Fonte :
http://maschiselvaticiblog.wordpress.com/2013/06/12/lui-e-laborto-viaggio-nel-cuore-maschile-intervista-ad-antonello-vanni/“Lui e l’aborto. Viaggio nel cuore maschile”. Intervista ad Antonello Vanni
(Intervista con Antonello Vanni, autore del volume edito da San Paolo Ed., di Elisabetta Pittino, per Zenit.org, giugno 2013)
“Il libro che state per leggere ha un valore storico: infrange per la prima volta il tabù che ha finora oscurato in Italia il rapporto tra i padri e i loro figli abortiti.” Esordisce Claudio Risé nella Prefazione al libro di Antonello Vanni. “Lui e l’aborto. Viaggio nel cuore maschile”. Antonello Vanni, educatore e docente di Lettere, perfezionato in Bioetica presso l’Università Cattolica di Milano, è un esperto del padre. Ha approfondito i temi della responsabilità e della tutela della vita umana ne Il padre e la vita nascente (Nastro 2004). Ha curato la documentazione scientifica del libro Cannabis. Come perdere la testa e a volte la vita di Claudio Risé (San Paolo 2007). Ha insegnato presso la facoltà di Bioetica dell’Ateneo Regina Apostolorum di Roma e presso l’Istituto per ricerche e attività educative di Napoli sul tema “adolescenti, media e droga“. Nel 2009 ha pubblicato il libro Adolescenti tra dipendenze e libertà. Manuale di prevenzione per genitori, educatori e insegnanti (San Paolo). L’autore fa uno “scavo pioneristico” dentro la figura paterna, quasi completamente dismessa soprattutto quando si tratta di IVG e dintorni, che vale la pena percorrere. Dalla curiosità per questa opera nuova, nasce l’intervista all’autore.
Come, quando e perché è nata l’idea di questo libro “Lui e l’aborto. Viaggio nel cuore maschile” edito da San Paolo Ed.?
Antonello Vanni: Da anni svolgo un’attività di ricerca personale sulla figura paterna nelle sue dimensioni più legate all’educazione e crescita dei figli, ricerca che si è poi espressa nel mio libro “Padri presenti figli felici. Come essere padri migliori per crescere figli sereni” (San Paolo Ed., 2011) giunto alla seconda edizione e pubblicato anche in altre lingue. Durante questa ricerca mi sono reso conto di quanto sia dimenticata, anche negli ormai numerosi libri sulla paternità, la relazione tra il padre e la vita dei figli nella sua primissima fase, quella dell’origine della vita stessa. A questo tema ho dedicato nel 2004 una pubblicazione “Il padre e la vita nascente. Una proposta alla coscienza cristiana in favore della vita e della famiglia” (F. Nastro Ed.) in cui ho posto alcune basi per la mia riflessione successiva sul tema, fornendo inoltre delle proposte concrete ai Cav, ai giovani del MPV, a chi si occupa di corsi di preparazione al matrimonio, e agli studiosi di Bioetica, per favorire l’avvicinamento tra padre e vita concepita. In questo nuovo libro, “Lui e l’aborto. Viaggio nel cuore maschile” (vedi
http://www.antonello-vanni.it/), sono partito da quelle basi per esplorare ulteriormente, a tutto tondo, e sulla scorta di ricerche scientifiche internazionali aggiornate, gli aspetti che costituiscono il tema della relazione tra il padre e il destino della vita del figlio cui l’uomo stesso ha dato origine.
Quali sono le domande a cui hai voluto rispondere scrivendo “Lui e l’aborto”?
Antonello Vanni: Prima di tutto va detto che, dal punto di vista dell’indagine scientifica, per affrontare la relazione tra figura maschile e aborto, è stato necessario ampliare lo sguardo e superare la prospettiva limitata di una legge o di uno slogan. Infatti, nel momento in cui si esamina questa realtà si incontra uno scenario umano estremamente vario che chiama in causa anche la coscienza, la rappresentazione della vita e della sessualità nella nostra società, la responsabilità politica e dei media, l’educazione delle nuove generazioni. Ci troviamo infatti davanti a numerosi interrogativi. Come reagisce un uomo alla notizia della gravidanza della donna? Perché la spinge all’aborto o cerca in tutti i modi di convincerla a tenere il bambino arrivando a gesti estremi per salvarlo? Perché i maschi di oggi tacciono, o devono tacere, non riuscendo a esprimere una posizione forte sull’aborto? L’incapacità di accogliere la vita nascente è connaturata alla figura maschile o è espressione delle tendenze secolarizzate e abortiste del nostro modello culturale? Quale influenza hanno, nel ricorso maschile e femminile all’interruzione di gravidanza, le critiche condizioni economiche in cui viviamo? La non conoscenza della crudeltà delle procedure abortive alimenta il silenzio della coscienza negli uomini? La legge 194 ha un effetto diseducativo sui giovani perpetuando nei maschi il disorientamento verso la vita concepita? L’esperienza dell’aborto ha un impatto traumatico sulla psiche maschile? Se sì, chi e come può rispondere al bisogno di ascolto e comprensione di questi uomini tormentati? E queste sono solo alcune delle domande possibili su un problema che merita di essere esplorato in tutta la sua complessità, evidente anche nei tanti casi di cronaca, che ho presentato nel volume.
Cos’hai scoperto, in quanto autore, scrivendo questo libro “Lui e l’aborto”?
Antonello Vanni: Ho scoperto quanto sia gravemente superficiale e carente la visione che l’opinione pubblica, i media e la ricerca hanno del mondo maschile, sopratutto quando si parla della sua posizione rispetto alla vita o all’aborto. In genere si va dall’indifferenza alla visione ideologica che, sulla scorta di pregiudizi ormai vecchi di decenni, propone una figura maschile inetta, disinteressata alla vita, irresponsabile, capace solo di spingere la donna all’aborto o di andarsene, lasciando la donna incinta sola nel prendere decisioni importanti. Intendiamoci: tutto questo ha un fondo di verità, ma è solo una parte, molto limitata, di una realtà ben più complessa. Complessità che, va sottolineato, è rimasta e rimane invisibile proprio perché pregiudizi e visione ideologica hanno paralizzato un’indagine scientifica obiettiva e ad ampio raggio: basti pensare che del padre, nelle Relazioni ministeriali sull’applicazione della legge 194/78, non se ne parla mai. Per sopperire a questa carenza ho appunto scritto “Lui e l’aborto” in cui sono descritte e discusse dinamiche più articolate e quindi più interessanti per chi vuole riflettere con serietà su questi argomenti.
E che cosa hai scoperto tu, come uomo, in questo libro che ha come sottotitolo “Viaggio nel cuore maschile”?
Antonello Vanni: Da un lato mi sono interrogato, con inquietudine, sui motivi del silenzio maschile sui temi della vita, sul perché dell’assenza di una posizione forte e a voce alta degli uomini rispetto alla legislazione dell’aborto che del resto è stata votata da un parlamento maschile, forse sull’onda di un determinato contesto politico e ideologico. Dall’altro mi sono confortato scoprendo che molti studiosi uomini si sono occupati e si occupano di questi temi ad un alto livello scientifico, che tanti giovani uomini si danno da fare ogni giorno nei centri di aiuto alla vita per aiutare le donne in difficoltà salvando i loro bambini dalla morte. Di grande importanza poi è il fatto che esiste un grande numero di uomini che letteralmente si ribellano all’aborto, in forma personale o in forma più pubblica come nel caso dei giovani del MPV che nel loro “Manifesto sulla 194: generazioni che non l’hanno votata, generazioni che l’hanno subita” hanno dichiarato apertamente il loro dissenso su una scelta fatta dalle generazioni precedenti e sulla quale non sono affatto d’accordo. Si tratta ora di capire come raggiungere e stimolare ulteriormente l’attenzione maschile verso una posizione più consapevole, responsabile e partecipata rispetto al tema della difesa della vita. Su questa possibilità, che in altri Paesi è già realtà, nel mio libro sono indicate diverse strategie. Mi piacerebbe condividerle con voi del Movimento per la vita poiché credo fermamente che con iniziative in questa direzione si potrebbero salvare tanti bambini in più da una morte orribile e disumana.
Puoi farci un esempio di strategie svolte in altri Paesi per sensibilizzare l’uomo verso la difesa della vita concepita?
Antonello Vanni: Ad esempio, da alcuni mesi sulle strade di alcuni stati negli USA sono stati collocati enormi cartelli, come forma di campagna pubblicitaria, con lo slogan Fatherhood begins in the womb (La paternità inizia dal grembo della madre). Nelle immagini di questi cartelli si vedono foto di uomini che baciano il pancione della loro donna incinta (vedi
http://www.toomanyaborted.com/). Questa campagna mediatica è stata proposta dall’organizzazione prolife Radiance Foundation che a partire dalla Virginia sta portando le sue comunicazioni ora anche in New Jersey e in California. Secondo la Radiance Foundation l’idea è sconfiggere l’aborto rimettendo in discussione, con uno sguardo critico, il caso Roe vs Wade che dal 1973 ha aperto le porte all’aborto negli Stati Uniti. Una delle conseguenze di questo caso fu proprio l’esclusione della figura maschile e paterna dalle decisioni riguardanti la vita del figlio in caso di scelta abortiva, fatto che sarà presente in tutte le legislazioni occidentali sull’aborto da lì in avanti. Questa esclusione avrà e ha tuttora un grave effetto diseducativo sulle generazioni maschili che si sono succedute, cresciute quindi senza consapevolezza del valore della paternità, fatta di responsabilità e cura per la vita generata. Tra l’altro la Radiance Foundation fa notare la stretta correlazione tra paternità assente e aborto: di tutti gli aborti che vengono effettuati ogni anno negli Usa l’84% avviene tra coppie non stabili in cui l’uomo ha abbandonato la donna incinta. Scardinando perciò i corollari del caso Roe vs Wade, la campagna Fatherhood begins in the womb della Radiance vuole richiamare gli uomini alla responsabilità affettuosa verso la vita nascente nella loro donna, oltre che sottolineare l’inadeguatezza delle leggi abortiste che escludendo la figura paterna hanno condannato a morte milioni di bambini privandoli, in un modo o nell’altro, della difesa responsabile dei loro padri. Del resto lo aveva già detto Giovanni Paolo II: “Rivelando e rivivendo in terra la stessa paternità di Dio l’uomo è chiamato a garantire lo sviluppo unitario di tutti i membri della famiglia: assolverà a tale compito mediante una generosa responsabilità per la vita concepita sotto il cuore della madre” (Familiaris Consortio, 1981).
Le leggi abortiste, e in Italia la legge 194/78, hanno eliminato il padre dal processo decisionale dell’aborto a meno che la madre non lo voglia. Quindi un uomo può essere padre anche senza saperlo e una donna può abortire un figlio senza dirlo al padre. Dove sono le “pari opportunità”?
Antonello Vanni: Ciò che dici è un dato di fatto: la legge italiana sull’aborto ha liquidato la figura maschile e paterna. Nonostante i buoni propositi espressi nell’art. 5 della legge 194/78, infatti, il coinvolgimento del padre nella scelta abortiva è nullo: l’uomo non ha il diritto di essere informato, non è richiesto il suo consenso, non ha voce in capitolo sulla vita o sulla morte del bambino. Siamo quindi molto lontani dal concetto oggi tanto in voga di “pari opportunità”, tanto che già negli anni immediatamente successivi al 1978 alcuni tribunali espressero molti dubbi sulla legittimità costituzionale di questa norma pregiudicante il diritto alla paternità del genitore e il principio di uguaglianza dei coniugi sancito dalla Costituzione. Non solo: molti esperti di giurisprudenza sottolinearono l’incomprensibilità di una legge che da un lato aspira a valorizzare ogni intervento capace di favorire la maternità e la vita del bambino, mentre dall’altro esclude un contributo, come quello del padre, che può essere decisivo anche in senso positivo. Tutte queste riflessioni non servirono e ancora oggi l’uomo è completamente escluso dalla procedura abortiva.
Molti padri però sono la causa degli aborti delle loro mogli o compagne, quindi forse la legge voleva proteggere la scelta della donna per la vita….
Antonello Vanni: Alla luce dei fatti seguiti alla legge 194/78 ritengo che le cose stiano diversamente. Le leggi abortiste, espressione del tremendo potere biopolitico avviato dai totalitarismi, hanno un fine ben diverso da quello che tu proponi. Il loro obiettivo non è proteggere, ma dominare e eventualmente distruggere la vita, tanto è vero che è palese la contraddizione tra il titolo della legge 194/78 “Norme per la tutela sociale della maternità…” e i suoi risultati: un’ecatombe pari (solo in Italia) allo sterminio del popolo ebraico in Europa e con mezzi altrettanto efferati. Non mi pare proprio che la maternità sia stata tutelata… Non solo: leggendo le varie Relazioni ministeriali sull’applicazione di questa legge si nota che le leggi abortiste condividono con lo stile del biopotere totalitario anche la manipolazione linguistica, finalizzata a nascondere il volto autentico della vita umana: se la figura paterna venne “abrogata” con la legge 194, non diverso fu il destino della parola padre, gradualmente erosa e poi cancellata insieme alla forza affettiva, relazionale e antropologica che possiede. Già ridotta a padre dello zigote dai promotori della campagna in favore dell’aborto, la parola comparve quattro volte sotto forma di padre del concepito nei testi relativi alla Legge 194 per poi scomparire del tutto insieme alle altrettanto sfortunate parole marito, e, nota bene, di moglie e madre. Ma perché eliminare queste parole? Anche in questo caso l’obiettivo sembra essere stato quello di privare di dignità e pienezza le figure coinvolte nell’aborto: cancellando le parole padre e madre è stato più semplice poi togliere di mezzo quella di figlio che infatti è stata sostituita anch’essa: con la più tecnica, e quindi più facilmente aggredibile nella sua mancanza di umanità, concepito.
L’aborto interrompe nella donna una capacità esistenziale che difficilmente sarà recuperata: quella di essere madre. Per quanto riguarda l’uomo si può parlare di “paternità interrotta”?
Antonello Vanni:Senz’altro: le ricerche dimostrano che nell’uomo esiste una reazione negativa all’aborto simile a quella riscontrata nella donna. Questa sofferenza è stata definita trauma post abortivo maschile (Male Postabortion Trauma): si tratta di una reazione a catena che erode l’identità personale maschile, da un lato minandone l’autostima (“non valgo nulla perché non ho saputo impedirlo”) dall’altro soffocandola con il senso di colpa e il rimorso che ne deriva (“è colpa mia, l’ho voluto io, sono un assassino e devo pagare”). Non solo: in questo processo psicologico viene inflitto un grave colpo anche alla maturazione di una compiuta identità di genere. Infatti, per il maschio, partecipare al concepimento di un figlio significa vivere il nucleo centrale della virilità, dell’essere davvero uomini: la capacità, intesa anche come forza e potenza, di avviare il processo vitale di un altro essere umano. L’aborto vanifica brutalmente questa esperienza interrompendo, spesso in modo definitivo, il passaggio alla maturità: “e quindi io non sono/non sarò mai un uomo, né un buon padre”.
Come si manifesta il trauma post abortivo maschile?
Antonello Vanni: Sintomi del trauma post abortivo maschile sono molti e si manifestano negli uomini in modo diverso, spesso in relazione al ruolo che hanno avuto nella scelta abortiva: ad esempio, i padri che hanno convinto la donna ad abortire possono provare un forte rimorso per il senso di colpa, mentre quelli che hanno tentato inutilmente di salvare il bambino possono essere vittime del senso di impotenza. Gli psicologi, che hanno raccolto interi dossier di testimonianze maschili e svolgono un’opera terapeutica per curare questi uomini, hanno diviso tali sintomi in precise categorie per studiare e capire meglio le dinamiche psicologiche causate dall’aborto nel maschio. Sono stati così identificate sofferenze psicologiche, talvolta gravi, correlate alla rabbia e all’aggressività, all’impotenza e all’incapacità di reagire, al senso di colpa, all’ansia, ai problemi di relazione, al lutto causato dalla perdita.
Esistono modalità di tipo psicoterapeutico specifiche per curare il trauma post abortivo maschile?
Antonello Vanni: In Italia, reti specifiche di supporto psicologico sono assenti, come lo è del resto lo stesso riconoscimento del problema. In altri Paesi, invece, esistono diversi modelli terapeutici, apprezzabili anche per la loro semplicità, applicabilità e efficacia. Tra gli altri ricordo le forme di auto e mutuo-aiuto, utili per gli uomini che intendono trovare da soli una strada per stare meglio, o per chi (sacerdoti, mentori, associazioni) desidera costruire e proporre attivamente progetti di accompagnamento emotivo e spirituale. Oppure la proposta di elaborazione del lutto e di riconciliazione offerta dall’apostolato “La Vigna di Rachele”, da tempo aperta anche agli uomini e ai mariti, l’unica fortunatamente presente anche in Italia (vedi
http://www.vignadirachele.org/uomini/uomini.html). Esistono poi, specialmente negli USA, percorsi più strettamente psicologici che richiedono, da parte di chi vi opera, specifiche competenze professionali in ambito medico. Tutti questi modelli comunque, pur diversi nella loro articolazione, propongono il superamento del trauma dovuto all’aborto attraverso la stessa condizione: la capacità di perdonarsi, di perdonare e di sentirsi perdonati dal Padre. Come si può capire questi supporti si sono sviluppati nell’ambito religioso cristiano, attento alla cura dell’altro e aperto alla riflessioni più approfondite sulla vita umana. A dire la verità il riconoscimento del dolore maschile causato dall’aborto e la proposta di percorsi specifici di guarigione si stanno diffondendo finalmente anche in Europa. Austria, Germania, Serbia e Svizzera sono infatti i primi Paesi che hanno offerto una sede all’associazione cattolica SaveOne
http://www.saveoneeurope.org/ , istituita da Sheila Harper, esperta di counseling che ha vissuto in prima persona e poi raccontato il dramma dell’aborto. Inizialmente destinato alle donne, l’impegno dell’associazione si è poi rivolto anche agli uomini con pubblicazioni sul trauma post abortivo maschile (cfr. Sheila Harper, SaveOne. The Men’s Studies, SaveOne Publ., 2003) e ottimi opuscoli sul tema, destinati agli uomini e scaricabili in internet (
http://www.saveoneeurope.org/en/PDF-download-1.htm ).
Di tutto questo quindi in Italia non se ne sa molto…
Antonello Vanni:Come ha fatto notare Claudio Risé nella Prefazione al mio libro (che si può leggere in
http://claudiorise.wordpress.com/2013/05/26/lui-e-laborto-di-antonello-vanni-prefazione/), il tabù posto sulla relazione tra i padri e i figli abortiti, in omaggio al principio stabilito ideologicamente secondo il quale “l’aborto riguarda solo le donne”, ha impedito studi, ricerche e quindi la raccolta di dati su questo argomento. Non è un caso infatti se ho dovuto attingere alla ricerca scientifica internazionale, molto più sensibile nel rilevare queste problematiche così come nell’affrontarle dal punto vista psicoterapeutico per curarle. Va però detto che, da qualche tempo, l’opinione pubblica italiana ne sta prendendo maggiore coscienza. E questo grazie al contributo di una parte del mondo maschile che, lungi dall’accettare la passività tipica del mondo occidentale senza padre, e in un’ottica di riappropriazione di un’autentica identità maschile, ha avviato un’opera di sensibilizzazione destinata ad informare gli uomini che hanno vissuto l’aborto sulla realtà del trauma post abortivo maschile. È il caso, ad esempio, dell’associazione culturale “Maschi Selvatici” che ha pubblicato l’opuscolo “Hai perso tuo figlio per l’aborto? Uomini e aborto. La verità che nessuno ti dice” (scaricabile in vari formati in
http://www.maschiselvatici.it/index.php?option=com_content&view=article&id=937:hai-perso-tuo-figlio-per-laborto&catid=107:aborto-nel-cuore-del-maschio). Questo opuscolo da un lato informa gli uomini sulla natura del trauma postabortivo maschile, dall’altro indica alcune vie che i maschi sofferenti possono seguire per curarsi, riconciliarsi con se stessi e il mondo dopo un evento tanto terribile quale la morte del proprio figlio mediante l’aborto.
E’ possibile menzionare altre iniziative italiane che riguardino il tema “l’uomo e l’aborto”?
Antonello Vanni: Di enorme importanza, data la sua portata culturale, è il Documento per il padre: pubblicato nel 2001 da un gruppo di docenti universitari, scienziati, giornalisti e professionisti. Si tratta di una proposta di modifica dell’atteggiamento verso il padre nella cultura corrente e nelle norme di legge con la richiesta di una revisione della legge 194/78 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza) con l’obiettivo di dare maggior riconoscimento e aiuto al padre desideroso di veder vivere il proprio figlio concepito, laddove si intenda ricorrere all’aborto, e disposto ad assumersi ogni responsabilità e onere di fronte al concepito e alla madre. Chi volesse conoscere questo documento, tra l’altro sottoscritto anche da numerose donne, può andare nel sito di Claudio Risé
www.claudio-rise.it (sezione Per il padre). È possibile anche inviare la propria adesione con una e-mail a redazione@claudio-rise.it
Ma ti risulta che un uomo sia mai riuscito a salvare il proprio figlio destinato all’aborto?
Antonello Vanni: Sì, è accaduto in diverse occasioni, e anche in Italia, come ho raccontato nel mio libro. Il caso che mi ha colpito di più però è stato quello inglese di Robert Carver, uno studente di Oxford. Il giovane venne a sapere che la sua ragazza, incinta da 21 settimane, voleva abortire. Lui però voleva che il figlio vivesse. Portò la sua richiesta prima davanti all’Alta Corte di Giustizia, poi alla Corte d’Appello: entrambe non lo ascoltarono e accantonarono il caso. Il giovane non si diede pace e raggiunse l’attenzione della Camera dei Lords: il processo, che finì ancora con esito negativo, durò solo 36 ore, uno dei casi più veloci della storia legale inglese, forse per la pressione delle autorità sanitarie che si rifiutavano di effettuare l’aborto prima che venisse presa una decisione. Respinto da tutte le corti, Carver ottenne però una grande attenzione dei media e dell’opinione pubblica, vincendo un’ingiunzione contro l’aborto della donna sulla base dell’Infant Life Preservation Act del 1929. Questo documento di difesa della vita, varato dal Parlamento inglese per arginare la deriva eugenetica diffusa dal nazismo in Europa, puniva l’uccisione del bambino anche se non ancora nato ma “in grado di nascere vivo”. La ragazza, per ragioni non note, non abortì e nel gennaio 1988 Carver comparve con la bambina di sette mesi, a lui affidata dalla madre, su tutti i principali giornali inglesi. Come fece Carver a salvare la figlia? Secondo i giornalisti la sua vittoria, certo simbolica e non legale, dipese dal fatto che non si limitò a sollevare i suoi diritti di padre, ma oppose all’aborto il diritto alla vita del concepito: sulla base dell’Infant Life Preservation Act: dimostrò infatti che quel feto di 21 settimane era già un essere umano, che era un bambino “in grado di nascere vivo” purché nessuno lo uccidesse. Subito dopo la vicenda gli scudi abortisti inglesi si alzarono e nessun bambino poté più essere salvato da un padre. Robert Carver e la sua bambina aprirono però una crepa, almeno momentanea, nel muro delle leggi abortiste. Questa vicenda mi ha impressionato perché, a leggerla bene, Carver ci lascia un grande insegnamento: l’aborto, usando gli strumenti umani giusti, può essere sconfitto.
Una domanda per terminare la nostra intervista: per chi hai scritto “Lui e l’aborto. Viaggio nel cuore maschile”?
Antonello Vanni: Questo libro ha diversi destinatari. Innanzitutto gli uomini: affinché diventino consapevoli della loro importanza nel dare la vita, e sviluppino un sentimento della paternità più maturo e responsabile. Poi le donne: perché capiscano quanto sia importante coinvolgere gli uomini in una decisione che può modificare il valore della loro relazione, oltre a determinare che la vita di un altro essere umano indifeso e totalmente dipendente dalle loro scelte. Questo libro poi è per chi, a diverso titolo (consultori, CAV,…), si occupa delle coppie che aspettano un figlio e sono indecise se tenerlo o no: interpellare la figura maschile, tralasciando i pregiudizi da cui è stata investita in mezzo secolo di campagne abortiste, può essere uno strumento efficace per salvare il bambino. Tante volte la coppia decide di abortire perché l’uomo ha perso il lavoro e si teme di non poter affrontare il futuro dal punto di vista economico, eppure ho riportato casi in cui gli operatori dei CAV hanno aiutato i padri a trovare un’occupazione e i bambini sono stati felicemente accolti. Questo libro del resto è proprio per loro, per tutti i bambini che prima di nascere rischiano “di cadere nel nulla”, come diceva il filosofo Hans Jonas: auguro loro di venire al mondo, grazie a padri e madri finalmente amorevoli, orgogliosi di dire sì alla vita. Ringrazio te e il Movimento per la Vita italiano per l’attenzione che avete dato a questo tema e vi auguro di continuare con crescente soddisfazione la vostra opera ineguagliabile in favore della vita nascente.