ci sono differenze enormi tra il comunismo europeo, asiatico, e sud/centro americano.
e anche tra europei c'e' chi e' piu' spinto verso il trotskysmo come i francesi e chi invece guardava all'urss come l'italia.
il loro modello erano le pasionarie in politica come quella bertuccia di Nilde Iotti.
la svolta frocista attuale e' roba molto recente, solo dai primi anni 90 in poi e' diventata mainstream come pure le politiche apertamente pro-immigrazione, tutta roba che non esiste nei comunismi extra-europei !
tra l'altro il femminismo delle radicali ha poco a che fare col comunismo tout court, ma tanto gli danno mani libera nella speranza di prender voti femminili, non penso fotta un cazzo a nessuno delle tesi piu' estremiste, se mai prendessero il potere il futuro sarebbe di comuni agricoli, fabbriche autogestite, case popolari da fogna con letti a castello nelle stesse fabbriche .. e' quel che han fatto in europa, russia, e cina ! altro che liberazione femminile .. non troverai nessuna russa o cinese nostalgica dei tempi piu' duri .. come pure gli stessi kibbutz sono miseramente falliti perche' LE DONNE hanno boicottato il sistema stesso e sono tornate all'antico infatti oggi sono delle normali comuni agricole semi-private con finanziatori esterni e i kibbutzim come piccoli azionisti ma che si sposano e hanno casa loro e tutto privato, non piu' figli in comune, ne' cessi in comune, ne' mense in comune, ne' il libertinaggio sessuale di prima e in primis ora sono gli uomini che fanno lavori pesanti e zappano le donne stanno nelle mense o nelle scuole o altri lavori non pesanti .. ma guarda un po' !
1)Mercimonio , ho forse affermato che non esistono differenze tra il comunismo sovietico e quello europeo ? Chi ha parlato di questo ?
Ma riesci a capire quando parlo o devo fare lo spelling di ogni singola parola ?
2)Chi ha parlato di frocismo e di immigrazione presente nei comunismo extra europei ?
Perchè mi metti in bocca parole che non ho mai pronunciato ?
3)Assolutamente falso .Ribadisco nella maniera più ASSOLUTA CHE POLITICHE FEMMINISTE SONO STATE ADOTTATE IN UNIONE SOVIETICA !
CHE POI IL FEMMINISMO PRODUCE DANNI ALLE DONNE STESSE , questo lo so anche io , ma ciò NON SIGNIFICA CHE POLITICHE FEMMINISTE NON SIANO STATE APPLICATE IN UNIONE SOVIETICA !
Io affermo MOLTO SINTETICAMENTE CHE :
1)Gran parte dell'ideologia femminista si basa sulle teorie di COMUNISTI ;
2)Non solo in Europa anche in paesi extra comunisti extra europei sono state avviate politiche FEMMINISTE . Il fatto poi che il femminismo danneggi alla fin fine le donne stesse non solo nei paesi comunisti dove è stato applicato ma anche nell'Europa capitalista sono il primo ad affermarlo , ma ciò non toglie che anche in paesi extra europei come l'Unione Sovietica sono sate applicate politiche femministe !
Hai capito cosa voglio dire oppure ti devo fare il disegnino ?
Una persona dotata di un pò di cervello o dice che non sono vere queste 2 mie AFFERMAZIONI oppure tace .
E' sempre esistito il femminismo marxista che si rifà ideologicamente alle teorie di marxisti , ora a me delle beghe interne tra rossi e femministe non me ne può fregar di meno , mi preme porre l'attenzione che sono due fenomeni interconnessi e che anche in Unione Sovietica sono state avviate politiche femministe .
1)Se vuoi ti parlo sia delle femministe marxiste sia di Engels , Fourier e di tanti altri , il materiale da cui attingere è immenso . L'idea stessa di "Patriarcato" su cui si fonda la dottrina di TUTTO il femminismo non solo di quello marxista si basa sulle teorie di Engels .
2)Sulle politiche femministe adottate in Unione Sovietica riporto quanto segue :
"La rivoluzione socialista in Russia significò contemporaneamente una rivoluzione nella situazione della donna in tutto il mondo. Per la prima volta, un paese adottava delle misure concrete per raggiungere l’uguaglianza tra uomini e donne.
La donna russa prese parte attivamente all’intero processo rivoluzionario, malgrado (o, chissà, forse a causa di) l’enorme peso della secolare e brutale oppressione che pesava sulle sue spalle, in particolare tra le contadine. Ma il vortice rivoluzionario spinse l’operaia russa in prima linea; già all’epoca rivestiva un ruolo decisivo nella produzione, concentrata nelle grandi fabbriche.
Benché non sia sempre facile trovare delle citazioni, la storia della rivoluzione è piena di esempi dell’abnegazione, della tenacia e della rabbia dimostrate dalle lavoratrici russe nel corso di quelle giornate terribili e decisive.
La rivoluzione di febbraio del 1917 (antefatto di quella decisiva di ottobre) iniziò nella Giornata Internazionale della Donna, con manifestazioni femminili di massa a Pietrogrado contro la miseria provocata dalla partecipazione della Russia alla Prima Guerra Mondiale. La guerra aveva spinto la donna russa sul mercato del lavoro e, nel 1917, un terzo della manodopera industriale di Pietrogrado era costituita da donne. Nel settore tessile della regione industriale centrale, questa percentuale si elevava al 50%, se non di più.
Le diverse tendenze politiche si disputavano assiduamente la militanza femminile. Sia i bolscevichi che i menscevichi stampavano dei giornali speciali per le lavoratrici, come Rabotnista, dei bolscevichi e Golos Rabotnitsy dei menscevichi. I “socialrivoluzionari” (Sr), che combattevano per una democrazia borghese in Russia, proposero da parte loro la creazione di una “unione delle organizzazioni democratiche di donne”, che avrebbero dovuto unire sindacati e partiti sotto la bandiera di una repubblica democratica. Fu durante questo periodo che apparve la Lega per i Pari Diritti della Donna, che esigeva il diritto di voto per le donne e accompagnava la battaglia che queste conducevano in tutto il mondo per ottenere i loro diritti civili.
Ma in Russia, con la rivoluzione socialista, le donne conquistarono molti più diritti democratici. Per la prima volta, un paese legiferò a favore dell’uguaglianza di salario femminile e maschile a parità di lavoro. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, contrariamente a quanto successe nei paesi capitalisti, nell’Urss la manodopera femminile fu conservata e si ricercarono i mezzi per permettere alle donne di raggiungere delle qualifiche maggiori. C’erano donne in tutti i settori produttivi: nelle miniere, nell’edilizia civile, nei porti, brevemente, in tutte le branche della produzione industriale ed intellettuale.
Tuttavia, all’indomani della presa di potere dei soviet, la questione della donna si dovette confrontare duramente con la realtà. Nei fatti, fu la prima volta nella storia in cui questa questione passò dalla teoria alla pratica.
In un paese come la Russia, arretrato dal punto di vista delle questioni morali e culturali, con un enorme carico di preconcetti radicati da secoli (cosa che caratterizza, in genere, i paesi principalmente agricoli), la questione della donna assunse, in questi difficili momenti per il giovane Stato Operaio, delle caratteristiche più complesse rispetto a molti altri aspetti relativi alla trasformazione verso il socialismo.
Perciò Lenin e Trotsky, insieme a molti dirigenti donna, si consacrarono a “spiegare pazientemente” alle masse, soprattutto alle donne, quali erano i compiti generali del movimento operaio femminile della Repubblica sovietica, ma non attesero oltre a prendere le prime misure su questo terreno e modificare la situazione umiliante alla quale le donne russe erano sottoposte da secoli.
Questi compiti rivestivano un duplice aspetto:
1. L’abolizione delle vecchie logiche che mettevano la donna in una situazione di ineguaglianza rispetto all’uomo.
2. La liberazione della donna dai compiti domestici, liberazione necessaria per un’economia collettiva alla quale avrebbe preso parte alle stesse condizioni degli uomini.
Per quanto concerne il primo aspetto, lo Stato Operaio concretizzò, fin dai suoi primi mesi di esistenza, il cambiamento più radicale nella legislazione relativa alla donna. Furono abolite tutte le leggi che ponevano la donna in una situazione di ineguaglianza rispetto all’uomo, tra cui quelle relative al divorzio, ai figli naturali e alla corresponsione degli alimenti. Furono ugualmente aboliti tutti i privilegi legati alla proprietà, mantenuti nel diritto familiare a beneficio dell’uomo. La Russia sovietica nei suoi primi mesi d’esistenza fece per l’emancipazione della donna molto più che il più avanzato paese capitalista nel corso di ogni tempo.
Furono introdotti dei decreti che sancivano la protezione legale per le donne e i bambini che lavoravano, l’assicurazione sociale e la parificazione dei diritti all’interno del matrimonio.
Grazie all’azione politica dello Zhenodtel, il dipartimento femminile del Partito Bolscevico, le donne conquistarono il diritto all’aborto legale e gratuito negli ospedali statali. Ma la pratica dell’aborto non era incentivata, e chi percepiva del denaro per praticarlo veniva punito. La prostituzione e il suo sfruttamento furono descritti come “un crimine contro i legami tra compagni e contro la solidarietà”, ma lo Zhenodtel propose che non fossero previste pene legali per questo crimine. Si tentò di attaccare le cause della prostituzione migliorando le condizioni di vita e di lavoro delle donne ed ebbe luogo una vasta campagna contro i “residui della morale borghese”.
La prima Costituzione della Repubblica sovietica, promulgata nel luglio del 1918, diede alla donna il diritto di votare e di essere votata per incarichi pubblici. Tuttavia l’uguaglianza davanti alla legge non corrispondeva ancora all’uguaglianza di fatto. Per la piena emancipazione della donna, per la sua effettiva uguaglianza con l’uomo, c’era bisogno di un’economia che la liberasse dal lavoro domestico e alla quale potesse prendere parte allo stesso modo dell’uomo.
L’essenza del programma bolscevico per l’emancipazione della donna consisteva nella sua liberazione dal lavoro domestico, per mezzo della socializzazione dei compiti da lei svolti all’interno di casa e famiglia. Nel luglio del 1919, Lenin insisteva sul fatto che il ruolo della donna all’interno della famiglia costituiva la chiave di volta della sua oppressione:
“Indipendentemente da tutte le leggi che emancipano la donna, ella continua ad essere una schiava, perché il lavoro domestico la opprime, la strangola, la degrada e la limita alla cucina e alla cura dei figli; ella spreca la sua forza in lavori improduttivi, senza prospettiva, che distruggono i nervi e la rendono idiota. E’ per questo motivo che l’emancipazione della donna, il vero comunismo, inizierà solamente quando sarà intrapresa una lotta senza quartiere, diretta dal proletariato, possessore del potere dello Stato, contro questa natura del lavoro domestico o, meglio, quando avrà luogo la totale trasformazione di questo lavoro in un’economia di grande scala.”
Nel contesto russo dell’epoca, questa era la parte più difficile della costruzione del socialismo e che richiedeva più tempo per concretizzarsi. Lo Stato Operaio iniziò creando istituzioni quali mense e asili per liberare la donna dai gravami domestici. E furono giustamente le donne ad impegnarsi di più nell’organizzazione di tali istituti. Questi, strumenti per la liberazione della donna dalla sua condizione di schiavitù domestica, comparvero in tutti gli ambiti possibili. Malgrado ciò, il loro numero era insufficiente per rispondere a tutti i bisogni.
In Russia c’era la guerra civile, lo Stato Operaio era attaccato dai suoi nemici, e le donne dovettero assumere insieme agli uomini i compiti di guerra a sua difesa.
Molte di queste istituzioni funzionavano alla perfezione, ottenendo successo e dimostrando la necessità del loro mantenimento ed espansione.
D’altro lato, i dirigenti sovietici, Lenin per primo, esortarono le donne a prendere parte sempre più alla gestione delle imprese pubbliche e all’amministrazione dello Stato. Ci furono esortazioni anche alla candidatura di donne a delegate dei soviet. Nel marzo del 1920, in un discorso in omaggio della Giornata Internazionale della Donna, Lenin si rivolse così alle donne russe:
“Il capitalismo coniuga l’uguaglianza di pura facciata all’ineguaglianza economica e, di conseguenza, sociale. (…) e una delle più scioccanti manifestazioni di questa incongruenza (del capitalismo) è l’ineguaglianza tra donna e uomo. Nessuno Stato borghese, per quanto progressista, repubblicano, democratico sia, ha riconosciuto l’intera uguaglianza di diritti tra uomo e donna. La Repubblica Sovietica russa, per contro, ha cancellato in un colpo solo e senza eccezione alcuna tutte le tracce giuridiche dell’inferiorità della donna, e del pari ha assicurato in un colpo solo la parità completa della donna a livello di leggi . Lenin ricorda che c’è l’abitudine di dire che il livello raggiunto da un popolo è caratterizzato dalla situazione giuridica della donna. Sotto questo punto di vista, solo la dittatura del proletariato, solo lo Stato socialista, possono raggiungere e raggiungono il più alto grado di cultura. Tuttavia ciò non è sufficiente. Il movimento operaio femminile russo non si accontentò di un’uguaglianza puramente formale e si assunse un compito lungo e difficile, perché l’uguaglianza esige una trasformazione radicale della tecnica e dei costumi sociali, e necessita di una battaglia per l’uguaglianza economica e sociale della donna, che si può raggiungere solo facendole prendere parte al lavoro sociale produttivo, liberandola dalla schiavitù domestica che è sempre improduttiva e la abbruttisce. "