Fonte :
http://www.agerecontra.it/public/pres30/?p=12308Prostituzione, case di tolleranza e dottrina cattolica
Si fa un gran parlare di abrogazione della Legge Merlin e riapertura delle “case chiuse”, principio in sè giusto ma purtroppo proposto con la consueta superficialità amorale del consueto stile legaiolo, soprattutto quello 2.0. Ecco perché non possiamo firmare a favore dell’indizione del referendum, qualora le condizioni rimanessero quelle espresse di tassazione del meretricio:
di Maurizio-G. Ruggiero
1 – La prostituzione è peccato grave, sia per la violazione del sesto comandamento Non commettere atti impuri (e, a volte, anche del nono, Non desiderare la donna d’altri, quando chi vi è coinvolto è sposato) sia per il mercimonio del corpo.
2 – è tuttavia fenomeno ineliminabile, connesso com’è al peccato originale e alla particolare fragilità umana, in ordine alla sensualità disordinata.
3 – Questo spiega perché sempre, anche nelle epoche di più profonda fede e negli Stati ufficialmente cattolici, come quelli di ante 1789 (Regno di Francia, Serenissima e Stati della Chiesa, in primis) si preferì realisticamente limitare e scoraggiare il fenomeno, immaginando essere impossibile sradicarlo ed eliminarlo del tutto e, quindi, acconsentire alle cosiddette case di tolleranza.
4 – Dunque non si può parlare al riguardo di accettare un male minore, perché questo moralmente sarebbe illecito; si tratta invece d’impedire un male maggiore (es. la prostituzione dilagante per le strade, su internet con pericoli anche per i minori ecc.).
5 – Pertanto il meretricio può essere limitato a luoghi chiusi, c.d. case di tolleranza, appartati rispetto ai centri urbani; controllato, per impedire infezioni o fenomeni malavitosi, onde consentire a chi voglia uscire dal giro vizioso di poterlo fare; l’adescamento va sempre vietato, come pure lo sfruttamento.
6 – Del pari è immorale tassare il meretricio come fosse un’attività qualsiasi, cosa che ingenererebbe il convincimento che prostituirsi sia un lavoro come tutti gli altri e che finirebbe addirittura per incentivare il fenomeno che s’intende combattere e limitare (la studentessa o la madre di famiglia potrebbero essere invogliate a prostituirsi, ove fosse considerato un lavoro come altri, per di più assai più redditizio); e poi vi è un principio morale: non si tassa un’attività illecita, come lo Stato non percepisce proventi da rapine o furti; altra cosa è devolvere invece una percentuale degl’introiti per le spese sanitarie di controllo di cui sopra.
7 – è ancora immorale la creazione di parchi dell’amore o di quartieri a luci rosse, che incentivano e non limitano il fenomeno, costituendo un adescamento aggravato.
8 – Ancora non è accettabile nessuna equiparazione fra limitazione e tolleranza verso la prostituzione (secondo natura) e quella omosessuale, transessuali inclusi, che va invece repressa, anche se fosse consenziente e non lucrativa, come avveniva in tutte le legislazioni tradizionali, quando questo orrendo vizio aveva un profilo esterno, (sennò restava materia da confessore) la cui punizione era il rogo; la ratio della tolleranza verso la fragilità umana in ordine al sesto Comandamento sta infatti nella natura ferita dal peccato originale e vale per le infrazioni secundum naturam, mentre non può estendersi all’aberrante vizio contro natura che costituisce uno dei quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio.
A conferma della dottrina in favore delle case di tolleranza (nel senso di cui sopra e cioè non per favorire ovviamente il peccato, ma per evitarne di peggiori) soccorrono anche San Tommaso d’Aquino e Sant’Agostino. La dottrina contraria, è sempre rimasta minoritaria nella Chiesa.
Scrive San Tommaso d’Aquino: ”É proprio del legislatore sapiente tollerare alcune trasgressioni alla legge pur di farne rispettare altre ben più gravi” (Summa Theologiae, q. 101, a. 3, ad 2) tolleranza come dato pratico, specifico, non come regola generale, cara invece ai relativisti e ai massoni.
E, sul ruolo sociale delle prostitute e, in una certa misura, volto a eliminare mali maggiori, scrive Sant’Agostino: ”Aufer meretrices de rebus humanis, turbaveris omnia libidinibus”. “Togli le prostitute dalla società e ogni cosa verrà sconvolta dalla libidine” (De Ordine II, c. 4, 12). Dunque, piuttosto del disordine e dello scandalo delle nostre strade e del mercimonio libero e senza controllo su internet (con danno anche dei minori, che non solo sono esposti a tanto degrado, ma possono anche essere indotti più facilmente a cadere) assai meglio sono le case di tolleranza.
Ancora San Tommaso d’Aquino, riprendendo Sant’Agostino, scrive: “La donna pubblica è nella società ciò che la cloaca è nel palazzo: togli la cloaca e l’intero palazzo ne sarà infettato” (San Tommaso d’Aquino, De Regimine Principum IV, 14). “Donde Agostino dice che la meretrice fa nel mondo ciò che la sentina [di nave] fa nel mare o la cloaca nell’edificio. E, similmente ad una sentina: “Leva la sentina dal mondo e vedrai pullulare in esso la sodomia”. Per la qual ragione al tredicesimo capitolo de La Città di Dio lo stesso Agostino dice che la città terrena rese turpitudine lecita il fruire delle prostitute”[1].
Da ultimo uno sguardo alla legislazione della Serenissima, in proposito[2]:
- la prostituzione era tollerata appunto nei bordelli a ciò deputati; punito lo sfruttamento (con la morte alle volte oppure con la fustigazione con la mitria in capo); puniti l’adescamento, l’invadenza dei luoghi pubblici, l’ostentazione di articoli di lusso (peraltro interdetti anche alle donne oneste, in forza delle leggi suntuarie); punite le meretrici, se si concedevano ai non cristiani, offendendo così la vera religione;
- le meretrici dovevano portare un segno di riconoscimento indosso (dall’anno 1421) che era un fazzoletto giallo sugli abiti da mettere attorno al collo, pena la fustigazione, il bando e la multa di cento lire;
- l’esercizio della prostituzione era vietato durante le festività cristiane (dal 1438);
- se infrangevano le prescrizioni, specie circa l’adescamento, venivano colpite di quando in quando da espulsioni di massa, con multe e, se recidive, con taglio del naso;
- dovevano mantenere un certo contegno: stare nei postriboli; non abitare vicino alle chiese; non potevano andare in chiesa durante feste e solennità religiose, ma solo negli altri giorni; in chiesa non potevano stare, sostare o sedersi su banchi delle nobili e delle cittadine oneste; non potevano avere a servizio donne con meno di 30 anni (ad evitare d’indurle al meretricio) né ospitare bambine girovaghe (idem); non potevano portare perle, gioielli, oro e argento, né vesti di seta; il marito era tenuto ad abbandonare la moglie in fama di meretrice;
- veniva vietato loro di vestirsi da uomo o, comunque, di travestirsi, di farsi portare in gondola o di portare un fazzoletto di seta bianca, proprio invece delle donne oneste;
- vi erano strutture caritative deputate al recupero delle prostitute, onde ricostruirne l’onorabilità e avviarle a un mestiere domestico; esemplare il caso della Casa del soccorso, fondata nell’anno 1580, presso la chiesa di San Nicola da Tolentino e retta da gentildonne veneziane: di qui le meretrici pentite uscivano o per sposarsi o per andare a servizio da qualche famiglia o per prendere i voti[3].
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[1] Unde Augustinus dicit, quod hoc facit meretrix in mundo, quod sentina in mari, vel cloaca in palatio: “Tolle cloacam, et replebis foetore palatium”: et similiter de sentina: “Tolle meretrices de mundo, et replebis ipsum sodomia”.
[2] Scrive un autore: ”Sono tollerate le meretrici nelle città cattoliche per evitare maggiori colpe e conseguenze, non che per la sicurezza delle donne pudiche e maritate” (Tassini G. Veronica Franco, celebre poetessa e cortigiana del secolo XVI. Venezia 1888, pp. 19-21).
[3] Per maggiori dettagli, cfr. RUBINI Edoardo, Giustizia Veneta: lo spirito veneto nelle leggi criminali della Repubblica. Filippi Editore, Venezia 2003.