Autore Topic: Ma che guaio il mondo al femminile  (Letto 2356 volte)

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Online Cassiodoro

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Ma che guaio il mondo al femminile
« il: Febbraio 03, 2010, 10:08:29 am »
http://www.ilgiornale.it/cultura/ma_che_guaio_mondo_femminile/20-09-2008/articolo-id=291747-page=0-comments=1

sabato 20 settembre 2008
Dice il pediatra Aldo Naouri: «La società ha adottato integralmente, senza limiti e contro-poteri, valori femminili».
Lo testimoniano il primato dell’economia sulla politica, dei consumi sulla produzione, della discussione sulla decisione; il declino dell’autorità rispetto al «dialogo», ma anche l’ansia di proteggere il bambino (sopravvalutandone la parola); la pubblicità dell’intimità e le confessioni da tv-verità; la moda dell’umanitario e della carità mediatica; l’accento costante su problemi sessuali, riproduttivi e sanitari; l’ossessione di apparire e piacere e della cura di sé (ma anche il ridurre il corteggiamento maschile a manipolazione e molestie); la femminilizzazione di certe professioni (insegnanti, magistrati, psicologi, operatori sociali); l’importanza dei lavori nella comunicazione e nei servizi, la diffusione di forme tondeggianti nell’industria, la sacralizzazione del matrimonio d’amore (un ossimoro); la voga dell’ideologia vittimista; la moltiplicazione dei consulenti familiari; lo sviluppo del mercato delle emozioni e della pietà; la nuova concezione della giustizia che la rende non più mezzo per giudicare equamente, ma per risarcire il dolore delle vittime (onde «elaborino il lutto» e «si rifacciano una vita»); la moda ecologica e delle «medicine alternative»; la generalizzazione dei valori del mercato; la deificazione della coppia e dei suoi problemi; il gusto per la «trasparenza» e per il «mischiarsi», senza dimenticare i telefonini come surrogato del cordone ombelicale; infine la globalizzazione stessa, che tende a instaurare un mondo di flussi e riflussi, senza frontiere né punti di riferimento stabili, un mondo liquido e amniotico (la logica del Mare è anche quella della Madre).
Certo, dopo la dolorosa «cultura rigida» stile anni Trenta, non tutta la femminilizzazione è stata negativa. Ma ormai essa provoca l’eccesso opposto. Oltre a significare perdita di virilità, porta a cancellare simbolicamente il ruolo del Padre e a rendere i ruoli sociali maschili indistinti da quelli femminili. La generalizzazione del salariato e l’evoluzione della società industriale fanno sì che oggi agli uomini manchi il tempo per i figli. A poco a poco, il padre s’è ridotto al ruolo economico e amministrativo. Trasformato in «papà», si muta in semplice sostegno affettivo e sentimentale, fornitore di beni di consumo ed esecutore di volontà materne, mezzo assistente sociale e mezzo attendente che aiuta in cucina, cambia i pannolini e spinge il carrello della spesa.
Ma il padre simboleggia la Legge, referente oggettivo al di sopra delle soggettività familiari. Mentre la madre esprime innanzitutto il mondo di affetti e bisogni, il padre ha il compito di tagliare il legame fra madre e figlio. Figura terza, che sottrae il figlio all’onnipotenza infantile e narcisistica, permettendone l’innesto socio-storico, ponendolo in un mondo e in una durata, assicura «la trasmissione dell’origine, del nome, dell’identità, dell’eredità culturale e del compito da svolgere» (Philippe Forget). Ponte tra sfera familiare privata e sfera pubblica, limite del desiderio davanti alla Legge, si rivela indispensabile per costruire il Sé. Ma oggi i padri tendono a divenire «madri qualsiasi». «Anche loro vogliono essere latori dell’Amore e non solo della Legge» (Eric Zemmour). Senza padre, però, il figlio stenta ad accedere al mondo simbolico. Cercando un benessere immediato che non si misuri con la Legge, trova con naturalezza un modo d’essere nella dipendenza dalla merce.Altra caratteristica della modernità tardiva è che la funzione maschile e quella femminile sono indistinte. I genitori sono soggetti fluttuanti, smarriti nella confusione dei ruoli e nell’interferenza dei punti di riferimento. I sessi sono complementar-antagonisti: s’attirano combattendosi. L’indifferenziazione sessuale, cercata nella speranza di pacificare i rapporti fra sessi, fa scomparire tali relazioni. Confondendo identità sessuali (ce ne sono due) e orientamenti sessuali (ce ne sono tanti), la rivendicazione d’eguaglianza fra genitori (che toglie al figlio i mezzi per dare un nome ai genitori e che nega importanza alla filiazione nella sua costruzione psichica) significa chiedere allo Stato di legiferare per convalidare i costumi, per legalizzare una pulsione o per garantire istituzionalmente il desiderio. Non è questo il suo ruolo.
Paradossalmente, la privatizzazione della famiglia ha proceduto di pari passo con la sua invasione a opera dell’«apparato terapeutico» di tecnici ed esperti, consiglieri e psicologi. Col pretesto di razionalizzare la vita quotidiana, tale «colonizzazione del vissuto» ha rafforzato la medicalizzazione dell’esistenza, la deresponsabilizzazione dei genitori e le capacità di sorveglianza e controllo disciplinare dello Stato. In una società ritenuta sempre in debito verso gli individui, oscillante fra memoria e compassione, lo Stato-Provvidenza, dedito alla lacrimosa gestione delle miserie sociali tramite chierici sanitari e securitari, s’è mutato in Stato materno e maternalista, igienista, distributore di messaggi di «sostegno» a una società coltivata in serra.
Ma tutto ciò è evidentemente l’esteriorità del fatto sociale, dietro il quale si dissimula la realtà di ineguaglianze salariali e donne picchiate. Radiata dal discorso pubblico, la durezza torna con tanta più forza dietro le quinte e la violenza sociale risalta sotto l’orizzonte dell’impero del Bene. La femminilizzazione delle élite e il posto preso dalla donna nel mondo del lavoro non l’hanno resa più affettuosa, tollerante, attenta all’altro, ma solo più ipocrita. La sfera del lavoro dipendente obbedisce più che mai alle sole leggi del mercato, il cui fine è il continuo lucro. Si sa, il capitalismo ha sempre incoraggiato le donne a lavorare: per ridurre i salari degli uomini.
Ogni società tende a manifestare dinamiche psicologiche che s’osservano anche a livello personale. Alla fine del XIX secolo regnava spesso l’isteria, all’inizio del XX secolo la paranoia. Oggi, nei Paesi occidentali, la patologia più comune sembra essere un narcisismo diffuso, che si traduce nell’infantilizzare chi ne è colpito, in un’esistenza da immaturi, in un’ansia orientata alla depressione. Ogni individuo si crede oggetto e fine di tutto; la ricerca dello stesso prevale sul senso della differenza sessuale; il rapporto col tempo si limita all’immediato. Il narcisismo genera un fantasma d’auto-generazione, in un mondo senza ricordi né promesse, dove passato e futuro sono parimenti appiattiti su un perpetuo presente e dove ognuno si pensa come oggetto di desiderio e pretende di sfuggire alle conseguenze dei suoi atti. Società senza «padri», società senza «ripari»!
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Re: Ma che guaio il mondo al femminile
« Risposta #1 il: Febbraio 03, 2010, 15:18:26 pm »
cosa è successo che sei andato a ritirarti fuori qs articolo?
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Re: Ma che guaio il mondo al femminile
« Risposta #2 il: Febbraio 03, 2010, 15:27:37 pm »
Il giornale è definito "misogino" dalle associazioni misandriche  :D :D
«La folla che oggi lincia un nero accusato di stupro presto lincerà bianchi sospettati di un crimine».
Theodore Roosvelt, Presidente degli Stati Uniti d’America

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Re: Ma che guaio il mondo al femminile
« Risposta #3 il: Febbraio 03, 2010, 15:33:46 pm »
si si
c'è sempre qualcuno con la patente della verità in mano...

geniale l'affermazione di Rino sul suo blog

http://metromaschile.it/altrosenso/2010/01/07/non-sono-oggettivo/

Citazione
Non sono oggettivo
L’ideologia è davvero una brutta cosa, una malattia repellente. Una lebbra. Lo prova il fatto che ideologi, ideologizzati, ideologizzanti sono solo e sempre gli altri.  Noi mai. Ci mancherebbe.

Gli altri hanno idee preconcette, sono pieni di pregiudizi e raccontano balle a se stessi e al prossimo. Noi? E che, scherziamo?

Gli altri
hanno venduto il cervello all’ammasso. Noi pensiamo con la nostra testa.  Gli altri se le bevono tutte. Noi invece siamo gli Apòti, cui non si può dar da bere nulla. Ecchediamine!

Gli altri credono nei loro idoli. Noi invece nei nostri idoli non crediamo. Non ne abbiamo!

Gli altri hanno i paraocchi. Noi abbiamo una visione a tutto campo. A 361 gradi.  Gli altri sono parziali e soggettivi. Noi no, noi siamo imparziali e oggettivi. Voglio ben vedere!

Gli altri hanno un punto di vista, una storia, una biografia, una prospettiva, interessi particolari, sentimenti specifici. Noi no. Noi abbiamo tutte le storie, le biografie, le prospettive, gli interessi e i sentimenti possibili.

Gli altri “fanno politica”. Noi invece siamo Apòti, astorici, apolitici. Noi non abbiamo un punto di vista: li abbiamo tutti.

Gli altri parlano perché si credono depositari della verità. Noi invece perché sappiamo di essere depositari della … della bugia?!

Comunque è un fatto che loro credono, noi invece …sappiamo.

Quelli insistono pervicacemente sulle loro idee funeste. Noi invece abbandoniamo velocemente le nostre salvifiche opinioni. Ah, quanto siamo più ottimamente migliori. Noi.

Gli altri
parlano mossi da sentimenti e interessi inconfessabili. Noi invece da uno scopo molto ottimo e più migliore assai: il bene di tutti. Il bene oggettivo, non quello soggettivo degli ideologizzati.  Il vero bene universale.

Stomacato, decisi di essere soggettivo e storico. Di avere un punto di vista, CMB1una storia, un percorso, un punto di vista. Di non sfidare il Fondo Cosmico a Microonde: non mi sarei collocato dappertutto, ma nel punto preciso in cui il caso mi gettò. Decisi di stare da una parte.

Dalla parte degli uomini, in generale. Di quelli di Terza Classe, in particolare.

“Io oggettivo? …oggettivo sarà lei!”

RDV
« Ultima modifica: Febbraio 03, 2010, 16:39:44 pm da COSMOS1 »
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Re: Ma che guaio il mondo al femminile
« Risposta #4 il: Febbraio 03, 2010, 16:04:31 pm »


«Uomini e donne, due specie diverse», di Raffaella Silipo (La Stampa 7 Marzo 2005)

FATE come volete, tanto non andrà mai bene». Persino lui, Sigmund Freud, non aveva poi troppa fiducia nella possibilità di diventare un buon genitore. E Aldo Naouri, pediatra e psicologo assai noto in Francia e autore di molti libri sul tema dell’infanzia, sa bene che non esiste una formula per rendere felice ogni famiglia. A dispetto del titolo, il suo I padri e le madri (Einaudi) non è affatto un manuale di puericultura: è piuttosto uno spietato ritratto della società moderna, asservita allo «strapotere della madre» e insieme un’invocazione agli uomini perchè riprendano il loro ruolo: non quello di «mammi», che troppo spesso cercano di assumere, ma quello di maschi e di padri. Nella convinzione non solo che stiamo allevando una generazione di figli gravemente disturbata, ma che questo sbilanciamento di ruoli sia alla radice di conflitti profondi tra culture, primo fra tutte tra Occidente e Islam.
Non stupisce insomma che il libro, alla sua uscita, abbia fatto assai discutere in Francia scatenando polemiche a non finire. La tesi di base - argomentata in un lungo excursus storico e antropologico - è radicale: gli uomini e le donne sono proprio due specie diverse, «profondamente estranee l’una all’altra». A dividerle alla radice sarebbe la diversa percezione del Tempo e della Morte: ineluttabile e fonte di profonda angoscia per l’uomo, combattuta con viscerale testardaggine dalla donna, grazie alla straordinaria risorsa della gravidanza, che le dà una sensazione di controllo sulla vita e sulla morte. Secondo Naouri siamo a una tappa decisiva di questo scontro «così lungo e così duro, che da tempi immemorabili oppone uomini e donne». Questa tappa attesta la vittoria del modello femminile, almeno nella società Occidentale: è la donna a esercitare il dominio sui figli, ma non solo. È il modello «materno» a vincere, inteso come modello volto alla negazione del tempo, alla soddisfazione immediata dei bisogni, alla seduttività, alla «campagna elettorale permanente» dei genitori nei confronti dei figli, dei governanti nei confronti delle popolazioni, delle imprese nei confronti dei consumatori. C’è secondo Naouri una «carenza di dimensione adulta nella nostra società» che privilegia l’istante e l’effimero (qui Naouri usa un gioco di parole impossibile da rendere in italiano. In francese la parola «éphémère» - effimero - risulta omofona alla parola «effet mère» - effetto madre), a scapito della durata e del lungo termine, della normatività del principio maschile.
La donna offre piacere, certezza, sollievo dall’angoscia di morte, l’uomo offre dubbi e regole. Ci vogliono entrambi, dice Naouri, perchè la specie umana sopravviva, ma oggi c’è solo un polo, anche perchè gli uomini cercano in tutti i modi di uniformarsi al modello femminile, che percepiscono come vincente, trasformandosi in «mammi» seduttivi verso la prole, provvisti di biberon e pannolini, moltiplicando così l’effetto materno.
«Le madri sono potentissime - spiega Naouri - eppure la malattia più grave che possa colpire un essere umano è di essere straboccante di una madre del genere». La tendenza materna infatti è controllare il figlio, farlo sentire al centro di ogni interesse, mantenerlo dipendente: «Se stai attaccato a me hai la vita, se ti stacchi c’è la morte» è il messaggio delle madri di sempre, quelle preistoriche e quelle moderne e in carriera. «Ricolmo di attenzioni e premure, il bambino cresce ignaro dello scorrere del tempo e dipendente dal piacere - spiega Naouri - sarà sempre tentato di prendere la strada più facile, di approfittare di ogni occasione, mancherà di ambizione e di dinamismo».
Non solo, continua Naouri, avventurandosi in un’analisi dello scontro tra civiltà: questo modello materno-consumistico-Occidentale, straordinariamente seducente, travalica i confini della nostra società sconvolgendo, per esempio, il mondo arabo-musulmano. «In che modo gli uomini musulmani potrebbero accettare scelte che mettono in discussione il loro stato di “abou”, di padri proprietari dei propri figli? Attaccati alla netta gerarchia da sempre vigente tanto nei rapporti tra genitori che in quelli tra sessi, vivono questa esportazione, sottilmente persuasiva, come un vero e proprio tipo di conversione... Hanno nutrito il loro rancore, coordinato le loro forze e reclutato un numero sufficiente di fanatici kamikaze per lanciarsi in una nuova crociata».
Cosa può fare di fronte a questa radicalizzazione l’uomo «disorientato, furente, smarrito? Ognuno inventa la sua soluzione, a fronte di una compagna diventata detestabile e spaventosa». Secondo Naouri è inutile combattere le donne sul loro terreno. «Non combatto lo strapotere delle madri, al contrario lo celebro. Non esiste infatti una simmetria nei rapporti di padre e madre con il bambino. Come si può mettere su uno stesso piano un’esperienza così significativa qual è quella vissuta dalla madre e dal bambino durante la gravidanza e quella che vive l’uomo, anche se il desiderio di mettere al mondo un bambino ha fatto parte integrante del suo amore per una donna?» La comunicazione tra padre e bambino, secondo lui, passa sempre necessariamente attraverso la madre. Al padre resta una sola possibilità: «Deve riprendere il suo ruolo, non quello delle sit-com e dei luoghi comuni. Deve essere, invece, un individuo che si interpone fra la madre e il bambino», che porta il figlio fuori dall’abbraccio protettivo, gli mostra la realtà, il tempo, la morte alla fine del cammino.
Il compito, va detto, è ingrato. Come convincere un bambino, ma anche un adulto, ad abbandonare il principio di piacere? Secondo Naouri, avere successo con il bambino è impensabile. L’unica possibilita è che l’uomo riesca a distogliere almeno un poco l’attenzione della donna nei confronti del figlio: che il bambino «scorga da sopra la spalla della mamma, un uomo. E che quest’uomo interessi terribilmente a sua madre». In questo modo il bambino imparerà, fin dai primi mesi di vita, la frustrazione. Sperimenterà, insieme alla sazietà e al piacere, anche il bisogno e il desiderio: «Così non avremo più gli odierni bambini-tiranno o abominevoli adolescenti che non hanno risolto fin dall'infanzia un problema, quello che si possono vivere momenti senza piacere e non per questo si muore».
Combattere l’amore con l’amore, è la ricetta di Naouri: l’amore viscerale che lega madre e figlio a quello altrettanto viscerale che lega e oppone uomo e donna: «Mi è successo di stilare più di una ricetta in cui l'indicazione era “Fate l'amore. Siate una coppia, sarete dei genitori migliori”». D’altronde ci vuole pure un incentivo, ad abbandonare (educare, ci ricorda Naouri, vuol dire letteralmente «condurre fuori da») l’utero materno, se è vero che «tutti siamo andati a ritroso nella vita, tenendo gli occhi puntati sul nostro luogo d’origine e provando paura a voltargli la schiena, come ci inciterebbe a fare nostro padre, tanto ci fa orrore quello che vedremmo al termine del cammino, se guardassimo dritto davanti a noi».


Uomini e donne, due specie diverse, di Aldo Naouri (La Stampa 7 Marzo 2005)

E' più facile fare l'amore con cento donne diverse che farlo cento volte con la stessa

Se vedi due persone che vanno d'accordo stai certo che uno dei due ne sopporta di tutti i colori.
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Offline COSMOS1

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Re: Ma che guaio il mondo al femminile
« Risposta #5 il: Febbraio 03, 2010, 16:40:31 pm »
Cassiodoro che t'è successo: stai spolverando l'archivio?  :D
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Online Cassiodoro

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Re: Ma che guaio il mondo al femminile
« Risposta #6 il: Febbraio 03, 2010, 18:57:31 pm »
E' che oggi non ho tanto da fare.......... :P
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milo

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Re: Ma che guaio il mondo al femminile
« Risposta #7 il: Febbraio 04, 2010, 00:44:04 am »
QUESTIONE MASCHILE

scritto da: Marina Terragni
in DONNE E UOMINI, WOMENOMICS

Boston Globe, editoriale a firma Alex Beam (un uomo, a scanso di equivoci). Beam snocciola i numeri che descrivono la radicale femminilizzazione degli States, onda in arrivo anche da noi.
Il lavoro è delle donne: il sorpasso è avvenuto, ci sono più lavoratrici che lavoratori. E i settori di occupazione che promettono una crescita maggiore, secondo le proiezioni degli economisti, sono proprio quelli in cui le donne sono più forti. La rete è delle donne: 2 anchorwomen per un anchorman. Il pubblico della tv è più femminile che maschile. Le donne comprano più quotidiani, più libri, divorano cultura e sono politicamente più attive: per l’elezione di Barack Obama il voto femminile è stato determinante. Più che di recession sarebbe corretto parlare di he-cession, o di man-cession: il sesso più colpito dalla crisi è stato quello maschile. Secondo il Bureau of Labor Statistics, sono gli uomini a correre il maggior rischio (+ 30 per cento) di restare disoccupati.
Le stanze dei bottoni per ora restano surrealmente for men only, ma anche lì il vento della rivoluzione fa sbattere porte e finestre. Siamo finalmente e brutalmente al nodo del potere, nudo e crudo. Potendolo fare -–fecondazione assistita con predeterminazione del sesso- scelgono femmine 2 coppie americane su 3: il negativo della Cina. Ma anche qui presto cambieranno idea. Il secondo sesso fa carriera e diventa il primo.
L’enormità del cambiamento non trova adeguata rappresentazione: nei media, ancora ampiamente in mani maschili, ma anche nelle coscienze femminili, che restano sintonizzate su vittimismo e recriminazione. L’inconscio è più lento della realtà.
C’è poco da festeggiare, care signore. L’ideale sarebbe restare in due, senza che un sesso mangi in testa all’altro, in un equilibrio dinamico e difficile. Io amo intensamente la mia libertà, ma amo anche gli uomini e li vorrei in forma, e definitivamente liberati dalla tentazione della violenza e del dominio. Cerco e onoro il mio femminile, ma non a scapito del mio inner boy. E’ il caso di prestare tutti molta attenzione alla questione maschile. Anzitutto riconoscendo che esiste.

(pubblicato sui Io donna-Corriere della Sera il 30 gennaio 2010)

http://anonym.to/?http://blog.leiweb.it/marinaterragni/2010/01/31/questione-maschile/

e-manuel

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Re: Ma che guaio il mondo al femminile
« Risposta #8 il: Febbraio 04, 2010, 10:01:36 am »
Perchè mai l' articolista avrebbe un "inner boy" e non un "inner man" ? Mica sarà un "maschietto interiore ?" :alien: