Mi sembra una sintesi coerente di tematiche che ci
riguardano
14/01/2010 09:05
Biotech: salvezza o fine dell'uomo?
http://www.molecularlab.it/elaborati/elaborato.as...
Biotech: salvezza o fine dell'uomo?
Per affrontare con efficacia il confronto che ci attende a
proposito della fecondazione artificiale è necessario
ricostruire il retroterra culturale e politico da cui la
richiesta di manipolare gli embrioni trae giustificazione.
Scoprendo così che non si tratta di un fatto soltanto
italiano né tanto meno recente.
All'indomani della seconda guerra mondiale - dopo due
conflitti in 30 anni, milioni di morti e l'orrore dei campi
di sterminio - la comunità internazionale si chiese
"Perché?" e "Come evitare che accada ancora?". La risposta è
nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (1948)
che, ricorrendo al diritto naturale e grazie all'eredità
della civiltà cristiana, riconosce la centralità della
persona e l'universalità dei diritti umani fondamentali. La
Dichiarazione si basa sul riconoscimento che "tutti gli
esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti"
(art. 1) e a loro spettano "tutti i diritti e le libertà
enunciate nella presente Dichiarazione" (art. 2) che
possono
essere interamente ricondotti al "diritto alla vita, alla
libertà e alla sicurezza della propria persona" (art. 3).
Una notazione interessante è che proprio per garantire tutti
questi diritti la Dichiarazione stabilisce non l'individuo
ma la "famiglia" (basata sul matrimonio tra uomo e
donna)
quale "nucleo naturale e fondamentale della società" e per
questo "ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo
Stato" (art. 16.3).
Peccato però che contemporaneamente una ben
organizzata
lobby - di cui vedremo più avanti la matrice - si sia
attivata per riaffermare il "diritto positivo" sopra il
"diritto naturale", fino ad arrivare, nel 2000, alla
promulgazione della Carta della Terra, che anche nelle
intenzioni rappresenta il completo rovesciamento della
Dichiarazione Universale del 1948.
Nella Carta della Terra sparisce infatti la centralità della
persona per fare posto a una più ampia "comunità di vita" in
cui l'uomo si confonde con il regno animale e regno vegetale
in una sorta di panteismo che si pone in aperto contrasto
con la visione giudaico-cristiana. Basti ricordare queste
parole di Mary Evelyn Tucker, studiosa di religioni ed
ecologia all'Università di Bucknell, tra le principali
redattrici del testo: "L'obiettivo della Carta è quello di
un revisionismo creativo per una mutua e solida relazione
tra l'uomo e la terra, ben lontana dalla concezione
ortodossa e monoteistica, che mette l'uomo al centro della
creazione. Nella maggior parte del mondo la visione
associata con la tradizione abramitica del giudaismo, del
cristianesimo e dell'islam, ha sviluppato una moralità
dominante centrata sull'uomo. A causa di questa visione del
mondo esageratamente antropocentrica, la natura è stata
vista come un essere di secondaria importanza". E l'ex
presidente sovietico Mikhail Gorbaciov, attuale responsabile
per l'Europa della Carta della Terra, ne parla come del
"manifesto di una nuova etica per un nuovo mondo (...)".
"Questi nuovi concetti - per l'uomo della perestrojka - si
dovranno applicare a tutti, e il nuovo sistema di idee, di
morale e di etica costituirà un nuovo modo di vita. Il
meccanismo che useremo sarà quello di rimpiazzare i dieci
comandamenti secondo i princìpi contenuti in questa carta o
costituzione della Terra".
Per essere precisi la Carta della Terra non è stata ancora
ufficialmente adottata dalle Nazioni Unite, grazie alla
deterrenza esercitata dal'attuale presidenza Usa di George
W. Bush. Ciò non toglie però che i princìpi della Carta
della Terra, basati sul concetto di sviluppo sostenibile,
stiano già penetrando in molte legislazioni nazionali.
Anche la Costituzione europea ha nel preambolo un
riferimento implicito alla Carta della Terra, e quei
"valori" si ritrovano in diverse parti del trattato
costituzionale.
Questa trasformazione ha portato negli ultimi anni una
novità importante: nelle sedi internazionali si parla sempre
meno di diritti universali e sempre più di "nuovi diritti
umani", che vengono riproposti in ogni occasione e che
riguardano assai da vicino il discorso sulla fecondazione
artificiale. I "nuovi diritti umani" si condensano infatti
nei "diritti sessuali" e nei "diritti riproduttivi". I primi
tendono a sostituire l'universale divisione dei sessi -
maschile e femminile - a favore di un'articolazione più
ampia e sfumata: si nega in questo modo l'ordine naturale e
si affermano invece gli orientamenti sessuali, con la
richiesta di riconoscere cinque generi: maschile, femminile,
omosessuale maschile, omosessuale femminile, transessuale. E
da qui anche la base per attribuire alle coppie omosessuali
la possibilità di essere genitori. I "diritti riproduttivi"
ruotano invece attorno all'autodeterminazione e alla libera
scelta della donna: contraccezione e aborto sono
l'espressione più comune, ma anche il "diritto al figlio".
La caratteristica dei "nuovi diritti umani" è la loro
relatività. Ovvero essi non sono definiti in natura quanto
piuttosto da una maggioranza, ossia dallo "spirito dei
tempi". Ed è così che i "nuovi diritti umani" entrano in
conflitto con i "vecchi diritti universali" quale è, ad
esempio, quello alla vita. Non deve dunque stupire se la
Commissione Onu sui diritti umani decida - come sta
accadendo - di mettere sotto accusa la Polonia perché la sua
legge che legalizza l'aborto è troppo restrittiva. Se
ripensiamo all'origine della Dichiarazione del 1948 si può
avvertire la pericolosità di questa trasformazione, ovvero
il deragliamento a cui ci espone. Difendere il diritto del
concepito, impedire per legge che si possa manipolare
l'embrione è dunque una battaglia a garanzia della libertà
contro il tentativo di destrutturazione dell'ordine naturale
a tutto vantaggio di signorie più subdole.
E' doveroso chiedersi a questo punto qual è l'origine di
tale progetto, e scopriamo così una inquietante analogia con
quell'epoca che gli estensori della Dichiarazione del 1948
avrebbero voluto evitare che riaccadesse. L'origine infatti
si può trovare nel movimento eugenetico che, contrariamente
a quel che credono i più, non nasce e muore con il nazismo.
L'eugenetica infatti attraversa tutto il Novecento e si
presenta oggi maggioritaria sotto le accattivanti forme
delle ideologie umanitarie.
A coniare il termine eugenetica (dal greco eu, buona, e
génos, razza) già alla fine dell'Ottocento, fu il britannico
Francis Galton, cugino e discepolo di Charles Darwin, del
quale sviluppò le teorie sulla selezione naturale applicata
alla società umana: gli uomini tendono a riprodursi oltre i
limiti fino a generare una lotta per la sopravvivenza, che
vede vincitori i più forti e intelligenti. Galton,
poggiandosi anche sulla recente scoperta dell'ereditarietà
dei geni, fa un passo ulteriore chiedendosi se non sia
possibile "guidare" la selezione in modo da migliorare la
razza umana. Strutturale nel pensiero eugenetico è il
razzismo: lo stesso Galton teorizza l'inferiorità genetica
di alcune razze, tra cui i neri e gli indiani d'America.
Evidente anche la tendenza a separare nella società i "sani"
dagli "insani", per evitare il moltiplicarsi di geni
"deboli". Nascono così le prime Società Eugenetiche. Al
primo Congresso internazionale di Eugenetica, nel 1912,
partecipano delegati provenienti da Stati Uniti, India,
Australia, Canada, Germania, Francia, Giappone, Mauritius,
Kenya e Sudafrica. Negli Usa la teoria trovò consensi perché
intercettava le ansie di molti bianchi che vedevano
minacciata la nazione americana dai cambiamenti economici e
demografici (nei primi anni del '900 c'è una forte
immigrazione dall'Europa meridionale e orientale). Nel 1930
erano almeno una trentina gli Stati americani dove vigevano
leggi eugenetiche che autorizzavano la sterilizzazione degli
"insani", ovvero criminali, epilettici, deficienti mentali,
pervertiti sessuali e anche "non bianchi". E in quegli anni
anche in diversi Paesi europei venivano applicate analoghe
misure, in Svezia e poi a seguire in altri Paesi, la
sterilizzazione forzata è rimasta in vigore e applicata fino
agli anni '70-'80. In quell'humus nascono anche altri
movimenti, a partire dal femminismo radicale: convinta
eugenista era l'americana Margaret Sanger, che negli anni
'10-'20 diede il via al movimento di liberazione della
donna, a lei si deve anche il concetto di controllo delle
nascite.
La Sanger, tra le altre cose, fondò l'International Planned
Parenthood Federation (Ippf), presente oggi in oltre 180
Paesi, che è la più grande multinazionale per la
contraccezione e l'aborto. Vita parallela a quella della
Sanger ebbe l'inglese Marie Stopes, fondatrice in
Inghilterra della prima clinica per il controllo delle
nascite (1920); anche lei ci ha lasciato degli "eredi"
riuniti nell'organizzazione Marie Stopes International,
molto ben inserita nella Commissione Europea.
In questo quadro si può meglio comprendere il sostegno
culturale di cui ha goduto il nazismo, il quale poté in
breve assurgere al potere proprio in ragione di un certo
clima e di determinate alleanze culturali e scientifiche.
Sbaglierebbe però chi pensasse che la sconfitta del nazismo
abbia significato anche la fine dell'eugenetica. Il
movimento aveva radici ben più profonde di quelle del
nazismo ed era ampiamente diffuso al di fuori della
Germania. Il dopoguerra è perciò un periodo di ripensamento
sulla strategia da seguire. Esemplare al proposito questo
brano di Frederick Osborn, la figura più importante del
movimento eugenetico americano di quegli anni. Osborn parla
nel 1956 alla Società Eugenetica britannica: ". La parola
eugenetica è caduta in disgrazia in alcuni ambienti. (...)
Dobbiamo dunque chiederci, dove abbiamo sbagliato? Abbiamo
sottovalutato un tratto che è quasi universale e
profondamente radicato in natura. Cioè le persone non
vogliono accettare che la base genetica che forma le loro
caratteristiche è inferiore e non deve perciò essere
ripetuta nella prossima generazione. Noi abbiamo chiesto a
interi gruppi di persone di accettare questa idea e lo
abbiamo chiesto anche a singoli. Loro hanno costantemente
rifiutato..
La gente invece accetterà l'idea di uno specifico difetto
ereditario. Andranno a una clinica per l'ereditarietà e
chiederanno qual è il rischio di avere un bambino con
qualche difetto. Calcoleranno il rischio rispetto alla
possibilità di avere un bambino sano, e usciranno di solito
con una sana decisione. Ma loro non accetteranno l'idea di
essere di seconda classe. Perciò dobbiamo puntare su altre
motivazioni".
Ciò che nel prosieguo del suo discorso Osborn propone è la
"selezione volontaria inconsapevole" la quale ha
impressionanti tratti coincidenti con l'attuale concetto di
"libertà di scelta". Ad ogni modo, mentre le Società di
Eugenetica cambiano nome nei più presentabili e moderni
Istituti di Biologia Sociale, è proprio a partire dagli anni
'50 che fioriscono due correnti che tutt'oggi sono la più
matura espressione del pensiero eugenetico: il movimento per
il controllo delle nascite, che ha nel Population Council
(fondato da John D. Rockefeller III) e nell'International
Planned Parenthood Federation (IPPF, fondata da Margaret
Sanger) i protagonisti principali; poi il movimento
ecologista, che "esplode" negli anni '70 e trova nel Sierra
Club, nel WorldWatch Institute e nel Wwf i punti di
riferimento.
Questi movimenti hanno un minimo comun denominatore: una
visione totalmente negativa dell'uomo e di sfiducia verso il
futuro, che richiede il formarsi di una "oligarchia
illuminata" in grado di guidare un'umanità altrimenti
dannosa per sé e per il pianeta, fino a programmare e
selezionare gli individui. Che poi sono i presupposti della
Carta della Terra, i quali compaiono nell'attività dell'Onu.
Come stupirsi che nell'ultima Assemblea generale
(ottobre-novembre 2004) si sia evitato di far approvare una
risoluzione di condanna per la clonazione umana?
Parte essenziale di questo progetto è slegare l'uomo da ogni
appartenenza, perché è l'appartenenza ad un legame che
garantisce la libertà e la resistenza a ogni tentativo di
dominio L'attacco più vigoroso è così per la famiglia, posta
nella Dichiarazione del 1948 come cellula fondamentale della
società. Da ormai 15 anni a ogni conferenza si tenta di
relativizzare il concetto di famiglia, trasformandolo in
"famiglie", dove la struttura cambia a seconda della cultura
e dei tempi.
In questo contesto un'importanza tutta particolare ha la
questione della fecondazione artificiale. Far passare come
normale tale pratica - soprattutto nella sua versione
eterologa, cioè con un donatore al di fuori della coppia -
significa cancellare anche l'immagine di appartenenza che la
nascita di un bambino rappresenta. Perciò battersi contro la
fecondazione artificiale e contro i tentativi di peggiorare
la Legge 40 - pur limitata e non totalmente condivisibile -
è una battaglia per la libertà e per la difesa della dignità
di ogni uomo.
Riccardo Cascioli