Sono d'accordo con quanto appena indicato da Giovane. E' necessario innanzitutto che tra di noi nasca un vincolo solidale molto forte. Bisogna diventare un pò come i moschettieri: uno per tutti e tutti per uno. Altrimenti difficilmente potremo arrivare lontano.
Per quanto riguarda la strada che ha preso la discussione, a mio avviso al momento discutere di diritto positivo (il complesso delle norme giuridiche) non serve a molto.
Qualsiasi ordinamento è il risultato delle ideologie prevalenti, delle interpretazioni che le classi dominanti riescono ad imporre, ed al momento non è che il femminismo sia la classe dominante, ma addirittura essa è sostanzialmente la unica ideologia esistente.
Secondo me al momento dovremmo concentrarci più sul diritto naturale (inteso come un complesso di principi universali). Come insegnato dal prof. Pietro Torrente, l'esigenza che il richiamo al diritto nautrale cerca di soddisfare è l'aspirazione ad ancorare il diritto positivo ad un fondamento obiettivo che elimini il rischio di arbitrarietà insito nella possibilità di elevare a norma giuridica qualsiasi contenuto approvato da chi detiene il potere (che è quello che oggi sta succedendo). Non per nulla le concezioni di diritto naturale tendono ad acquisire maggior rilievo nei momenti storici in cui l'organizzazione della società viene a trovarsi in conflitto con i sentimenti diffusi nella collettività, cosicchè il diritto positivo viene ad essere subito come una imposizione, realizzata per mezzo della forza, ma senza una intima giustificazione: e giustificata, anzi, diventa l'opposizione al regime, la resistenza all'oppressione. Al momento bisogna creare delle enunciazioni di principio e non è detto che non vengano condivise. (Secondo me anche se molto in profondità oggi la maggior parte degli uomini dentro di se stanno urlando solo che non riescono a sentire la propria voce. Non è pensabile che si sentano così rassegnati a subire l'arroganza e la prepotenza del femminismo). Una volta che questi principi saranno condivisi dalla collettività si potrà scendere nella concreta descrizione delle singole norme che dovrebbero costituire il contenuto di tali principi.
Per cui, io penso che occorra innanzitutto chiarire bene "cosa vogliamo", trascendendo al momento dal diritto. Una volta definito "cosa vogliamo", potremmo tradurlo in principi. Tradotto in principi dovremmo attivarci per promuovere tali principi. Una volta accolti dalla comunità, potremmo pensare a come tradurre tali principi in norme giuridiche.
In secondo luogo penso che creare una associazione o un movimento sia utile fin da subito (o almeno immediatamente dopo la nascita del "sodalizio").
Fondando un associazione sarebbe innanzitutto possibile creare un assetto organizzativo con le risorse umane disponibili. Ad. es. Ogni aderente potrebbe informare gli altri associati della propria professione e delle proprie competenze sicchè le conoscenze specifiche di ognuno possano essere utilizzate in maniera funzionale al raggiungimento degli obiettivi: ad es, se per dire se tra di noi vi è un giornalista, questi potrebbe assumersi il compito di riportare con un certo grado di professionalità le notizie rilevanti della settimana in una una eventuale homepage del sito dell'associazione; Se ci fossero un tecnico informatico ed uno psicologo potrebbero occuparsi delle aree di loro competenza. Poi gli obiettivi si raggiungono a piccoli passi mediante l'attraversamento di tappe necessarie. Ed a questo serve elaborare strategie e piani di azione.
Chiaramente non tutti hanno la possibilità di essere operativi. Creando una associazione avremmo inoltre un censimento del numero di associati e qundi una maggiore consapevolezza della nostra forza.
Quindi per me al momento il punto è, in frasi di massimo quattro parole ed indipendentemente da questioni giuridiche, cosa vogliamo?