Ci aveva già provato Boldry e adesso ci riprovano sulla 27 ora del Corriere della Sera .
A questo punto un resa dei conti con le femministe assume una portata fondamentale che riguarda la lotta per l'esistenza di ogni uomo .
Dovremmo essere consapevoli che uno scontro duro con le femministe contribuirebbe a sanare ed a fortificare l’anima ed il corpo degli Uomini , al contrario , fino ad ora si è perseguito uno sciagurato comportamento remissivo che ha prodotto come unico risultato tangibile un inesorabile declino maschile .
Mai nel corso della storia si è modificata una situazione di fatto tramite sterili discorsi salottieri .
Noi uomini avremmo dovuto agire con durezza per fare in modo di schiacciare queste vipere che si nutrono del sangue degli uomini , perchè soltanto in questo modo si sarebbero riusciti a creare i presupposti per una opposizione antifemminista fattiva .
Fonte :
http://27esimaora.corriere.it/articolo/sei-il-sessismo-non-e-solo-su-twitter-il-racconto-di-una-giocatrice-di-videogame/ Hanno ragione le femministe britanniche a chiedere che siano le star del tech a occuparsi dei troll? O è da ingenui pensarlo?
Sei il sessismo non è solo su Twitter: la storia di una giocatrice di videogame
di Marta Serafini
Tags: femminismo, Gran Bretagna, insulti, sessismo, social network, troll, videogame
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Di troll e sessismo si sta molto parlando in queste ore in Gran Bretagna. E di insulti via social network si è dibattuto parecchio questa primavera in Italia. Per lo più a finire sul banco degli imputati è stato Twitter, ora sollecitato dalle femministe britanniche perché introduca un tasto per la segnalazione degli abusi.
Ma c’è un altro luogo della rete dove le donne vengono costantemente attaccate e minacciate. E quel luogo è il regno dei videogame online.
Sentite cosa racconta una lettrice al Guardian.
Sotto lo pseudonimo di TheIneffableSwede una ragazza spiega di aver vinto una partita di un celebre gioco di role playing. Come lei stessa sottolinea si tratta di un caso eccezionale perché le donne rappresentano in media il 25% dei giocatori. E dunque che una donna vinca una partita è un evento abbastanza raro.
Insomma, la vittoria di TheIneffableSwede non va giù agli altri giocatori che hanno iniziato a insultarla pesantamente.
“Dicevano di volermi uccidermi, mutilarmi. Ma la minaccia più frequente era quella dello stupro”, racconta lei.
La giocatrice decide così di segnalare l’accaduto agli amministratori del sito. E la risposta è di quelle che fanno accapponare la pelle:
“Cara TheIneffableSwede è colpa tua se ti insultano: usi uno pseudonimo che tradisce il tuo genere. Prova a giocare come maschio e vedrai che la pianteranno. Se poi sei così convinta che si tratti di una minaccia reale, rivolgiti alla polizia”.
Tralasciando l’idiozia della prima parte della risposta (che suona tanto come un “ti sei messa la minigonna e ti hanno stuprato? Te la sei andata a cercare), diventa un po’ difficile denunciare uno che conosci solo come KillViking091.
TheIneffableSwede però è una ragazza che non si perde d’animo e così decide di scrivere al Ceo della casa produttrice del gioco. Che per tutta risposta, stanco delle sue lamentele, la fa bannare dalle partite.
Del tema avevamo già parlato in un altro post un anno fa, ricevendo a nostra volta una marea di insulti di giocatori indignati. Così come a proposito di Lara Croft avevamo spiegato quanto lo scopo dei videogame non sia quello di educare bensì di divertire.
Inevitabile a questo punto fare una serie di riflessioni.
Primo. Se è vero che gli insulti sono la norma tra giocatori in rete, è pur vero che nei confronti delle donne c’è un maggior accanimento, come gli stessi amministratori del gioco ammettono. Segno che evidentemente il sessismo in rete non è un’invenzione delle femministe.
E se è pur vero che per colossi come Facebook e Twitter controllare tutte le segnalazioni è praticamente impossibile, è anche vero che non esistono particolari policy particolarmente coerenti in merito. Qualche esempio? Spesso viene fatto notare come Facebook sia molto veloce a rimuovere foto di nudo, anche quando il loro contenuto è artistico o di stampo politico (come successo nel caso delle Femen). Ma quando si tratta di reagire al trolling, i tempi di reazione si allungano. Soprattutto se la segnalazione arriva da un utente solo. O se proviene da un utente comune.
Ciò che tuttavia va sottolineato è come l’obiettivo primario delle big star del tech – comprese le software house di videogame – non sia il benessere e l’equilibrio psichico degli utenti. Bensì quello di fare denaro. Ed è quindi ingenuo pretendere che si occupino loro del problema.
Ma di chi è allora il compito di tutelare gli utenti da questi abusi? Qui si apre la seconda riflessione. In Italia, in varie occasioni (vedi caso Boldrini e Kyenge) si è a lungo parlato di introdurre leggi che abolissero l’anonimato su internet per scoraggiare i troll dall’insulto libero.
Questo però significa minare uno dei cardini della libertà del web. Perché è molto facile che provvedimenti di questo tipo si trasformino in censure di tipo politico. E’ facile cioè che con il pretesto di mettere un bavaglio ai pazzi che scorazzano su bacheche e forum, le autorità si facciano prendere la mano e controllino più del dovuto quello che viene scritto online. Il caso Datagate, insomma, insegna. E’ giusto allora che sia lo Stato a legiferare su ciò che accade in rete?
Difficile trovare una risposta. Per quanto mi riguarda la libertà della rete non si tocca. E lo Stato non deve trasformarsi nel Grande Fratello orwelliano. Ma che nei forum dei giocatori – dove transitano ogni giorno migliaia di adolescenti – minacciare di stupro sia diventanto un comportamento normale e accettato è abbastanza inquietante.
Qualcuno obietterà che si tratta di una minaccia virtuale e non reale. Ma come si fa ad essere così sicuri che a comportamenti verbali non seguano poi comportamenti fisici? Magari il bersaglio della rabbia e della frustrazione di aver perso la partita diventa qualcun altro e non la giocatrice in questione. Già, perché che la violenza sulle donne sia un problema culturale è ormai ampiamente dimostrato. Quindi forse anche solo interrogarsi sulla questione non è poi così sbagliato.