http://www.linkiesta.it/padri-separati-rhoReportage
Io, padre separato, per 5 mesi ho dormito in macchina”
Lidia Baratta
Con 1.200 euro di stipendio, per un papà separato pagare gli alimenti per i figli, l’affitto di una nuova casa e il mutuo di quella vecchia diventa impossibile. Molti uomini finiscono per dormire in macchina in condizioni di povertà. Siamo andati a visitare la “casa dei padri separati” di Rho, in provincia di Milano.
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12 Gennaio 2013 - 08:05
RHO (MILANO) – «Si prega di rispettare il silenzio». Ad accoglierti nel collegio dei Padri oblati di Rho è un cartello che esorta a non fare rumore. Dietro il portone di legno della struttura di inizio Settecento, il rumore del traffico della cittadina dell’hinterland milanese è già un ricordo. Nel chiostro pulito con l’erba curata, accanto ai padri, quelli religiosi, si vedono camminare anche i papà. Quelli laici e separati. È qui che è nata la “casa” che accoglie gli uomini che dopo il divorzio sono rimasti senza un tetto. Le stanze messe a disposizione sono 15, ma al momento solo sei sono occupate. Con 1.200 euro di stipendio, pagare gli alimenti per i figli, l'affitto di una nuova casa e magari il mutuo di quella vecchia diventa impossibile. Così si finisce in fila alle mense della Caritas o a dormire sulla scalinata della stazione Centrale di Milano. Il progetto, nato nel 2010 in collaborazione con la provincia di Milano, è ufficialmente terminato il 31 dicembre del 2012. «Tra un annuncio e l’altro sulla abolizione delle province, non sapevamo se sarebbe andato avanti», dice Michele Elli, padre superiore del collegio. «Ma ora dalla Regione Lombardia mi hanno dimostrato la volontà di proseguire».
In questi anni, dalle stanze di Corso Europa sono passati circa trenta papà. Dalla separazione alle notti in macchina il passo è più breve di quanto si pensi. «Noi mettiamo a disposizione le camere», spiega padre Michele, «offriamo un posto dove vivere e dove poter anche accogliere i figli». Quella dei padri separati in difficoltà «è un’urgenza sociale epocale che mostra la fatica di tener su la famiglia», dice il padre superiore. A Milano, secondo i più recenti dati della Caritas, almeno 50mila persone vivono una situazione che, dopo la separazione, rasenta il tracollo finanziario. L’iniziativa di Rho non è l'unica. In città ci sono diversi dormitori che hanno aperto le porte a questi nuovi poveri. E anche alcune case confiscate alle mafie sono state destinate a questi progetti.
Non solo Milano, in base agli ultimi dati Istat, in Italia il 46% delle persone separate o divorziate dichiara un peggioramento delle condizioni economiche. La vita peggiora di più per chi, al momento della rottura, ha figli. A pagare, sono soprattutto gli uomini. Nel 2010 le separazioni con assegno corrisposto dal marito sono state il 97,8 per cento. Importo medio: 447 euro mensili. A essersi invertita, però, a partire dal 2006, è stata la quota di affidamenti dei figli concessi alla madre, che si è fortemente ridotta a vantaggio dell’affido condiviso. Il “sorpasso” vero e proprio è avvenuto nel 2007 (72,1% di separazioni con figli in affido condiviso contro il 25,6% di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre), per poi consolidarsi negli anni successivi. Nel 2010 le separazioni con figli in affido condiviso sono state l’89,8% contro il 9% di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre. La quota di affidamenti concessi al padre, però, continua a rimanere su livelli molto bassi. E anche la casa nel 56,2% delle separazioni viene assegnata alla moglie, con un picco del 62,8% nel Sud.
L'iniziativa della Provincia di Milano prevede l'assegnazione di un posto dove vivere ai papà in difficoltà residenti nel milanese. La permanenza massima prevista nel progetto è di otto mesi, con proroghe fino a 12 mesi. Ma c'è anche chi in Corso Europa ha superato il traguardo dell’anno.
Mauro, 42 anni, vive da quasi dieci mesi nella camera A11, al secondo piano dellla struttura. «È come un albergo», dice mentre gira chiave nella serratura. Ma i corridoi spogli ricordano più quelli di un convento che la hall di un hotel. Mauro si scusa per non aver rifatto il letto. «È a una piazza e mezzo», dice, «così quando viene mio figlio dormiamo insieme». Ma «se faccio richiesta i padri mi aggiungono pure un lettino singolo». A completare la stanza ci sono una scrivania con un piccolo computer grigio, un tavolo con il microonde, una poltrona e un bagno. «Gli altri mangiano qui e riscaldano i piatti al microonde o cucinano con un fornellino elettrico», continua, «io non ce la faccio e alla fine mangio sempre fuori».
Dopo vent’anni di matrimonio e un figlio (che lui chiama «bambino» ma ha ormai dodici anni), un anno fa per Mauro arriva la separazione. Con due lavori – consegna dei giornali di notte e call center di giorno – all’inizio riesce a tirare avanti. Affitta una casa a Cantù e per i primi tempi anche gli oltre 300 euro di alimenti per moglie e figlio non sono uno scoglio insormontabile. «Ma poi ho avuto un calo emotivo», racconta, «ho avuto la percezione che tutto il mondo ce l’avesse con me e così ho perso il lavoro di consegna dei giornali. Finché non sono più riuscito a pagare l’affitto, ho lasciato la casa e ho cominciato a vivere in macchina».
Nella sua Smart a quattro posti Mauro trascorre cinque mesi. «A parte un paio di notti», dice, «quando riuscivo a mettere da parte 50 euro per poter prendere una stanza d'albergo e dormire insieme a mio figlio». Per il resto, tante notti nei piazzali degli Autogrill, «che sono più sicuri». «Imitavo i camionisti abituati a questa vita per lavarmi, fare la barba e cambiarmi», racconta. Quando poi il freddo fuori si faceva sentire, «andavo a fare un giro nel bar». In questi lunghi mesi, racconta Mauro, «ho incrociato tanti disperati sulla mia strada che facevano la mia stessa vita, molti dei quali erano padri separati».
«Certo», ammette, «potevo andare alla Caritas a chiedere un letto e un pasto caldo, ma non ho mai avuto il coraggio di farlo». Tra i quattro sportelli della macchina passano i mesi invernali, quelli più freddi. «Nella macchina si dorme male e poco», racconta, «ma di giorno cercavo comunque di essere una persona normale, andavo a lavorare nel call center e ogni tanto andavo a casa di un amico per fare una doccia e lasciare le valigie, in modo da avere più spazio in auto». Pranzo e cena non erano una abitudine di tutti i giorni. «Mangiavo quando potevo». Ma, dice orgoglioso, «non ho mai fatto mancare gli alimenti a mio figlio». Eppure, prosegue con un po’ di nostalgia, «prima avevo pure una bella casetta, una villettina. Per fortuna avevamo finito di pagare il mutuo». «Se avessi voluto, gli amici o la famiglia avrebbero potuto aiutarmi. Ma in questa situazione mi ero ficcato da solo e da solo volevo uscirne». Finché «ho capito che non ce la facevo più. Vado dai servizi sociali e racconto che da cinque anni dormivo in macchina. L'impiegato di fronte mi dice: “Ma sta scherzando?”».
Compilati tutti i moduli, ad aprile Mauro riesce a entrare in lista per avere una stanza a Rho. «Mi ero autodistrutto», dice, «tanto che appena mi sono rilassato un po’, mentre ero qui nel giardino del collegio con mio figlio, sono stato colpito da un ictus». I motivi, è facile intuirlo, erano lo stress e la mancanza di sonno. Dopo un periodo di convalescenza, ora Mauro fa i controlli di routine e riesce a tirare avanti facendo da autista «a una signora facoltosa di Milano» e «collaborando nella logistica e nella organizzazione di alcuni spettacoli teatrali». Anche perché, per accedere alle stanze di Corso Europa, un reddito minimo bisogna avercelo. Una Commissione, si legge nel regolamento, valuta la consistenza del reddito residuo (tolte le quote di mantenimento ai figli e alla ex moglie/convivente, il pagamento di eventuale mutuo della casa coniugale) per far fronte al proprio mantenimento e al pagamento di un affitto a prezzo di mercato. «Il pagamento mensile», spiega padre Elli, «è diviso tra un contributo da parte della provincia e contributo da parte dei papà, ma a un prezzo calmierato». Il costo complessivo è di 400 euro, da dividere per due. «Diamo i soldi all'economo mese per mese, ma se non ce li hai i padri chiudono un occhio e puoi anche darli dopo», racconta Mauro.
I papà non fanno vita da collegio, né partecipano alle funzioni religiose del santuario che si trova accanto. La maggior parte della giornata avviene oltre le mura di quelle stanze. Anche perché non c’è una mensa dove andare a mangiare. Nella struttura c'è solo un bar dove prima di pranzo gli anziani del posto si riusniscono per l’aperitivo. «Qui ci danno solo da dormire», racconta Giancarlo, che nel collegio vive da più di un anno anni. Per lui, 55 anni, che ogni giorno si divide tra colloqui di lavoro e un piccolo laboratorio fotografico di Milano, anche il pranzo può essere una spesa insormontabile. «L’altro giorno mi erano rimasti gli ultimi trenta centesimi in tasca», racconta col suo accento romano, «sono andato in un panificio e gli ho detto: “Cosa mi potete dare con 30 centesimi?”. Mi hanno presentato un panino minuscolo. Sai che gli ho risposto? “Tenetevelo e tenetevi pure i 30 centesimi”». Ex fotoreporter, Giancarlo racconta di anni «indimenticabili» trascorsi tra Roma, Londra e gli Stati Uniti. Racconta delle sue foto «di contorno», come le chiama lui. Come quelle fatta dopo l’attentato alla Sinagoga di via dei Serpenti, «che solo i giornali stranieri apprezzavano».
In Inghilterra Giancarlo conosce quella che sarebbe diventata sua moglie e la madre delle sue due figlie, che oggi hanno 16 e 18 anni. «Dopo vent’anni fuori Roma», racconta, «siamo tornati in provincia di Milano. Ho aperto un laboratorio fotografico di fotografia analogica in bianco e nero. Ma dopo l’11 settembre 2001, i clienti americani, che erano i principali clienti, sono via via diminuiti. Finché sono stato costretto a chiudere la baracca». In questi anni Giancarlo si è arrangiato con altri lavori, anche nelle cucina dei grandi ristoranti di Milano. Fino al suo ultimo impiego da autista. Due anni fa. Da allora, il vuoto. «Questa situazione non è andata bene a mia moglie. Ognuno ha il suo modo di reagire ai problemi». Così arriva la separazione, l’uscita da casa e la richiesta di ingresso nel collegio di Rho. «Non avevo neanche una macchina», dice, «l’alternativa era dormire sotto le stelle».
Nel chiostro cammina un papà che tiene per mano i suoi due figli. Mauro lo saluta mentre mette il tabacco nella cartina. «È da due anni che non riesco a trovare un’occupazione. Non faccio che errare da posto in posto», dice. Il problema principale «è l’età, l’esperienza non conta. Questa è una ingiustizia». Spesso, continua, «non ho i soldi per comprarmi da mangiare». E gli alimenti a moglie e figli? «Non posso darli», risponde. «Non mi resta che tornare in Inghilterra, ho già sentito alcuni amici. I soldi per un biglietto Ryan Air riuscirò a tirarli su».
«Quello che manca al progetto», spiega padre Elli, «è una rete di servizi che possa garantire un reinserimento dei papà nella normalità. Questo posto deve essere come un pronto soccorso di sei-sette mesi. Bisogna trovare accordi, ad esempio, con i comuni d’origine per trovare un posto di lavoro e favorire l'uscita dal collegio». Lo dice anche Mauro: «Per tanti che stanno qui le cose vanno sempre peggio. Man mano che si va avanti non si riesce a pagare l'assicurazione per la macchina, si perde l’automobile ecc. Bisogna pensare anche al dopo, altrimenti restiamo qui immobili in questa situazione di difficoltà».
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