"... “In vitro”, che si può apprezzare integralmente sul sito della Smajdor, è ambientato nel 2044 e narra la storia di Rachel, una scienziata dalle ambizioni pionieristiche – un po’ come la sua autrice, insomma – che riesce a farsi beffe dei divieti vigenti nell’anno 2010 e crea dal proprio stesso midollo osseo lo sperma artificiale con il quale feconda un proprio ovulo e diventa madre di figlia, Sophia (fai da te estremo, insomma, anche se la gravidanza e il parto sono ancora del genere “barbaro”, non liberale e artificiale). Scoperta e ostracizzata, Rachel si ritira in una casa solitaria su una spiaggia, dove all’inizio del film la vediamo raccogliere rami per il fuoco ..."
Quello che ancora molti non vogliono capire è la differenza che si pone tra l'utensile tecno-riproduttivo e l'accendino per dare fuoco ai rami. La riproduzione artificiale è per il genere umano un punto di non ritorno; oggi se venisse a mancare la tecnica non estingueremmo perché ancora ci possiamo riprodurre, domani non più. L'errore più grave che stanno commettendo oggi gli umani, anche gli scientisti, è illudersi che avremo sempre il controllo sulle macchine, che siamo noi a utilizzare loro, senza capire che nei fatti non è così e che già oggi usiamo gran parte del nostro tempo per evolvere la tecnica invece che per evolvere noi stessi. La tecnica dà benessere solo se è complementare all'umano e non arriva a gettare nell'insenso, sostituendole, le funzioni naturali di base. E' paradossale vedere oggi, nell'occidente laico, tutti fare propria la battaglia per salvaguardare l'ambiente, non invadere la natura, capire il valore della biodiversità, e allo stesso tempo prestarsi al progetto di meccanizzazione della specie.
Non capisco perché togliere la foresta al panda è un crimine, e togliere a noi la riproduzione naturale è un progresso.
Perché mai l'animale in cattività dovrebbe soffrire se l'umano senza libido vive felice?