Autore Topic: NestolaNon vale indossare una toga quando sarebbe meglio una tuta da meccanico  (Letto 854 volte)

0 Utenti e 1 Visitatore stanno visualizzando questo topic.

Offline Stendardo

  • Veterano
  • ***
  • Post: 3501
Fonte : http://www.adiantum.it/public/3386-non-vale-indossare-la-toga,-quando-sarebbe-meglio-una-tuta-da-meccanico---di-fabio-nestola.asp

Non vale indossare la toga, quando sarebbe meglio una tuta da meccanico - di Fabio Nestola

Cronache dai tribunali


More Sharing ServicesCondividi|Share on facebookShare on myspaceShare on googleShare on twitter

   










 Fabio Nestola


10/07/2013 - 18.37


 Abbiamo detto e scritto più volte della forzatura sistematica in atto nei nostri Tribunali per non applicare la legge 54/06: abbiamo analizzato per anni  e documentato in dettaglio le strategie di aggiramento della norma,  abbiamo monitorato decreti e sentenze che del “condiviso” hanno solo il nome, abbiamo raccolto dossier da depositare in Parlamento, abbiamo dimostrato nelle audizioni alla Camera e al Senato la mancata applicazione della legge tradita, abbiamo effettuato ricerche pubblicate su portali e riviste scientifiche, abbiamo elaborato da anni relazioni da presentare in decine e decine di seminari e corsi di formazione per avvocati …
 
Conoscendo quindi nei minimi dettagli le dinamiche di autolegittimazione del Sistema, pronto alle più ardite acrobazie dialettiche pur di giustificare il proprio accanimento nel replicare il modello di affidamento esclusivo, dovremmo ormai essere al riparo da ogni sconcerto nell’acquisire nuovi elementi di valutazione.
 
Non è così: non riusciremo mai ad abituarci alle assurdità che sanno partorire alcuni tribunali.
 
L’ultima - in ordine di tempo, non certo di assurdità - è dell’aprile 2013. Il procedimento non è esaurito, quindi preferiamo alterare i nomi delle persone coinvolte ed omettere gli estremi dei professionisti, per non rendere identificabili le parti ed i rispettivi legali, ne’ il CTU e/o il tribunale competente.
 
Per ora.

I fatti - si separa una coppia atipica: Anna lavora regolarmente a contratto, Mario saltuariamente in nero. Anna e Mario hanno due bambini ed hanno raggiunto questo equilibrio: è il padre che si occupa principalmente dei figli, in assenza della moglie impegnata al lavoro.
 
Si tratta di una scelta obbligata, che dipende dal fallimento della ditta presso la quale Mario era impiegato. Ora lavora un paio d’ore al giorno quando capita, ma il suo ruolo domestico è tanto prevalente che la stessa Anna lo definisce “casalingo”.   
 
Il Giudice non prende atto della situazione, non valuta nel caso di specie quale sia la figura di riferimento per i figli, non decide di conseguenza, non si assume alcuna responsabilità; nomina l’immancabile CTU, delegando ad altri il compito di uniformarsi all’orientamento prevalente che prevede come “migliori” le misure standard: casa, assegno e figli ad un genitore e un mortificante diritto di visita all’altro, quale perfetta replica dell’affido esclusivo.
 
Il CTU però non si limita a seguire il copione preferito nei nostri tribunali, ma rileva ciò che chiunque - quindi anche lo stesso Giudice - avrebbe potuto rilevare: nella coppia presa in esame i compiti di cura della prole vengono svolti prevalentemente dal padre.
 
In ragione dell’estrema flessibilità dei suoi lavoretti saltuari, combinata con i turni anche serali e notturni della madre, è Mario ad occuparsi della quotidianità dei figli, dal risveglio ai pasti, dalla scuola alle attività extrascolastiche.
 
Il CTU infatti nella relazione scrive: 



Ma la conclusione non piace al Giudice, che la stravolge. Attendeva dal CTU conclusioni diverse ? Sperava in un appiattimento sulle misure standardizzate da decenni ? Sperava in una legittimazione dei preconcetti prevalenti? Sperava di essere supportato nel proprio favor per il modello di affido esclusivo? 
 
Si tratta solo di ipotesi, non è dato di sapere quali fossero le aspettative del Giudice al momento di chiedere il parere tecnico. Resta il fatto - incontestabile - che ignora le indicazioni del CTU e ne stravolge le conclusioni. L’ordinanza recita infatti:
 


Che scandalo inaccettabile, i figli conviventi col padre ! In costanza di matrimonio è una realtà consolidata all’interno di questa coppia, lo scandalo è che possa accadere anche in caso di separazione. Al Giudice proprio non va giù, deve trovare una motivazione per gettare alle ortiche le conclusioni del CTU. Eccola:
 


Fenomenale davvero! La collocazione dei figli presso il padre penalizzerebbe la madre, quindi per dirla col Manzoni “non s’ha da fare”. Poco importa che sia positiva per l’equilibrio dei figli, poco importa che garantisca continuità in quanto è Mario il genitore di riferimento quotidiano, poco importa che i principi di stabilità sia emotiva che di vita siano legati alla figura paterna, poco importa che la madre sia oggettivamente impossibilitata ad occuparsi dei figli in misura uguale a ciò che oggi fa il padre …
 
La forma mentis della maggior parte dei Giudici è arroccata sull’inscindibilità del binomio madre-figli, migliore sempre, migliore ovunque, migliore a prescindere dalle caratteristiche individuali e di coppia delle parti, migliore anche negando l’oggettività dei fatti, migliore per postulato. Non riuscendo a liberarsi da preconcetti tanto radicati, troppi Giudici si dimostrano creativi nel rispolverare motivazioni dozzinali o coniarne di nuove, al solo scopo di giustificare misure preconfezionate.
 
Infatti, come abbiamo quintali di ordinanze farcite da “i bambini non sono pacchi postali” e “non è importante la quantità ma la qualità del tempo trascorso con i figli”,  ecco che abbiamo anche “dandoli al padre verrebbe penalizzata la madre”.
 
In spregio del superiore interesse del minore.

Poi, con la sua ordinanza....voilà, giustizia è fatta!

L’approccio del Giudice è sbagliato, grossolanamente sbagliato: il diritto di famiglia non considera un premio il collocamento della prole e, allo stesso modo, non considera una penalizzazione il mancato collocamento.
 
Il focus è sul diritto del minore, non sulla gratificazione dei genitori.

Può un Giudice ignorare questo principio fondamentale?

Vorremmo porre all’illuminato Giudice una serie di domande, ma sappiamo che dall’alto della sua torre d’avorio non risponderà mai.
 
Non deve essere penalizzato chi è fuori casa per lavoro.

Ok, ma il principio è simmetrico o unidirezionale? Vale cioè sia per una lavoratrice che per un lavoratore? A ruoli invertiti, cosa accade? È in grado il Giudice di citare un suo provvedimento che colloca i figli presso il padre con la motivazione “per non penalizzarlo del fatto che lavora e non può occuparsi stabilmente dei figli”?
 
L’ordinanza, anche nelle motivazioni, sembra conformata più ad un eccesso di scrupolosa garanzia per i privilegi di un genitore che non al rispetto delle reali esigenze della prole.
 
Che fine fa il diritto dell’infanzia alla stabilità, privando i bambini di quella che attualmente è la figura genitoriale di riferimento?
 
Ancora: le frequentazioni padre-figli sono stabilite in maniera apparentemente ampia, ma concretamente aleatoria.
 
La formula “quando vorrà, previo accordo” è quanto di più rischioso possa esistere, ne è a conoscenza il Giudice? È sufficiente che non ci sia accordo su date ed orari,  ed ecco che quando vorrà si trasforma in mai.
 
Si tratta di una strategia ben rodata, messa in atto da chi vuole consumare vendette, chi tende ad escludere un genitore dalla vita dei figli ed aspira a fare degli stessi una proprietà esclusiva.
 
È a conoscenza il Giudice della casistica relativa agli attriti generati dal previo accordo?  Sa che con tale formula conferisce una sorta di diritto di veto al genitore convivente con la prole? Per quale motivo non essere imparziali scrivendo previa comunicazione?
 
Un genitore comunica all’altro che prenderà i figli, punto. Nulla di imprevisto, nulla di destabilizzante, si tratta di una consuetudine che verrà reiterata centinaia di volte negli anni a venire. L’imprevisto semmai è la comunicazione che è impossibilitato a prenderli perché ha 39 di febbre, perché ha avuto un incidente o altro.
 
Non è costretto a chiedere il permesso cercando un accordo, avviando ogni volta una trattativa su mezz’ora in più o mezz’ora in meno, chiedendo accesso a chi si considera proprietario della prole.   
 
È a conoscenza il Giudice che subordinando ogni volta le frequentazioni al raggiungimento di un accordo crea un potenziale focolaio di conflittualità? Sa che con tale formula rafforza l’asimmetria tra genitore prevalente e genitore marginale? Uno che è costretto a chiedere e l’altro che decide se, quando e come concedere, restaurando esattamente ciò che il Legislatore intendeva eliminare con la novella del 2006.
 
Frequentazioni significative e costanti sono un diritto dei minori, non degli adulti.
 
Subordinarle ad un accordo tra le parti confligge con la stessa ratio del principio di bigenitorialità.
 
Altra osservazione sulle spese extra che un genitore dovrebbe versare all’altro nella misura del 50%.
 
Si tratta dell’ennesima stortura generata dal favor per il modello di affido esclusivo, dal quale il condiviso finge di discostarsi.
 
Cosa impedisce che anche il genitore non coabitante possa (o debba?) affrontare delle spese per far fronte ai bisogni dei figli? Cosa impedisce che possa farlo in prima persona, senza essere obbligato a delegare al genitore prevalente i compiti di cura?
 
Un bambino frequenta la palestra di pallavolo; è il padre che ne cura tutti gli aspetti, dal pagamento della retta mensile, all’accompagnamento agli allenamenti, all’acquisto dell’attrezzatura necessaria.
 
Capita l’imprevisto di un piccolo infortunio, una caviglia appoggiata male e arriva la distorsione. Il fisioterapista consiglia l’applicazione di un gel e l’utilizzo di un tutore per 20 gg.
 
È libero il padre di entrare in farmacia ed acquistare il tutore, o è obbligato a delegare la madre? E soprattutto, ha diritto a chiedere un rimborso pari al 50% delle spese sostenute?
 
Se la spesa non coperta dal SSN viene effettuata dalla madre il padre deve contribuire, questo è previsto dall’ordinanza; ma non è previsto che a ruoli invertiti anche la madre contribuisca.
 
Due pesi e due misure, un topos nei nostri tribunali.

Qualsiasi spesa extra, anche effettuata nell’esclusivo interesse dei minori, è considerata un regalo se fatta dal genitore non convivente con i figli?
 
Perché non essere imparziale, scrivendo “ciascun genitore corrisponderà all’altro, etc”, invece di  circoscrivere alla madre il diritto di essere rimborsata, come diretta conseguenza del conferimento di un ruolo egemone nel soddisfacimento delle esigenze della prole?
 
Un’altra miopia giudiziaria, dalla quale poi non bisogna stupirsi se nascono attriti.
 
Ma soprattutto un altro retaggio dell’affido esclusivo, del quale troppi Giudici non riescono proprio a liberarsi. Un genitore deve essere prevalente rispetto all’altro, non riescono ad abbandonare questo modello e non riescono ad assimilare il principio di bigenitorialità. 
 
Poi salta fuori la solita solfa: che possiamo fare, si sa che i genitori sono conflittuali …
 
L’ipocrisia risiede nel fatto che nessuno vuol vedere l’erogazione di una serie di misure che acuiscono le occasioni di conflittualità, in alcuni casi le creano dal nulla.
 
Il Sistema si autoalimenta: creando il problema, crea anche il diritto di potersene occupare.
 
Proponiamo da anni un esperimento: esaminare i casi con i dati oscurati.

Di ogni genitore viene descritto il comportamento nei confronti della prole e dell’altro coniuge, le caratteristiche reddituali, le istanze ed ogni altro dettaglio utile, senza però specificare se si tratti della madre o del padre.
 
Le decisioni vengono prese su dati oggettivi ed impersonali, eliminando soggettività e pregiudizi di genere.
 
Solo dopo l’omologa vengono aggiunte le generalità delle parti.

È un esperimento impossibile da realizzare? Forse, ciò non toglie che i risultati sarebbero interessanti.
 
Siamo sicuri che ogni provvedimento preso nei tribunali Ordinari e per i Minorenni, nelle Corti d’Appello ed in Cassazione, ricalcherebbe fedelmente quanto stabilito dal 2006 ad oggi?
 
In sostanza, l’imparzialità di giudizio rimane pura o è inquinata da pregiudizi sessisti?
 
Nel caso di specie, se il Giudice avesse esaminato gli atti senza conoscere le generalità delle parti, le conclusioni sarebbero state le stesse?
 
Un genitore lavora stabilmente, con turni che ruotano fra mattutini, pomeridiani e notturni, cosa che gli impedisce oggettivamente di occuparsi della prole in maniera stabile e continuativa; l’altro non ha un impiego stabile e si occupa di tutte le esigenze dei figli, ordinarie e straordinarie.
 
Secondo logica, oltre che secondo giurisprudenza consolidata, presso quale dei due è meglio collocare i bambini?
 
Quale Giudice, senza conoscere le generalità delle parti, si arrampicherebbe sugli specchi disponendo la collocazione proprio presso il genitore che non può occuparsi dei figli?
 
Ma i nomi c’erano, quindi … imparzialità: non pervenuta.

Sorprende l’influenza del pregiudizio in un campo nel quale sarebbe necessaria la massima oggettività.
 
Il Magistrato come prerequisito imprescindibile deve essere un modello di imparzialità, se non vi riesce non sarebbe meglio che facesse altro?
 
C’è tanto bisogno di agricoltori, falegnami, elettricisti, idraulici, maestre, infermiere … tutti mestieri più che dignitosi, utili, remunerativi … non è mica obbligatorio entrare in Magistratura quando non si hanno i requisiti di imparzialità indispensabili all’esercizio del mandato.
 
Perché indossare per forza la toga, quando in certi casi sarebbe meglio una bella tuta da meccanico?
 
Non serve appellarsi alle figure di Falcone e Borsellino, come immancabilmente viene fatto ogni volta che si prova a sollevare critiche sull’operato di qualche Magistrato.
 
Come in ogni categoria ci sono gli eroi, è vero, ma ci sono anche le mezze calzette.
 
La Magistratura annovera sicuramente delle eccellenze, ma anche tante, troppe gravissime incapacità dalle quali sortisce l’effetto di fare a pezzi sia il Diritto che i diritti.
 
Soprattutto dei minori.

 

Fabio Nestola

Fonte: Redazione
Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti (Winston Churchill) https://storieriflessioni.blogspot.it/ il blog di Jan Quarius