Autore Topic: Davide De Luca : "I veri numeri sul femminicidio ."  (Letto 1541 volte)

0 Utenti e 1 Visitatore stanno visualizzando questo topic.

Offline Stendardo

  • Veterano
  • ***
  • Post: 3501
Davide De Luca : "I veri numeri sul femminicidio ."
« il: Giugno 12, 2013, 10:31:00 am »
fonte : http://www.ilpost.it/davidedeluca/2013/05/20/i-veri-numeri-sul-femminicidio/

I veri numeri sul femminicidio

20 maggio 2013














In Italia le statistiche e i dati ufficiali mostrano che non esiste un’emergenza “femminicidio”. L’omicidio di donne da parte di partner o conoscenti non è diventata “un’epidemia” e in realtà non è nemmeno in aumento. In Italia si uccidono meno donne rispetto al resto d’Europa e agli altri paesi sviluppati.
 
Negli ultimi mesi politici, giornalisti e statistiche e ricerche quanto meno opinabili hanno contribuito a creare una percezione del fenomeno molto diverso dalla realtà. Come nel caso della disoccupazione giovanile, la bontà della causa – sensibilizzare l’opinione pubblica sull’omicidio di donne e incoraggiare il governo a prendere misure per contrastarlo – ha fatto come prima vittima la correttezza dei dati statistici.
 
Diversi articoli, usciti nelle ultime settimane, hanno sostanzialmente posto fine al dibattito – Sabino Patruno, sul blog Noise from Amerika, Fabrizio Tonello e Nadia Somma e Mario de Maglie sui rispettivi blog sul Fatto Quotidiano. Questi articoli mostrano come i numeri diano completamente torto alla tesi dell’escalation e come ci troviamo piuttosto di fronte a un fenomeno endemico – cosa forse persino peggiore.
 
I numeri hanno mostrato come molte ricerche siano state fatte con il solo scopo di ottenere un titolo sul giornale e come molti giornalisti abbiano pensato più a scrivere articoli sensazionalistici che al rigore dei dati. I politici si sono adattati a questi fenomeni e hanno detto – e fatto – ciò che il sentimento del momento chiedeva che si facesse.
 
La tesi dell’emergenza femminicidio è stata appoggiata da diverse ricerche che gli hanno dato un alone di scientificità. Una delle principali è quella della Casa delle donne condotta prendendo in esame i casi di femminicidio riportati sulla stampa. In questa ricerca viene mostrato un crescente numero di omicidi di donne, a partire dalle 84 del 2005, fino al 124 del 2012 – un’altra ricerca, elaborata dalla Fondazione David Hume sembra che abbia riportato gli stessi dati, ma non siamo riusciti a trovarla su internet.
 
I numeri riportati sono impressionanti, ma basta una riflessione piuttosto breve per rendersi conto che non si tratta di dati significativi. Una ricerca condotta sulla base degli articoli pubblicati sulla stampa non ha nessuna serietà scientifica: non è altro che una ricerca su quanto la stampa si è occupata di quel fenomeno. I dati affidabili sono quelli forniti dalle fonti ufficiali (ISTAT e ministero dell’Interno, in questo caso) oppure quelli presenti nelle ricerche indipendenti, sottoposte a un processo di peer review e pubblicate su riviste scientifiche affidabili.
 
Questi dati ci mostrano che gli omicidi nei confronti delle donne sono rimasti stabili o sono leggermente diminuiti. Secondo l’ultimo rapporto ISTAT il tasso di donne assassinate è rimasto sostanzialmente costante a 0,5 ogni 100 mila abitanti dal 1992 al 2009 (ultimo anno di riferimento). Lo stesso ISTAT scrive: «a fronte di una stabilità dei delitti complessivamente denunciati, va notata la forte riduzione rispetto al 1992 dell’incidenza di omicidi, tranne quelli ai danni delle donne».
 
Anche i conti sulla percentuale totale di omicidi di cui sono vittime le donne rispetto al totale degli omicidi, hanno poco senso. Dai primi Anni ’90, quando gli omicidi ebbero un’impennata a causa delle guerre di mafia e camorra, gli omicidi sono costantemente diminuiti. Ma ad essere uccisi di meno erano gli uomini, le vittime principali delle guerre di mafia. A fronte di un calo degli omicidi di uomini, quelli di donne restavano stabili e questo ha portato la loro incidenza sul totale ad aumentare (anche se il loro numero in assoluto non aumentava).
 
Il tasso di omicidio di donne non è la stessa cosa del numero di femminicidi – nell’accezione comunemente accettata un femminicidio è un omicidio di una donna da parte di un partner o di un conoscente. Può essere che mentre il totale di omicidi sia rimasto costante, il sottoinsieme dei femminicidi veri e propri sia aumentato. Può essere, ma non esistono dati per affermarlo e, come sostiene Tonello nel suo articolo, gli indizi fanno pensare che non sia così.
 
Il femminicidio sembra essere un fenomeno endemico: costante e uniforme nel tempo e più o meno immune dalla gran parte delle influenze esterne (almeno quelle che si possono misurare su una scala di vent’anni). Criminologi e sociologi sono sostanzialmente d’accordo con questa tesi: molte ricerche effettuate in vari paesi mostrano che il tasso di omicidi tende a fluttuare molto più del tasso di omicidio femminile – potete leggere le argomentazioni a supporto di questa tesi nell’articolo di Patruno.
 
Un solo omicidio è un fatto grave e spiacevole, da condannare. Un fenomeno endemico non è meno grave di uno epidemico, anzi. La malaria in certe zone dell’Africa non va sottovalutata solo per la sua natura endemica. Per capire di quale portata sia il costante “femminicidio” che c’è stato in Italia può essere utile comparare i tassi italiani con quelli degli altri paesi.
 
Sorprendentemente l’Italia è uno dei paesi dove vengono uccise meno donne al mondo. Secondo il rapporto dell’ONU sugli omicidi in base al sesso (che potete trovare qui) in quasi tutti i paesi europei il tasso di omicidi di donne è maggiore rispetto a quello italiano. In rapporto alla popolazione vengono uccise più donne che in Italia in Austria, Finlandia, Francia, Germania, Svizzera, Svezia. Austria e Finlandia hanno tassi quasi tre volte superiori a quelli italiani.
 
Le conclusioni a cui giungono i vari articoli che abbiamo segnalato sono diverse. Patruno e Tonello sostengono che sia inutile prendere misure straordinarie, prevedere nuove categorie di reati e istituire task force ministeriali. Somma e De Maglie invece ritengono che l’Italia sulle politiche di prevenzione sia ancora molto indietro e che quindi il tasso di omicidi potrebbe essere abbassato con adeguati investimenti.
 
Che queste misure straordinarie esistano o meno fa poca differenza. Se ci sono andranno prese sulla base dei dati che possediamo, che indicano la presenza di un fenomeno endemico e di lunga durata. Quelle prese in maniera emotiva sulla base della percezione di un’emergenza, rischiano invece di combattere un fenomeno che non esiste.
 
 

Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti (Winston Churchill) https://storieriflessioni.blogspot.it/ il blog di Jan Quarius

Offline Stendardo

  • Veterano
  • ***
  • Post: 3501
Re:Davide De Luca : "I veri numeri sul femminicidio ."
« Risposta #1 il: Giugno 12, 2013, 10:38:16 am »
fonte : http://www.ilpost.it/davidedeluca/2013/05/28/tutti-i-numeri-sul-femminicidio-2/

I veri numeri sul Femminicidio – 2

28 maggio 2013














Nell’ultima settimana il nostro articolo sul femminicidio ha ricevuto diverse risposte critiche (qui, qui, qui e qui ad esempio). Abbiamo ricevuto obiezioni di tre tipi: sui dati, semantiche e di opportunità. Visto che qualcuno si è preso la briga di leggere quello che abbiamo scritto e di scrivere delle buone e argomentate critiche, il minimo che possiamo fare è rispondergli.
 
Secondo Giulia Siviero (@glsiviero) i dati ISTAT che abbiamo riportato non sono pertinenti all’argomento perché non sono divisi per genere e motivazione. Nelle statistiche viene riportato il numero delle donne assassinate non diviso in omicidi compiuti da altre donne, da uomini, in omicidi legati alla criminalità comune o quelli che sono veri e propri “femminicidi” (o femicidi, come vedremo tra poco). Il commento di Siviero è indubbiamente corretto e ai dati ISTAT mancano proprio queste precisazioni. Già nel nostro articolo della scorsa settimana ci eravamo posti il problema:
 

Il tasso di omicidio di donne non è la stessa cosa del numero di femminicidi – nell’accezione comunemente accettata un femminicidio è un omicidio di una donna da parte di un partner o di un conoscente. Può essere che mentre il totale di omicidi sia rimasto costante, il sottoinsieme dei femminicidi veri e propri sia aumentato. Può essere, ma non esistono dati per affermarlo e, come sostiene Tonello nel suo articolo, gli indizi fanno pensare che non sia così.
 
Sempre sui numeri: Giovanna Cosenza (@giovannacosenza) e Loredana Lipperini (@lalipperini) sostengono che se i numeri assoluti sono costanti – come dimostrano i dati ISTAT – la percentuale delle donne assassinate sul totale degli omicidi è in aumento. Il che è vero, ma non ci è d’aiuto nel cercare di capire se i femminicidi sono in aumento o meno. Come avevamo scritto una settimana fa:
 

Anche i conti sulla percentuale totale di omicidi di cui sono vittime le donne rispetto al totale degli omicidi, hanno poco senso. Dai primi Anni ’90, quando gli omicidi ebbero un’impennata a causa delle guerre di mafia e camorra, gli omicidi sono costantemente diminuiti. Ma ad essere uccisi di meno erano gli uomini, le vittime principali delle guerre di mafia. A fronte di un calo degli omicidi di uomini, quelli di donne restavano stabili e questo ha portato la loro incidenza sul totale ad aumentare (anche se il loro numero in assoluto non aumentava).
 
La seconda obiezione è di natura semantica: femminicidio, ci fanno notare, è un termine con un significato diverso da femicidio. Quest’ultimo indica gli omicidi di genere, cioè quegli omicidi compiuti da uomini nei confronti delle donne per motivi legati alla misoginia. Il primo raggruppa tutta una serie di fenomeni come discriminazioni, violenze, stupri e molestie. Nel campo specialistico dell’antropologia e della criminologia questi due termini hanno due significati diversi e riconosciuti.
 
Non è così nel linguaggio comune: in quasi tutti gli articoli e nei servizi giornalistici il termine femminicidio è stato usato come sinonimo del termine femicidio. In questo caso specifico è difficile dare la colpa ai giornalisti: femicidio e femminicidio, etimologicamente, sono esattamente la stessa parola. “Femi” o “femmin”, che vuol dire di femmine e -cidio, dal latino caedere, che vuol dire uccidere.
 
Ma l’obiezione più tagliante è certamente quella che ci fa Giulia Siviero e che Andrea Zitelli (@andreazitelli_) ha efficacemente riassunto: potremmo definirla un’obiezione di “opportunità”. Ecco cosa scrive Zitelli:
 

E anche se le uccisioni di donne in Italia non fossero in aumento perché ridimensionare nel dibattito pubblico un problema strutturale interno alla società?
 
Questa critica è una delle più difficili da liquidare con una scrollata di spalle per chi fa factchecking. Un altro modo di dire la stessa cosa è: perché smontare quelle campagne politiche o mediatiche che, magari piegando un po’ i dati, si propongono un obbiettivo degno e meritevole? Non è un’obiezione da poco. Si tratta di una corda tesa su un baratro che dobbiamo percorrere fino in fondo. Del tema ne avevamo già parlato qui (nelle risposte ai commenti) e gli avevamo dedicato un intero articolo qui.
 
Ci sono due risposte: una più brutale, l’altra più pratica. Leviamoci subito il sassolino nella scarpa di quella brutale. Il mestiere di giornalista non è quello di orientare o manipolare il dibattito pubblico verso un obbiettivo ritenuto giusto o meritevole. Il mestiere del giornalista ha a che fare con la verità, o con la più ragionevole approssimazione che è possibile raggiungere.
 
Sopratutto in un paese dove il dibattito pubblico è arretrato, pieno di falsità, manipolato da una parte o dall’altra, per noi giornalisti il dovere di tutelare la correttezza di numeri e dati è doppiamente forte. Non è solo questione di controllare i numeri dopo la virgola, ma di controllare i centesimi dopo la virgola e di essere pronti a rettificare quando ci sbagliamo. Soltanto applicando a noi stessi un rigore estremo otteniamo il diritto a chiedere rigore anche agli altri.
 
La seconda obiezione è più pratica. Questa critica parte da un presupposto: parlare di un fenomeno e dipingerlo con toni emergenziali aiuta ad adottare policy o atteggiamenti culturali da parte dell’opinione pubblica in grado di curarlo. Dall’altro lato, criticare gli eccessi emergenziali, sortisce l’effetto opposto: diminuisce l’interesse e rallenta il cambiamento.
 
Noi pensiamo che invece sia vero l’opposto. La retorica dell’emergenza continua, per cui certi fenomeni continuano e anzi peggiorano nonostante i progressi sociali e culturali che la nostra società ha faticosamente raggiunto, sortisce l’effetto opposto a quello che si vuole ottenere. Fa sentire le persone impotenti e rischia di renderle ciniche e indifferenti: «sono 30 anni che le pubblicità progresso mi dicono che i bambini africani muoiono di fame. All’inizio donavo anche dei soldi, ma se dopo 30 anni non è cambiato niente allora non ne vale la pena» (in realtà la fame nel mondo sta diminuendo da anni).
 
È tutto da dimostrare che la retorica dell’emergenza abbia un effetto positivo sulle policy adottate dallo stato. L’esperienza di questi ultimi anni avrebbe dovuto insegnarci che spesso, quando costretti ad agire sull’onda emotiva, i politici producono leggi e soluzioni altrettanto emotive e altrettanto poco efficaci.
 
Trasferiamo questo ragionamento nell’Italia del 2009: sui media e nei discorsi dei politici impazza il dibattito sulla sicurezza. L’Italia viene dipinta come un paese sempre più pericoloso e le città come trappole mortali. Chi faceva notare che la criminalità in realtà non era affatto in aumento, poteva essere criticato perché: “in aumento o no la criminalità non è forse un problema?”. La retorica emotiva ed emergenziale produsse le camionette dell’esercito per strada: a detta di tutti gli esperti un orpello inutile che non ha fatto nulla per ridurre la criminalità e ha finito con l’aumentare la percezione di insicurezza.
 
Eccoci quindi al punto finale: qualunque ragionamento che parta da dati scorretti o, addirittura, dall’assenza di dati e da una pura percezione emotiva, difficilmente potrà produrre policy efficaci. A volte combattere una giusta battaglia sulla base delle informazioni sbagliate può portare anche a ottenere risultati opposti a quelli che si volevano raggiungere.
Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti (Winston Churchill) https://storieriflessioni.blogspot.it/ il blog di Jan Quarius