questo è quanto si evince da questo articolo:
http://seigradi.corriere.it/2013/01/29/anonymous-le-donne-dietro-la-maschera/ di Marta Serafini La regola numero 29 di internet recita: “in rete le ragazze sono uomini e tutti i ragazzini sono agenti dell’Fbi sotto copertura”. Nel libro Noi siamo Anonymous (edito in Italia da Piemme) la giornalista di Forbes Parmy Olson racconta la storia dei seguaci di Guy Fawkes. Profili, tradimenti, colpi scena. Da Chanology fino alle operazioni contro Paypal e Sony. Poi, i contatti con gli attivisti della primavera araba e le relazioni con Wikileaks.
Quattro anni di cyber-movimento vengono ripercorsi e molto romanzati. Nerdo, Sabu. E anche Kayla, gli hacker più famosi del mondo diventano personaggi da film (e chissà come la prenderebbero loro, gli anon).
Ma Parmy Olson è una donna. E nelle pagine del suo libro non può fare a meno di parlare anche di hacktivism e stereotipi di genere .
Emblematica è la storia di Kayla, uno degli esponenti più famosi di LulzSec, il sottogruppo di Anonymous autore delle più importanti operazioni degli ultimi quattro anni. Kayla per anni ha affermato di essere una 14enne, un’adolescente diventata esperta di informatica perché figlia di un ingegnere elettronico. All’inizio della sua “carriera” di hacktivist si lamentava di come la sua vita online sia più difficile a causa del suo sesso.In realtà, scrive Olson:
“la persona reale dietro il suo nick si garantiva maggiori opportunità e possibilità di compiere azioni di hackeraggio sotto le spoglie di una ragazza misteriosa”.
E ancora:
“Le donne sono rare sui forum di hacker, da qui lo slogan Non ci sono donne su internet. Se le ragazze rivelano il loro vero sesso spesso ricevono commenti misogini del tipo Tits or Gfto (facci vedere le tette o vai fuori dai piedi). Così molte si camuffano e fingono di essere maschi”. Già, peccato che Kayla, la mitica Mata Hari di Anonymous, in realtà pare essere il 24enne disoccupato inglese ex militare Ryan Acroyd, la cui sorellina minore si chiama Kayleigh.
Il genere in rete dunque non sembra esistere. Sembra vincere il neutro. La Olson racconta anche di un gruppo di hacktivist transgender. “Il fatto di non avere un’identità definita in rete, ha spinto alcuni di loro a cambiare sesso anche nella vita reale”. La teoria pare azzardata, anche perché non stiamo parlando di grandi numeri.
Quello che però colpisce è che quella maschera davvero azzeri tutto. Provenienza, status sociale, professione. E sesso. We are Legion, il bellissimo documentario di Brian Knapperberger, si apre con la testimonianza di Mercedes, una giovane esponente di Anonymous. L’impressione è di avere di fronte una persone senza genere, asessuata, dal look assolutamente identico a quello dei suoi coetanei maschi, che usa le stesse espressioni e lo stesso slang.
Qualche mese fa su uno dei canali IRC (Internet Relay Chat) di OpItaly ho incontrato un hacktivist che diceva di essere una donna. E probabilmente era vero:
“Siamo in poche. Ma anche noi ragazze partecipiamo agli attacchi DDDoS (Distribuited Denial of Service)”, mi ha spiegato.
Quando le ho chiesto se ci fossero discriminazioni di genere non mi ha risposto. L’argomento non sembrava interessarlo/la. Il problema è che non posso sapere se davvero fosse una donna. Non lo posso e non lo devo sapere.
Spesso si dice che la rete sia maschilista, che le donne vengano insultate perché l’anonimato permette di dare libero sfogo alla misogina senza il rischio di incorrere in sanzioni morali o materiali. E questo è in parte vero. La maggior parte delle regole sono scritte dagli uomini anche nel mondo virtuale. Ma è anche vero che io donna posso fingermi un energumeno alto 2 metri ribaltando così in un secondo i ruoli. E se qualcuno mi insulta e mi dà fastidio posso cambiare identità per difendermi. Oppure posso decidere di sfruttare il fatto di essere donna a mio vantaggio.
Kayla era un esperto di ingegneria sociale, sapeva bene come manipolare il pensiero altrui e farsi dare informazioni. E non a caso ha scelto di essere una donna nel suo mondo virtuale.
Che non sia un caso?
dietro l'assillanti piagnisteo femminile sul cyberstalking e il maschilismo in rete, la realtà è che un nick femminile ottiene più considerazione e contatti di un nick maschile.
Ma noi lo sapevamo. Vero?