http://progettoruah.wordpress.com/2012/08/08/report-teologia-queer/giusto per riflettere sul tema del topic, sulle relazioni fra morali e scopi delle varie morali.
Anche perché non ci si capisce molto.
Secondo Animus partiamo dal cristianesimo per arrivare al femminismo, all'ismo e al queer come ultimo parto di questo sviluppo di morale.
Secondo alcuni (con cui sto discutendo non in questo forum) il queer è utile alla QM perché libererebbe anche l'uomo (in estrema sintesi il meccanismo dovrebbe essere, eliminazione delle identificazioni sessuali quindi eliminazione del debito maschile) o in altrettanta estrema sintesi, eliminazione dell'attività maschile, che già in parte si sta verificando con il ritrarsi dei soggetti maschili (non ci sono più gli uomini di una volta).
Io ci sto riflettendo, perché Animus mi sembra suggerire la non-scelta, non scelgo di stare né da una parte né dall'altra e nemmeno di utilizzare elementi di una parte e dell'altra, ma smaschero e basta (è così Animus? se ho tradotto male esplicati senza incaxxarti please
), altri mi dicono che si sta da una parte o dall'altra e che il concetto "natura" se esiste emerge comunque quindi tanto vale andare fino in fondo e non stare a preoccuparcene. Se ce ne sono emergeranno naturalmente, sennò avremo la conferma definitiva della modificabilità degli istinti.
Io sto leggiucchiando. Animus in questo topic ha tagliato la testa al toro con l'osservazione della "teoria creata per... " che personalmente mi sento di condividere.
E intanto cerco .. e trovo. (vedi link sopra)
Innanzitutto, per far capire cos’è la “teologia” ha indicato due affermazioni contrastanti incluse nella 1 lettera di Giovanni: “Dio nessuno l’ha mai visto” (1 Gv 1,18) e “ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita” (1 Gv 1,1). La teologia parla di qualcosa che non conosce, comunica qualcosa che non è oggettivo, eppure deriva dall’esperienza, forte e tattile. Pertanto chi può parlare autorevolmente di Dio? Nella storia di Israele c’erano due figure che parlavano di Dio: chi stava al centro e comunicava la dottrina (ossia il sacerdote), e chi stava ai margini e sfidava la dottrina partendo dalla sua esperienza (ossia il profeta), quindi un’autorità al centro e una alla periferia.
Negli anni ’70 si sono delineate la teologia della liberazione e quella femminista che parlavano di Dio non perché al centro, ma appunto perché ai margini, partendo dalla loro esperienza come voce profetica. Tuttavia per essere “teologie” a tutti gli effetti, per rimanere all’interno del cristianesimo e non essere solo delle “teorie”, queste dovevano avere una legittimazione nei confronti della tradizione. La teologia femminista ha rintracciato gli elementi di continuità con la tradizione primitiva del cristianesimo, col modo che Gesù aveva di trattare le donne, così come la teologia della liberazione si fondava sulla missione di Gesù che parlava ai poveri. La teologia queer è uno di questi movimenti, che non è una teologia sull’omosessualità, né una teologia sulla sessualità, ma appunto una teologia che parte dall’esperienza queer e rilegge la tradizione attraverso questa lente esperienziale per dire qualcosa su Dio.
Passando al termine “queer”, questo compare nell’inglese del 17°-18° secolo per indicare qualcosa di “strano”, di “deviato”, ma è solo nel 19° secolo che acquista l’accezione di “devianza sessuale”. Ad oggi, nei Paesi anglosassoni, è un termine offensivo, un insulto, che indica tutto ciò che non è eterosessuale, e quindi un termine “ombrello” che include gay, lesbiche, bisex, transessuali, transgender… Utilizzare l’espressione “teologia queer”, quindi, è anche un’operazione politica (in italiano sarebbe come parlare di “teologia frocia” o “teologia finocchia” – giusto per rendere l’idea dispregiativa!).
Come la teologia della liberazione si appoggiava al marxismo, e la teologia femminista alla teoria femminista, così la teologia queer fa riferimento alla teoria queer, che si può riassumere in tre punti:
1 – il soggetto gay è fallimentare dal punto di vista politico e culturale, perché tende a normalizzare ciò che “normale” non è, togliendo forza all’esperienza (per esempio imitando la famiglia tradizionale)
2 – l’eterosessualità non è solo una forma di sessualità, ma è anche una struttura mentale. L’eterosessismo è un modo di strutturare la società dentro schemi costrittivi (come per es. il matrimonio): limita i generi esistenti a due, cancella chi non ha un sesso ben definito o chi non si identifica con uno dei due, causa l’attribuzione di qualità a un sesso o all’altro additando come “diverso” un maschio con qualità “tipiche” femminili o viceversa. Tutto ciò è simbolico di una struttura di potere occidentale, del dominio del maschio sulla femmina, dell’attivo sul passivo, del normale sull’anormale.
3 – il concetto di natura e di naturale è oppressivo, ed è utilizzato da chi ha il potere per controllare (un concetto coloniale, di chi comanda contro chi è conquistato).
La teologia queer, quindi, non si occupa di legittimare il soggetto gay come per esempio fa la teologia gay, non si occupa di normalizzare la sessualità non-normale; è quindi oltre la fase dell’inclusione di chi è diverso facendolo sentire non-diverso (che viene intesa come una “normalizzazione”), ma cerca di parlare dell’esperienza queer in modo positivo. Anche qui tre punti riassuntivi:
1 – critica la connessione storica fra cristianesimo e norma sessuale (utilizzata per tenere in ordine la sessualità delle persone)
2 – fa emergere la positività dell’esperienza queer per portare un contributo positivo (per esempio la finalità non procreativa ma di amore della sessualità, la sessualità non come riduzione ad altro, ma come valore a sé, come benedizione divina che aumenta la responsabilità relazionale)
3 – ritrova elementi queer nelle fonti cristiane (cosiddetto “queering”), nel Gesù storico, nelle prime comunità (per es. il rapporto fra Gesù e il discepolo che lui amava, Cristo come sposo della Chiesa che però era costituita anche da maschi, i rapporti tra persone celibi dello stesso sesso (monachesimo), le comunità cristiane come famiglie non-famiglie, diverse dal modello di famiglia patriarcale.
Quindi la teologia queer non cerca di scardinare i testi biblici che sarebbero il fondamento contro l’omosessualità (perché questo è già stato fatto validamente da altri) e non cercano di far includere i gay nelle chiese, perché se ci si ferma qui si blocca l’elemento vitale, si normalizza qualcosa che non deve essere normalizzato.
Nel dialogo che è seguito a questa introduzione di Gianluigi, è stato sottolineato come il modello della coppia, del matrimonio, non deve essere vissuto solo come un’imitazione da parte del mondo gay, ma che può anche essere un valore assoluto, vissuto pienamente e non come “normalizzazione”, ma tutto dipende da come lo si vive, e dalla libertà che si ha nel poter scegliere un modello piuttosto che un altro. Gianluigi ha portato l’esempio della recente approvazione del “matrimonio” fra coppie di omosessuali da parte del sinodo della Chiesa Episcopale (anglicana), e l’indicazione-obbligo da parte del vescovo di New York per tutti i pastori omosessuali di dover sposare entro 9 mesi i loro compagni. Questo da un lato li “normalizza” rispetto ai colleghi eterosessuali (che hanno circa lo stesso obbligo), ma d’altra parte indica una spinta verso l’imitazione di un modello che potrebbe non corrispondere alla realtà vissuta da ormai molti anni. Il pastore Marchetti ha ricordato, per esempio, che nella chiesa valdese oggi non esiste l’obbligo del matrimonio (per esempio, ci sono pastori che “convivono” pur officiando il matrimonio di chi lo desidera (ricordiamo che il matrimonio non viene riconosciuto come sacramento come nella chiesa cattolica).
D’altra parte questa libertà è un “ritorno al passato”, perché l’attuale modello di famiglia deriva dal 1700-1800, non prima. Nel Vangelo non c’è alcun cenno alla tanto indicata Sacra Famiglia, e l’unico cenno è un figlio che disobbedisce al padre. Nel Medioevo, per esempio, la Divina Commedia è dedicata a una donna che non è la moglie di Dante. Gesù stesso critica profondamente la famiglia patriarcale, e fa dei discepoli la sua famiglia, una famiglia un po’ atipica.
È sorta poi la questione: c’è un limite al desiderio? Ovvero, quali forme di “sessualità deviata” non hanno licenza di esistere (vedi pedofilia, zoofilia…)? Il limite probabilmente è il possesso, il controllo, la violenza sull’altro. D’altra parte, però, il desiderio stesso è funzionale al limite, e spesso gli estremi derivano da paletti troppo stretti, mentre in un campo più aperto e non limitato il desiderio ha libertà di muoversi senza incanalarsi in comportamenti pericolosi. Allo stesso modo, anche la fedeltà potrebbe essere intesa come un libero “possesso” dell’uno verso l’altro.
Infine è stato chiesto perché è stato scelto proprio questa definizione “teologia queer” visto che il termine “queer” è dispregiativo, e non è stato utilizzato qualcosa di più ‘soft’ come “teologia onnicomprensiva” o “teologia non esclusiva” o “teologia neutralizzante”. È stato detto che probabilmente questa definizione è stata scelta apposta per non essere politically correct e per “spiattellare” in faccia la diversità (come per dire: noi siamo i primi che ci prendiamo in giro, e il vostro insulto quindi non ci scalfisce più). Inoltre, per capire meglio la proposta ci si potrebbe concentrare sul doppio significato di termini quali “onnicomprensività”, “inclusione” e “neutralizzazione”. Per la teologia queer si tratta di termini ambigui. Da una parte essi possono indicare la direzione del desiderio dei teologi queer: che cosa si può volere se non una situazione nella quale ogni differenza venga rispettata e amata per quello che è? In questa situazione ideale ognuno sarebbe incluso e nessuno si preoccuperebbe perché qualcuno è diverso, essendolo tutti a loro modo. La diversità verrebbe abolita come problema. Tuttavia, questa e` una situazione che noi non viviamo affatto, che è di là da venire, è di natura escatologica. Nel nostro contesto reale, il rischio (anzi, la prassi!) è che termini di tipo inclusivo vengano adottati dalla maggioranza che si considera “normale” per inglobare dentro di sé (nella propria normalità) le differenze che di volta in volta le si presentano. Per questo motivo un punto essenziale della teologia queer è quello di rivendicare la propria differenza, l’essere soggetti portatori di una differenza non assimilabile. Solo così è possibile far capire ai “normali” che la normalità è un pericolo per loro stessi, per le loro possibilità di vita.
Il messaggio chiave, si può concludere, è comunque la centralità dell’amore: la teologia queer è una perorazione della differenza, è una teologia per cui tutti i pezzi d’amore vero hanno pari dignità