California governata da Ronald Reagan, i vincoli legislativi o giudiziari rispetto alla possibilità di sciogliere il matrimonio si erano fatti progressivamente più tenui in tutti gli ordinamenti federali. Col passare degli anni - e talvolta nel giro di pochi mesi - si era approdati al semplice divorzio consensuale, e poi di fatto alla possibilità di recedere unilateralmente dal matrimonio, senza più nemmeno bisogno del consenso dell’altro coniuge.
Nel contempo, i cosiddetti “waiting periods”, cioè i periodi di separazione legale che dovevano precedere lo scioglimento del vincolo si erano fatti sempre più brevi nella maggior parte dei singoli stati federali, in piena coerenza con il venir meno della necessità di provare l’irreparabilità della separazione.

In poche parole, anche negli Stati Uniti era progressivamente venuta meno l’idea del “divorzio come rimedio” al quale si può ricorrere solo come soluzione estrema di una crisi coniugale, per approdare all’idea del divorzio come libero recesso da un contratto. “Quando è stato introdotto il divorzio senza colpa” – ha sostenuto l’associazione Americans for Divorce Reform – “nessuno aveva idea di cosa questo avrebbe comportato. Ma ora, sia i liberal che i conservatori, sia i politici di ispirazione cristiana che i fautori di ideologie comunitarie, si stanno accorgendo di avere commesso un enorme errore. Il passaggio da un divorzio basato al 100% sulla prova della colpevolezza di uno o entrambi i coniugi a un matrimonio unilateralmente risolvibile è stato un esperimento fallito. Ha portato la società a una concezione della famiglia interamente nuova e non sostenibile sul lungo periodo. Le persone comuni non possono affrontare un simile modello, e la società nel suo insieme nemmeno”.

Secondo questa analisi, “l’introduzione del no-fault divorce negli Stati Uniti ha raddoppiato in breve tempo un’incidenza già piuttosto alta di divorzi… Le vittime del fenomeno e i loro stessi avvocati hanno dovuto ammettere che il modello del divorzio senza colpa ha portato a un’esplosione di conflittualità per la custodia dei figli. Battaglie che nessuno vince, e che paradossalmente hanno portato nei procedimenti di divorzio più questioni sulla colpa dei coniugi di quante ce ne fossero mai state in precedenza. I costi giudiziari delle liti sono andati fuori controllo, e le persone comuni spesso finiscono per non potersi più nemmeno permettere gli avvocati, una volta che si accorgono che il divorzio ha distrutto il patrimonio di entrambi”.

In questo contesto così dranmmatico, dunque, qualche stato americano ha per lo meno tentato l’esperimento del covenant marriage, teso a restituire un minimo di solidità all’istituto matrimoniale.
In esso, vi è una impostazione di principio che potrebbe risultare valida anche nel nostro Paese, così come nel resto d’Europa. Il valore di fondo che ispira il covenant marriage è infatti la libertà individuale. In definitiva, si tratta semplicemente di considerare il matrimonio come un patto tra due persone adulte e responsabili, che decidono di disporre della loro libertà nella reciproca relazione, piuttosto che aderire a uno standard di diritti e obblighi già fissato dalla legge.

Proprio questo a nostro avviso è l’uovo di Colombo che, se accolto dalla legge, potrebbe consentire di arginare le devastanti conseguenze dell’operato della fabbrica dei divorzi. Laddove ai coniugi venga data la possibilità di scegliere tra un matrimonio liberamente risolvibile, e uno mediante il quale hanno disposto della propria libertà in maniera irrevocabile, unendosi in matrimonio “finché morte non li separi”, allora non si vede per quale motivo la legge non dovrebbe tutelare il reciproco impegno delle coppie che hanno preferito la seconda opzione, ponendo dei limiti solo per esse alla possibilità di divorziare.
Nel caso contrario che i coniugi stessi abbiano posto delle riserve, e stipulato un contratto nuziale che prevedeva già all’origine la possibilità di un futuro recesso, allora è altrettanto coerente con un criterio di libertà che lo Stato garantisca loro la possibilità di divorziare, ponendo dei limiti soltanto a tutela dei terzi,
e in primo luogo dei figli.

Anche il regime concordatario potrebbe, a ben vedere, trarre giovamento dall’introduzione di un regime matrimoniale pluralista. Infatti, se da una parte i coniugi che optano per un matrimonio “non obbligatorio” potrebbero vederselo annullato dai Tribunali ecclesiastici, è anche vero che basterebbe un’intesa tra Stato e Chiesa per cui i matrimoni cattolici possano venire trascritti solo secondo il modello covenant. Una simile soluzione favorirebbe anche un atteggiamento più responsabile da parte di coloro che si accostano al matrimonio sacramentale per ragioni di tradizione, senza essere convinti della sua indissolubilità.

Del resto, persino ai tempi del dibattito sull’introduzione della legge Fortuna-Baslini, nel 1970, ci sono stati grandi giuristi che avevano intuito le distorsioni alle quali avrebbe portato il divorzio civile rispetto ai matrimoni canonici, che dal canto loro avrebbero dovuto essere indissolubili: “l’offerta ai cittadini di due forme matrimoniali, indissolubile l’una e risolubile per divorzio l’altra, sarebbe, da parte dell’ordinamento, la soluzione più rispettosa dell’autonomia dei privati, della libertà che i singoli intendono esercitare mediante il contratto e della misura dell’impegno, definitivo o provvisorio, che essi vogliono assumere”. Queste parole sono state scritte proprio nel 1970 da Pietro Rescigno, che certamente fu uno dei maggiori esperti di diritto civile del suo tempo.


Welfare state, femminismo e divorzio

Tutto l’Occidente sembra essersi sottoposto a una debordante dittatura del materno, finanche nel suo assetto sociale e economico. Non sono pochi gli psicologi che vedono nei modelli del welfare state e della società dei consumi una incarnazione del mito ancestrale della grande madre. Lo stato, che nell’ottocento era stato paterno e paternalista, nel secolo successivo è invece divenuto una presenza materna, tutta tesa a soddisfare il più possibile i bisogni materiali dei cittadini, proteggendoli dalla culla alla bara, ma rendendoli nel contempo sempre più dipendenti dal suo potere.
Lo sconvolgimento indotto dalla rivoluzione sessuale, a partire dagli anni '60, ha certamente avuto delle ripercussioni sul nostro sviluppo economico. Pure in questo campo stiamo risentendo degli effetti della morte simbolica del padre.

Il lavoro femminile - nonostante le sue conquiste degli ultimi quarant’anni - in tutto l’Occidente sembra ancora piuttosto distante dall’eguagliare quello maschile dal punto di vista della produttività e del volume di reddito. Il pensiero femminista comunemente accettato ne attribuisce la colpa ai pregiudizi degli uomini e alle limitazioni derivanti dalla maternità, e pretende sussidi e agevolazioni – come le cosiddette “quote rosa” – per realizzare un modello ideologico di parità che finisce per mortificare le specificità di entrambi i sessi.

Ma in realtà, la crisi del rapporto tra uomini e donne nella post-modernità deriva in buona parte dal fatto che il welfare state ha provato a prendere il posto del padre di famiglia, ma sembra avere irrimediabilmente fallito.
Proviamo a guardare alle cose con questa chiave di lettura, che si basa su dati macroeconomici difficilmente contestabili: il divorzismo ha potuto affermarsi solo in quanto lo sviluppo dello stato sociale ha iniziato a promettere alle donne, dal punto di vista economico, una tutela che avrebbe potuto sostituirsi a quella tradizionalmente assicurata dal marito.

Eppure, già negli anni settanta era apparso chiaro che l’intervento del welfare non avrebbe mai potuto essere sufficiente per sostituire la produttività maschile, e nel contempo garantire la vocazione materna della donna. La nascente fabbrica dei divorzi si è quindi posta come garante del fatto che il padre spodestato sarebbe stato costretto a continuare a fornire contributi finanziari, per la prole ma soprattutto per la moglie, alla quale era stata offerta la possibilità di emanciparsi dal preteso giogo maritale.

Tuttavia non si poteva pretendere – specie nei periodi di scarsa crescita economica – che i singoli introiti maschili bastassero a mantenere entrambe le abitazioni, e i nuclei familiari, che si formano dopo una separazione coniugale. Per non parlare poi dell’infelicità e della violenza endemica che scaturiscono di per sé dalla disgregazione della famiglia tradizionale, che nel nostro "Finché la legge non vi separi" abbiamo cercato di esaminare anche negli aspetti meno conosciuti.
I dati raccolti ci sono bastati per concludere che il sistema delle separazioni e dei divorzi, essendosi posto al servizio del femminismo e di un malsano individualismo – che venera lo stato al posto della famiglia – ha prodotto e sta continuando a diffondere nella società occidentale, assieme a laceranti disagi psicologici, anche malessere economico e spreco di risorse a danno di tutti.

D’altra parte, il nuovo modello economico, che potremmo definire post-familiare, a detta dei più funziona in modo ben lontano dalla perfezione. Nonostante la relativa sicurezza di vita che ha garantito a quei cittadini che accettano di trasformarsi in produttori, che vivono sostanzialmente solo per se stessi.
Ancora oggi, nelle nostre città, nessuno ha preso il posto dei padri di famiglia spodestati, e la loro mancanza si avverte in maniera sempre più drammatica. Eppure, buona parte di coloro che orientano la nostra opinione pubblica appaiono ancora incapaci di cogliere in pieno le conseguenze di questo fenomeno. Sia quelle che si sono già verificate, sia quelle che potrebbero costituirne lo sviluppo futuro.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline COSMOS1

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Re:Nuovo libro: Finché la legge non vi separi
« Risposta #1 il: Dicembre 25, 2012, 20:50:01 pm »
grazie per il reminder
non ti devi preoccupare se ne abbiamo già parlato: l'avv.Fiorin è un vecchio utente delle liste della QM, a suo tempo lo chiamavamo Sua Eminenza
ma se non trovi una discussione sull'argomento, vuol dire che, anche se ne avessimo già parlato, è da tanto che non ci torniamo sopra. Per cui riapri pure.
Dio cè
MA NON SEI TU
Rilassati