Oggi, sul Corriere della Sera compare un articolo dell'ineffabile Isabella Bossi Fedrigotti, icona del
femminismo istituzionale gradito alla Milano "bene" a proposito della morte della donna sindaco di
un paese della provincia di Varese uccisa per ripicca dal vice capo dei vigili per essere stato da lei
sospeso per le scorrettezze da lui commesse. Fatto deprecabilissimo, per carità, ma, come al solito,
quando ci sono di mezzo donne morte ammazzate, caricato di significati e valenze sue proprie. Per
la verità la giornalista ha avuto qualche dubbio, ma l'ha accantonato immediatamente. "Va ritenuto-
ha scritto- un femminicidio oppure un caso di tragica, normale, assurda criminalità"? Chi lo sa, scrive,
(invece la risposta la sa benissimo, eccome). Ha poi deplorato lo spreco assurdo della vita di una
donna capace, vitale, in gamba, apprezzata dalla comunità spezzata da un uomo che invece di
vergognarsi del suo comportamento (e di esistere) ha solo pensato a vendicarsi. Comprensibilissimo
lo sdegno ma la cara immarcescibile Bossi Fedrigotti dovrebbe ricordare che la stessa fine capita
a tanti uomini capaci, in gamba ed apprezzati che hanno la disgrazia di incontrare balordi (e anche balorde) sulla loro strada. Ma tanto si sa che quello che per un uomo è un'evenienza da
mettere in conto nella vita e da affrontare con dignità e stoicismo, per una donna è un'assurda
ingiustizia che deve essere gridata a quattro venti, denunciata ad Amnesty International e da
pubblicare con il giusto ed immancabile rilievo su autorevoli quotidiani nazionali.