Autore Topic: Il Giornale : Esecuzioni , torture , stupri Le crudeltà dei partigiani .  (Letto 6991 volte)

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Offline Stendardo

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Fonte : http://www.ilgiornale.it/news/cultura/esecuzioni-torture-stupri-crudelt-dei-partigiani-paura-e-844311.html

Esecuzioni, torture, stupri Le crudeltà dei partigiani





La Resistenza mirava alla dittatura comunista. Le atrocità in nome di Stalin non sono diverse dalle efferatezze fasciste. Anche se qualcuno ancora lo nega
 


Giampaolo Pansa - Dom, 07/10/2012 - 12:05









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C’è da scommettere che il nuovo libro di Giampaolo Pansa, La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti (Rizzoli, pagg. 446, euro 19,50; in libreria dal 10 ottobre), farà infuriare le vestali della Resistenza. Mai in maniera così netta come nell’introduzione al volume (di cui per gentile concessione pubblichiamo un estratto) i crimini partigiani sono equiparati a quelli dei fascisti.








Giampaolo Pansa imbastisce un romanzo che, sull’esempio delle sue opere più note,racconta la guerra civile in chiave revisionista, sottolineando le storie dei vinti e i soprusi dei presunti liberatori, i partigiani comunisti in realtà desiderosi di sostituire una dittatura con un’altra, la loro.

 
Tanto i partigiani comunisti che i miliziani fascisti combattevano per la bandiera di due dittature, una rossa e l'altra nera. Le loro ideologie erano entrambe autoritarie. E li spingevano a fanatismi opposti, uguali pur essendo contrari. Ma prima ancora delle loro fedeltà politiche venivano i comportamenti tenuti giorno per giorno nel grande incendio della guerra civile. Era un tipo di conflitto che escludeva la pietà e rendeva fatale qualunque violenza, anche la più atroce. Pure i partigiani avevano ucciso persone innocenti e inermi sulla base di semplici sospetti, spesso infondati, o sotto la spinta di un cieco odio ideologico. Avevano provocato le rappresaglie dei tedeschi, sparando e poi fuggendo. Avevano torturato i fascisti catturati prima di sopprimerli. E quando si trattava di donne, si erano concessi il lusso di tutte le soldataglie: lo stupro, spesso di gruppo.
 
A conti fatti, anche la Resistenza si era macchiata di orrori. Quelli che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ricorderà nel suo primo messaggio al Parlamento, il 16 maggio 2006, con tre parole senza scampo: «Zone d'ombra, eccessi, aberrazioni». Un'eredità pesante, tenuta nascosta per decenni da un insieme di complicità. L'opportunismo politico che imponeva di esaltare sempre e comunque la lotta partigiana. Il predominio culturale e organizzativo del Pci, regista di un'operazione al tempo stesso retorica e bugiarda. La passività degli altri partiti antifascisti, timorosi di scontrarsi con la poderosa macchina comunista, la sua propaganda, la sua energia nel replicare colpo su colpo.
 
Soltanto una piccola frazione della classe dirigente italiana si è posta il problema di capire che cosa si nascondeva dietro il sipario di una storia contraffatta della nostra guerra civile. E ha iniziato a farsi delle domande a proposito del protagonista assoluto della Resistenza: i comunisti. Ancora oggi, nel 2012, qualcuno si affanna a dimostrare che a scendere in campo contro tedeschi e fascisti e stato un complesso di forze che comprendeva pure soggetti moderati: militari, cattolici, liberali, persino figure anticomuniste come Edgardo Sogno. È vero: c'erano anche loro nel blocco del Corpo volontari della liberta. Ma si e trattato sempre di minoranze, a volte di piccole schegge. Impotenti a contrastare la voglia di egemonia del Pci e i comportamenti che ne derivavano. Del resto, i comunisti perseguivano un disegno preciso e potente che si è manifestato subito, quando ancora la Resistenza muoveva i primi passi. Volevano essere la forza numero uno della guerra di liberazione. Un conflitto che per loro rappresentava soltanto il primo tempo di un passaggio storico: fare dell'Italia uscita dalla guerra una democrazia popolare schierata con l'Unione Sovietica.
 
Dopo il 25 aprile 1945 le domande sulle vere intenzioni dei comunisti italiani si sono moltiplicate, diventando sempre più allarmate. Mi riferisco ad aree ristrette dell'opinione pubblica antifascista. La grande maggioranza della popolazione si preoccupava soltanto di sopravvivere. Con l'obiettivo di ritornare a un'esistenza normale, trovare un lavoro e conquistare un minimo di benessere. Piccoli tesori perduti nei cinque anni di guerra. Ma le élite si chiedevano anche dell'altro. Sospinte dal timore che il dopoguerra italiano avesse un regista e un attore senza concorrenti, si interrogavano sul futuro dell'Italia appena liberata. Sarebbe divenuta una democrazia parlamentare oppure il suo destino era di subire una seconda guerra civile scatenata dai comunisti, per poi cadere nelle grinfie di un regime staliniano?
 
Era una paura fondata su quel che si sapeva della guerra civile spagnola. Nel 1945 non era molto, ma quanto si conosceva bastava a far emergere prospettive inquietanti. Anche in Spagna era esistita una coalizione di forze politiche a sostegno della repubblica aggredita dal nazionalismo fascista del generale Francisco Franco. Ma i comunisti iberici, affiancati, sostenuti e incoraggiati dai consiglieri sovietici inviati da Stalin in quell'area di guerra, avevano subito cercato di prevalere sull'insieme dei partiti repubblicani, raccolti nel Fronte popolare. A poco a poco era emerso un inferno di illegalità spaventose. Arresti arbitrari. Tribunali segreti. Delitti politici brutali. Carceri clandestine dove i detenuti venivano torturati e poi fatti sparire. Assassinii destinati ad annientare alleati considerati nemici. Il più clamoroso fu il sequestro e la scomparsa di Andreu Nin, il leader del Poum, il Partito operaio di unificazione marxista. Il Poum era un piccolo partito nel quale militava anche George Orwell, lo scrittore inglese poi diventato famoso per Omaggio alla Catalogna, La fattoria degli animali e 1984. Orwell aveva 34 anni, era molto alto, magrissimo, sgraziato, con una faccia da cavallo. Era arrivato a Barcellona da Londra alla fine del 1936. Una fotografia lo ritrae al fondo di una piccola colonna di miliziani del Poum. Una cinquantina di uomini, preceduti da un bandierone rosso con la falce e martello, la sigla del partito e la scritta «Caserma Lenin», la base dell'addestramento.
 
Orwell stava sul fronte di Huesca quando i comunisti e i servizi segreti sovietici decisero la fine del Poum. Lo consideravano legato a Lev Davidovic Trotsky, il capo bolscevico diventato nemico di Stalin. In realta era soltanto un gruppuscolo antistaliniano con 10 mila iscritti. L'operazione per distruggerlo venne ordita e condotta da Aleksandr Orlov, il nuovo console generale dell'Urss a Barcellona, ma di fatto il capo della filiale spagnola del Nkvd, la polizia segreta sovietica. Nel giugno 1937, un decreto del governo repubblicano guidato dal socialista di destra Juan Negrin, succube dei comunisti, dichiaro fuori legge il Poum, sospettato a torto di cospirare con i nazionalisti di Franco. Tutti i dirigenti furono imprigionati. Se qualcuno non veniva rintracciato, toccava alla moglie finire in carcere. Gli arrestati si trovarono nelle mani del Nkvd che li rinchiuse in una prigione segreta, una chiesa sconsacrata di Madrid. Interrogato e torturato per quattro giorni, Nin rifiuto di firmare l'accusa assurda che gli veniva rivolta: l'aver comunicato via radio al nemico nazionalista gli obiettivi da colpire con l'artiglieria. Gli sgherri di Orlov lo trasportarono in una villa fuori città. Qui misero in scena una finzione grottesca: la liberazione di Nin per opera di un commando di agenti della Gestapo nazista, incaricati da Hitler di salvare il leader del Poum. Ma si trattava soltanto di miliziani tedeschi di una Brigata internazionale, al servizio di Orlov. Nin scomparve, ucciso di nascosto e sepolto in un luogo rimasto segreto per sempre. E come lui, tutti i suoi seguaci svanirono nel nulla. Quanto accadeva in Spagna fu determinante per la svolta ideologica di uno scrittore americano di sinistra, John Dos Passos. Scrisse: «Ciò che vidi mi provoco una totale disillusione rispetto al comunismo e all'Unione Sovietica. Il governo di Mosca dirigeva in Spagna delle bande di assassini che ammazzavano senza pietà chiunque ostacolasse il cammino dei comunisti. Poi infangavano la reputazione delle loro vittime con una serie di calunnie». Le stesse infamie, sia pure su scala ridotta, vennero commesse in Italia da bande armate del Pci, durante e dopo la guerra civile.
 
C'è da scommettere che il nuovo libro di Giampaolo Pansa, La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti (Rizzoli, pagg. 446, euro 19,50; in libreria dal 10 ottobre), farà infuriare le vestali della Resistenza. Mai in maniera così netta come nell'introduzione al volume (di cui per gentile concessione pubblichiamo un estratto) i crimini partigiani sono equiparati a quelli dei fascisti. Giampaolo Pansa imbastisce un romanzo che, sull'esempio delle sue opere più note, racconta la guerra civile in chiave revisionista, sottolineando le storie dei vinti e i soprusi dei presunti liberatori, i partigiani comunisti in realtà desiderosi di sostituire una dittatura con un'altra, la loro.
Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti (Winston Churchill) https://storieriflessioni.blogspot.it/ il blog di Jan Quarius

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Re:Il Giornale : Esecuzioni , torture , stupri Le crudeltà dei partigiani .
« Risposta #1 il: Agosto 09, 2013, 14:11:35 pm »
Fonte : http://www.centrosangiorgio.com/piaghe_sociali/comunismo/pagine_articoli/atrocita_partigiane_in_italia.htm

di Alberto Fornaciari 1

 

postato: 11 febbraio 2012
 

 



 

La maggior parte delle persone conosce poco o nulla di quella che negli anni 1943-1946 fu una vera e propria guerra civile italiana, con migliaia di morti, tra cui molti innocenti. Quelli che poi ne sono a conoscenza, sono convinti che se eccessi vi furono da parte delle formazioni partigiane, si trattò quasi sempre di regolamenti di conti, di ripicche verso chi, durante il regime fascista, aveva approfittato della camicia nera che indossava per prevalere in modo ingiustificato sul prossimo. In realtà, le cose andarono ben diversamente. Le fosse comuni, le foibe e buona parte degli omicidi portati brutalmente a termine dalle brigate di partigiani comunisti avevano lo scopo ben preciso di eliminare fisicamente i possibili avversari del comunismo di stampo sovietico che si voleva instaurare a guerra finita. Il fine ultimo e la causa di queste stragi non fu, dunque, la vendetta, ma il calcolo spietato di una minoranza che, accecata da un'ideologia di morte, giunse ad uccidere i sacerdoti solo perché tali, gli altri partigiani non-comunisti e persino i proprî compagni che non si allineavano ai dettami del Partito. Una pagina recente della nostra Storia che merita di essere conosciuta.
 

 

 

l Presentazione

 

Ero poco più di un adolescente quando, a metà degli anni '70, andai a trovare alcuni lontani parenti che vivono ad Intra, una ridente località del novarese che si affaccia sul Lago Maggiore, una zona che fu teatro durante l'ultima guerra di duri scontri tra le truppe nazifasciste e le formazioni partigiane (basti pensare alla celebre repubblica dei quaranta giorni della Val d'Ossola...). Uno di questi parenti, sapendo che venivo da Ferrara, mi chiese - certo di ricevere una risposta affermativa - se ero comunista. Il mio «no», gentile ma fermo, gli spense il sorriso sul volto. Si sarà certamente chiesto come mai un abitante della rossa Ferrara non fosse un «compagno». La sua considerazione di fondo non era poi del tutto sbagliata, se si considera che nella mia città i sindaci comunisti si sono succeduti ininterrottamente dal 1949 ad oggi, e che il Partito Comunista (e ora il PD) è sempre stato il primo partito alle elezioni. Le ragioni di questa mia non-appartenenza non sono di natura prettamente partitica, prova ne è che non ho mai avuto nessuna tessera, né ho mai fatto alcun genere di attività in qualche formazione politica. Semmai esse sono in larga parte di carattere familiare, e più precisamente sono dovute alle parole che ho udito dalla viva voce di mio padre Edmondo. Anche lui, come me, non era mai stato iscritto ad alcun partito, né era mai entrato in politica, pur avendo le sue idee. Dopo l'8 settembre 1943 e il conseguente scioglimento del suo reparto corazzato, mio padre non aveva aderito alla Repubblica Sociale Italiana, e nemmeno si era unito ai partigiani che si erano dati alla macchia. Per scampare alla probabile deportazione in Germania e per sfamare i genitori era entrato nel Corpo dei Vigili del Fuoco prestandovi servizio fino all'età della pensione. La sua posizione «neutrale» gli aveva così permesso di essere testimone oculare negli anni 1943-1946 di fatti sanguinosi, come i barbari quanto inutili (da un punto di vista bellico) bombardamenti della città operati dall'aviazione anglo-americana o la rovinosa ritirata dei tedeschi. Ma il ricordo che ancora oggi porto scolpito nella mia memoria è la sua reazione quando si toccava l'argomento «Resistenza». Gli occhi spiritati, il volto rosso acceso, le vene del collo ingrossate, mi raccontava in modo concitato di come - nonostante la sua divisa di pompiere - si era visto in più di un'occasione puntare addosso le armi da persone che, con un'espressione piena di ripugnanza, definiva lazarun (colorita espressione in dialetto ferrarese che sta per «delinquenti», «farabutti»), che autoproclamatisi «liberatori» dettavano a destra e a manca la loro legge: quella del mitra. Mi parlava di come le nostre zone erano state lasciate dagli alleati alla mercé di questi individui, molti dei quali, come diceva lui, erano partigian dal lùni («partigiani del lunedì»), ossia i soliti opportunisti (molti dei quali fino all'anno precedente indossavano la camicia nera...) entrati nella Resistenza il 25 aprile, quando l'ultimo tedesco era annegato nel Po o si era arreso alle truppe di colore che precedettero l'arrivo degli alleati. Mi raccontò dei prelevamenti notturni di ex fascisti dei quali non si seppe più nulla, ma anche di gente per bene che non aveva mai torto un capello ad anima viva, dei processi-farsa, dei «tribunali del popolo», delle scorrerie (soprattutto nelle campagne) e delle brutalità operate da questi prepotenti che con il fazzoletto rosso al collo, la stella rossa nel cappello e al canto di O bella ciao o Bandiera rossa uccidevano, rubavano, stupravano e impazzavano in mezzo ad una popolazione in preda al terrore e all'omertà. Poi, con la voce piena di disgusto, mi narrava come a guerra finita questi assassini, il più scolarizzato dei quali non era andato oltre la terza elementare, grazie al loro passato di «partigiani» e alla loro tessera rosso-sangue, erano stati assunti dall'amministrazione comunale, magari andando ad occupare posti di rilievo e percependo quello che si dice un signor stipendio. E, colmo dei colmi, ogni 25 aprile questi signori hanno ancora il coraggio di andare a sfilare in piazza con tanto di medaglie «al valore» appuntate sul petto, vantando un passato che per molti di loro è solo vergognoso. Questa porzione della nostra Storia è una delle tante zone d'ombra su cui non è ancora stata fatta piena luce e soprattutto non è stata resa giustizia. Anche oggi, nonostante l'Unione Sovietica sia solo un brutto ricordo, e che il comunismo locale sia ormai un fenomeno sempre più allo sbando e in via di estinzione, pochi sono quelli che hanno il coraggio di dire la verità su questi fatti dolorosi smascherando uno dei movimenti più infami che ha insanguinato le nostre terre. Possa la lettura di questo stringato articolo aprire gli occhi a tanti giovani a cui, dopo sessant'anni, non è ancora stata detta la verità storica.

 

                                                 Paolo Baroni

 

Sono ormai trascorsi cinquant'anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nell'aprile del 1945, finivano ufficialmente le ostilità in Italia, che ne usciva sconfitta, a causa della congiura di palazzo ordita il 25 luglio del 1943 dai componenti il Gran Consiglio del fascismo e il consequenziale tradimento perpetrato da Pietro Badoglio (1871-1956) nel tragico 8 settembre dello stesso anno. Quest'atto provocò la «rottura» dell'Italia in due parti; una, col governo del Sud, si schierò coi nemici di ieri, gli anglo-americani; l'altra, con la Repubblica Sociale Italiana capeggiata da Benito Mussolini (1883-1945), continuò a combattere a fianco della Germania nazista. I fatti narrati in questo libretto sono strettamente collegati con questi avvenimenti; gli italiani, accecati da odî personali e da sete di vendetta, si schierarono con l'una o con l'altra parte in conflitto. La memoria storica attesta che i venti mesi che vanno dal settembre del 1943 all'aprile 1945 furono tra i più oscuri e sanguinosi dell'intera Storia d'Italia. Gli atti di valore, e anche i delitti più efferati, furono da ambo le parti numerosissimi, e lasciarono un triste strascico che si manifestò anche dopo la fine della guerra fino al 1948, costellato da episodi criminosi che insanguinarono le nostre contrade. Il triste ricordo degli eccidî bestiali perpetrati dalle bande comuniste, nel famigerato «Triangolo della morte» in Emilia-Romagna, richiama alla mente gli orrori della guerra fratricida.

 

 
Sopra: il famigerato «Triangolo della morte», quella porzione di territorio tra le città di Bologna, Reggio  Emilia e Ferrara dove fra il 1943 e il 1946 furono barbaramente uccise dai partigiani comunisti 3.976 persone.
 

 

Fu quello il tempo di Caino! I comunisti, che ricevevano ordini da Mosca, volevano «bolscevizzare» e scristianizzare l'Italia, e perseguivano l'obiettivo di accorpare il nostro Paese al blocco sovietico. Decine di migliaia di innocenti, colpevoli solo di aver servito con amore un ideale, di avere ricoperto cariche nel passato regime, o semplicemente di portare la veste talare pagarono spesso con la vita. Purtroppo, tutti quei delitti sono fino ad oggi rimasti impuniti. A cinquant'anni da quelle tristi esperienze, auspichiamo che la perversa spirale degli odî e delle vendette sia spezzata per sempre, e venga finalmente stesa una coltre misericordiosa su quelle vicende che costarono tanti lutti e tanto sangue, con la speranza che gli italiani, in attesa del giudizio infallibile di Dio e della Storia, si ricompattino in un ritrovato clima di concordia, di fratellanza e di pace.

 

l Premessa

 

Non sono uno scrittore, non ho velleità e non ho ambizioni di alcun genere; sono solo orgoglioso della libertà che ritengo di possedere e che mi fà parlare di quello che pochi hanno avuto il coraggio di dire sulle terrificanti verità della guerra civile in Italia. Voglio parlare delle vittime, di quelle per le quali non sono state installate lapidi di marmo, non sono stati alzati monumenti alla loro memoria e non sono state dedicate strade, piazze e scuole. Intendo parlare delle vite spezzate dalla ferocia dei partigiani comunisti nella nostra terra emiliana. Dopo l'8 settembre 1943, i comunisti hanno combattuto una loro «guerra privata» con scopi e finalità ben diversi da quelli che avevano animato i partigiani delle altre formazioni antifasciste, applicando, con disumana ferocia, una tecnica della guerra civile che è costata agli italiani e agli stessi antifascisti non comunisti un numero spaventosamente alto di vittime innocenti. Perché ho scritto queste pagine? Non certo per rinfocolare odî e rancori. Sono cattolico credente, cresciuto nell'Azione Cattolica; predico, nel limite delle mie possibilità, il perdono e l'amore. Sono contro tutte le guerre e tutte le violenze, ma credo sia giusto che anche queste vittime siano ricordate; ci sono ancora genitori e figli che piangono i loro cari dei quali era proibito parlare. I giovani non sanno e non hanno visto le barbarie della guerra. Ho parlato con un insegnante di cultura civica; insegna in una scuola professionale ed è dirigente di partito. È nato dopo la guerra, e non conosce, se non in parte, i fatti accaduti in quel periodo doloroso. Non ha avuto materiale per documentarsi; i tanti libri scritti sulla guerra civile sono di parte, distorcono la verità e tacciono su tanti episodi. Visione e interpretazione dei fatti sono solo di ispirazione partigiana. Debbo dare atto al senatore Giorgio Pisanò (1924-1997), che pur essendosi trovato dalla parte che ha perduto, nella sua Storia della guerra civile in Italia (1943-1945), presenta, elenca e documenta i fatti e i misfatti compiuti da entrambe le parti in lotta; credo sia uno dei pochi, se non l'unico in Italia, ad averlo fatto. A questa sua fatica attingerò in parte per il mio modesto lavoro. Sul mio tavolo ho il libro dell'On. Franca Gorrieri intitolato La resistenza nella bassa modenese; quello di Sara Prati e Giorgio Rinaldi Quando eravamo i ribelli; Il tempo di decidere, di Ilva Vaccari. Dalla lettura di questi testi si ricava che i protagonisti di una parte sono tutti vittime o eroi, mentre gli altri tutti delinquenti e assassini. In Il tempo di decidere della Vaccari, si parla ampiamente dei rapporti tra il clero e la Resistenza e si annotano scrupolosamente anche piccoli particolari di poca importanza, ma non ho trovato neppure un accenno ai sacerdoti modenesi seviziati e uccisi barbaramente dai partigiani comunisti.

 

   
Da sinistra: l'On. Giorgio Pisanò, La resistenza nella bassa modenese, di Franca Gorrieri e Il tempo di decidere, di Ilva Vaccari.
 

 

Il settimanale diocesano Nostro Tempo, a firma di Casimiro Bettelli, riporta, in occasione del 25 aprile 1983, tre episodi di sacerdoti seviziati e uccisi, fatti veri che ricorderò io pure, ma non specifica il colore della mano assassina, anzi, riportando nel titolo la parola «svastica», lascia credere che sia stata l'opera dei tedeschi, mentre, con questi tre episodi, i tedeschi proprio non hanno nulla a che fare! Da ambo le parti, ci sono state persone oneste, gente che ha agito in buona fede e che si è battuta per un ideale, anche se non buono, ma creduto tale; da ambo le parti, ci sono pure stati delinquenti e assassini della peggior specie, che hanno infierito barbaramente su persone innocenti e indifese. La data del 25 aprile 1945, oggi commemorata come festa nazionale a ricordo dell'avvenuta restaurazione antifascista, comprende in realtà un periodo della nostra Storia che va dal 21 aprile (giorno in cui gli alleati occuparono Bologna) al 5 maggio successivo, allorché si arresero nell'Italia del Nord le ultime formazioni della R.S.I. (Repubblica Sociale Italiana). Un periodo paurosamente tragico, durante il quale alcune decine di migliaia di italiani, fascisti o presunti tali, caddero massacrati in una terrificante repressione che non ha precedenti nella nostra Storia. Per tutti quanti elevo una preghiera, per le vittime di ogni colore o di nessun colore, nella speranza che per queste il premio eterno non sia mancato. Per gli altri, gli assassini, ripeto o Signore le Tue parole: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34).

 

l È bene precisare

 

Prima di ricordare episodi dolorosi, messi sotto silenzio, accaduti in Emilia, di alcuni dei quali ho conosciuto personalmente i protagonisti o parlato con i parenti delle vittime, ritengo opportuno precisare alcuni dati di carattere generale falsati dalla propaganda dei regimi succedutisi dalla fine della guerra; tutte le menzogne e tutte le falsificazioni hanno trovato diritto di cittadinanza. La verità sulla guerra civile in Italia, che gli italiani hanno il diritto di conoscere, comincia ad apparire in parte solo ora, a quarant'anni dalla data dei tragici avvenimenti. Il partigianismo non fu un «movimento di popolo», sorto a contrastare la violenza di un pugno di sanguinari oppressori; va subito detto che i partiti antifascisti non-comunisti manifestarono solo molto di rado la loro presenza attiva, mentre il Partito Comunista fu il vero protagonista. Furono i comunisti a provocare la scintilla che fece esplodere in modo incontenibile la tragedia della guerra civile. Alla R.S.I. aderirono più di 1.200.000 italiani, ai quali bisogna aggiungere tutti coloro che, fuori dal territorio della R.S.I., restarono fedeli dopo l'8 settembre a Mussolini. I partigiani non superavano, invece, anche nei momenti di maggiore sviluppo del movimento, le 100.000 unità; difficile, quindi, considerate le cifre, parlare di un popolo che insorge per quanto riguarda il fenomeno partigiano. I comunisti imposero la loro presenza alle popolazioni usando l'arma del terrore; essi rappresentavano l'80% della forza partigiana; il restante 20% apparteneva a formazioni autonome o di altri partiti. Ogni attentato effettuato dai partigiani contro le truppe tedesche, oltre a non mutare la situazione bellica, e quindi inutile a questo scopo, portava quasi sempre a brutali rappresaglie da parte dei tedeschi; chi ne subiva le conseguenze era la popolazione civile. I tedeschi, ormai in rotta su tutti i fronti, si erano trasformati in barbari e belve, ma non avrebbero fatto nulla senza l'inutile provocazione dei partigiani; quindi, anche i partigiani sono colpevoli, almeno moralmente, degli eccedî compiuti dalle forze militari germaniche. Debbo aggiungere che anche dalle nostre parti i partigiani erano soliti sparare e poi sparire, lasciando la popolazione inerme a subire le conseguenze della loro sconsiderata azione. La strada dei comunismo è lastricata da decine e decine di milioni di cadaveri; anche ora, dove arriva, porta lutti e rovine.

 

   
Da sinistra: L'uomo che verrà (2009; di Giorgio Diritti), Il sangue dei vinti (2008; di Michele Soavi) e Miracolo a Sant'Anna (2008; di Spike Lee). Queste tre pellicole incentrate sulla Resistenza sono state criticate e definite non conformi alla Storia dall'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (A.N.P.I) perché, pur oltre a mettere a nudo le efferatezze di cui si sono macchiate le truppe nazifasciste, hanno anche messo in luce le gravi responsabilità delle formazioni partigiane in queste stragi.
 

 

l Emilia Romagna: 10.000 massacrati

 

Questo è il sanguinoso bilancio delle giornate che videro la fine della guerra civile in Emilia. Le stragi volute, organizzate ed eseguite da uomini del Partito Comunista portarono a 3.000 i massacrati nel bolognese, 2.000 nel reggiano, 2.000 nel modenese, 1.300 nel ferrarese, 600 nella provincia di Piacenza, 500 in quella di Ravenna, 200 nel forlivese e 600 nel parmense. Mentre in Piemonte e in Lombardia, la strage infuriò per pochi giorni, esaurendosi entro il mese di maggio, e mentre nella Venezia-Giulia la barbara ondata slava durò praticamente quaranta giorni e si arrestò allorché Trieste e Gorizia passarono sotto il controllo anglo-americano, la regione emiliana venne funestata ancora per lunghi mesi da atroci fatti di sangue. Causa principale di questo fenomeno fu la presenza, nella regione, di centinaia di vecchi esponenti comunisti. Con l'arrivo degli americani a Bologna, gli enti locali, i sindacati, le cooperative, gli organi di polizia, tutto passò nelle mani di uomini di fiducia del Partito Comunista. La conseguenza fu che il terrore, di pretta marca bolscevica, si abbatté sulle popolazioni. Antichi rancori, vendette personali e odio politico si fusero esplodendo in un'atroce, incredibile e inarrestabile catena di omicidi, stragi collettive e angherie senza nome. Nel modenese ebbe il suo epicentro nel «Triangolo della morte», cioè nella zona compresa tra i centri di Castelfranco Emiliano e Spilamberto nel modenese, e San Giovanni in Persiceto nel bolognese. «Nella provincia di Modena, i partigiani comunisti, arrestati e processati per omicidi e reati comuni, furono più di seicento. Molti furono condannati e finirono in galera. Moltissimi ripararono a Praga, tramite l'ufficio espatri clandestini della federazione comunista modenese» 2.

 

l Da non dimenticare

 

Voglio iniziare con il racconto del sacrificio di alcuni sacerdoti. Va detto che le gerarchie ecclesiastiche, prese tra due fuochi, si astennero dallo schierarsi ufficialmente con l'una o l'altra delle parti in lotta; così, la mancanza di precise direttive costrinse ogni sacerdote a decidere autonomamente. Assommano a sessantasei i sacerdoti uccisi dai tedeschi e dai fascisti, mentre quelli eliminati dai partigiani sono novantatre, durante e dopo la guerra fratricida. Nel modenese, abbiamo la splendida figura di don Elio Monari (1913-1944), fucilato dalla polizia speciale fascista del Maggiore Mario Carità (1904-1945). Io ho conosciuto molto bene questo sacerdote; fu lui ad indirizzarmi verso l'Azione Cattolica. Fu il mio primo direttore spirituale e fui legato a lui da profondo affetto. Non discuto la sua scelta; posso solo dire che la sua unica arma fu la corona del rosario, e questo mi basta! Su don Elio Monari è stato scritto molto; scuole e strade portano il suo nome. Gli è stata conferita anche una medaglia d'oro. Nel modenese persero la vita altri sacerdoti; la mano assassina aveva altro colore. Non mi risulta che a queste vittime, colpevoli soltanto di essere fedeli servitori del Crocefisso, siano state scolpite lastre di marmo.

Don Giuseppe Guicciardi, parroco di Mocogno, ucciso il 10 giugno 1945;

Don Luigi Lenzini, parroco di Crocette di Pavullo, ucciso la notte del 21 luglio 1945;

Don Giuseppe Preci, parroco di Montalto di Zocca, ucciso il 24 maggio 1945;

Don Francesco Venturelli, parroco di Fossoli, ucciso il 15 gennaio 1946;

Don Ernesto Talè, parroco di Castelluccio Formiche, ucciso insieme alla sorella l'11 dicembre 1944;

Don Giuseppe Tarozzi, parroco di Riolo (frazione di Castelfranco E.), prelevato la notte del 26 maggio 1945 e fatto sparire; non si trovò più il corpo perché bruciato in un forno da pane in una casa colonica;

Don Umberto Pessina, parroco di San Martino di Correggio, ucciso l'8 giugno 1946;

Il seminarista Rolando Rivi, sedici anni, di Piane di Monchio.

 
Sopra: Don Umberto Pessina.
 

 

l Sacerdoti seviziati e trucidati

 

Nei tristi mesi che precedettero e seguirono la liberazione, vari sacerdoti della nostra diocesi pagarono con il sacrificio della vita l'assurdità di una situazione dove l'odio dava la mano al tradimento e l'omertà alla paura. Così muoiono i preti, i ministri di Dio. Come il parroco di Crocette, un'assolata frazione di un migliaio di anime, a 3,5 km da Pavullo (Modena). A Crocette, don Luigi Lenzini, sessantenne, c'era da molto tempo e lo consideravano tutti per la sua parola decisa e il suo dire pane al pane e vino al vino. Tipo chiaro e nodoso, come certi quercioli che non piegano a nessun vento. Tardissimo - saranno state le 2,00 dopo mezzanotte - sentì bussare alla porta e andò alla finestra in camicia da notte. Gli dissero di scendere che avevano bisogno. Voci sconosciute e indistinte. Si scusò di non poter scendere per la vecchiaia e l'ora tardissima. Ma quelli non si diedero per vinti. Dopo aver insistito invano, si buttarono contro la porta della canonica; poi sfondarono una finestra ed entrarono. Quanti erano? Due o tre? Don Lenzini, che aveva intuito subito tutto, cercò di sgusciare per la canonica nella chiesa e si appiattì dietro l'altare maggiore. Ma qualcuno era pratico di tutto. Lo presero. «Lasciate almeno che mi vada a vestire». Niente! Lo trascinarono via com'era, in camicia. Il venerando sacerdote si raccomandava e qualcuno pare abbia udito i suoi lamenti nella notte. Fuori era caldo. Si allontanarono dal paese e lo spinsero a calci e urtoni in una vigna vicina. Lì lo sottoposero a torture che qui non abbiamo il coraggio di descrivere: il pudore ce lo impedisce. Poi gli levarono gli occhi e lo seppellirono, dopo averlo strangolato. Nella tragica vigna si vedeva una testa che emergeva dal terriccio smosso. Qualche giorno dopo se ne accorsero tutti e alcune persone pietose gli diedero sepoltura.

 

- Il canonico don Giuseppe Guicciardi era parroco sull'Appennino, a Mocogno (Modena), un paesetto a 2,5 km da Lama, a 800 metri sul livello del mare. Questo fatto capitò precisamente il 10 giugno 1945. Fu una sera. Il parroco andò ad aprire ad alcuni tizi, i quali, entrati, gli chiesero da mangiare, dicendo di essere affamati. Mise loro davanti quel che aveva in casa. Poi, quelli, mangiato che ebbero, chiesero vestiti, coperte e soldi; volevano anche un grammofono. E poiché il prete tergiversava, andarono di là nello studio e presero quei soldi che trovarono, il poco denaro della fabbriceria destinato ad un «ufficio». Rovistarono da ogni parte e portarono via quello che faceva loro comodo, anche la biancheria personale del parroco. Parevano sazi, ormai, e stavano per andarsene. Si avviarono all'uscio e il parroco già ne ringraziava Dio nel suo cuore, quando uno di loro, voltandosi improvvisamente, come per salutare, gli scaricò addosso una pistola, così a freddo. Il vecchio sacerdote cadde bocconi e non si mosse più. Uno di loro, sbattendo l'uscio, disse un po' eccitato: «Perché l'hai fatto? Ce n'era proprio bisogno»? Ma l'assassino rispose: «I preti bisogna ucciderli tutti: uno alla volta; ma bisogna toglierli di mezzo»! E si perdettero nel buio con la refurtiva. La canonica di Mocogno è un po' lontana dall'abitato centrale. La gente si accorse dell'efferato delitto solo la mattina dopo, perché la Messa non suonava come al solito. Fra le carte del santo parroco fu trovato una specie di diario in cui egli aveva offerto la propria vita al Papa, durante i tragici mesi del fronte, per la salvezza dei peccatori e la fine della guerra. Il suo assassino fu pescato, un giorno, mentre passava per strada. Individuato, i carabinieri lo inseguirono. Cercò prima di fuggire, poi tentò di liberarsene sparando su di loro, ma fu freddato prima che ne avesse il tempo. Indosso aveva ancora la camicia del povero parroco massacrato quella notte del 10 giugno!

 

 - Don Giuseppe Preci, sessantadue anni. A Montalto di Zocca (metri 800), di notte, c'è da avere del coraggio a starci, anche senza guerra e... dopo guerra! Confinato lassù, tra castagni e faggi, c'è da fare ad arrivarci da Zocca (Modena) in tre quarti d'ora in macchina. Il parroco, don Preci, era un tipino sottile e deciso, pronto ad ogni ora per il suo popolo. E quando lo vennero a destare, quella notte del 24 maggio 1945, perché andasse da un ammalato, non ci pensò due volte ad uscire. Si vestì e andò in chiesa a prendere i Sacramenti, il Viatico e l'Olio santo. Uscito sul sagrato, le due persone che lo avevano chiamato lo pregarono di fare presto. E lo pregarono di andare avanti. Il sacerdote ubbidì, sia pure a malincuore, e si raccomandò a Dio. Del coraggio ne aveva sempre avuto, lui. Ma una scarica di mitra lo fulminò. Cadde, e il suo sangue bagnò la stradicciola che prendeva dal sagrato. Il prete rimase lì con i Sacramenti, sotto gli abiti insanguinati, fino al mattino dopo.

 

- Piane di Monchio (Reggio Emilia). Il seminarista Rolando Rivi, di quattordici anni, prelevato la mattina del 10 aprile 1945 da una squadra di partigiani comunisti e assassinato due giorni dopo perché indossava l'abito talare. I suoi uccisori, identificati, vennero condannati a ventitre anni di carcere.
 

 

l Altri omicidi

 

- Anna Maria Bacchi, di ventisei anni, laureanda in medicina, assassinata dai partigiani comunisti il 6 aprile 1945. Anna non si era mai interessata di politica, benché suo fratello Gianfranco fosse divenuto ufficiale della Guardia Nazionale Repubblichina. La mattina del 5 aprile, la giovane donna venne avvicinata da tre individui, i quali la informarono che suo fratello, gravemente ferito in uno scontro con i partigiani, era degente all'ospedale di Modena e desiderava parlarle. Anna Maria Bacchi non dubitò un momento della veridicità della comunicazione e seguì i tre individui. Da quel momento scomparve. Il suo cadavere venne ritrovato solo due anni dopo in un campo, a Villa Freto di Modena. Le indagini svolte dai carabinieri portarono all'identificazione dei tre assassini, gli ex partigiani comunisti Cesare Cavalcanti, Enzo Leonardi e Giancarlo Zagni, detto «Luigi». Questi sostenne di avere ricevuto l'ordine di esecuzione dai suoi capi. Ma venne condannato a ventiquattro anni di reclusione. Le donne fasciste - o presunte tali - trucidate dai partigiani nel modenese, furono complessivamente oltre un centinaio. Tra le uccise vi furono, il 27 aprile, Rosaria Bertacchi Paltrinieri, segretaria del fascio femminile repubblicano, e la fascista Jolanda Pignati. Prelevate nelle loro abitazioni, la Bertacchi Paltrinieri e la Pignati furono violentate di fronte ai rispettivi mariti e figli e quindi condotte vicino al cimitero: là furono sepolte vive.

 


Sopra: il corpo martoriato

di Ines Gozzi.
 - Ines Gozzi. Siamo a Costelnuovo Rangone, in provincia di Modena. Ines Gozzi, di ventiquattro anni, laureanda in lettere, era sfollata da Modena con la famiglia a Castelnuovo Rangone e là aveva trovato un impiego, quale interprete, presso il comando tedesco del luogo. In questa sua veste si prodigò quotidianamente in favore della popolazione. Sul finire del settembre 1944, anzi, allorché i partigiani uccisero due soldati tedeschi, Ines riuscì ad evitare una spietata rappresaglia germanica, salvando la vita a numerosi ostaggi ed evitando l'incendio di molte case del paese; da quel momento, tutti la definirono la «salvatrice». Ma Ines era fidanzata con un ufficiale fascista. Tanto bastò perché venisse decretata la sua condanna a morte. Nel tardo pomeriggio del 21 gennaio 1945, infatti, la giovane studentessa venne prelevata insieme al padre. I due furono portati in aperta campagna. Là Ines Gozzi fu violentata sotto gli occhi del genitore. Poi, i due sventurati vennero finiti con un colpo alla nuca e i loro cadaveri furono gettati in un pozzo nero. I responsabili del duplice delitto, identificati a guerra finita, vennero processati, ma furono assolti per avere compiuto un'«azione di guerra» (?!).
 

 

 Il Prof. Alberto Fornaciari, autore di questo scritto, a fianco della statua che tiene nella sua abitazione di Pierina Donadelli, una quindicenne di Montefiorino (Modena) prelevata dai partigiani comunisti il 20 agosto del 1944 per «accertamenti». In realtà, essi erano in cerca di una «compagnia femminile». Dopo venti giorni di violenze inaudite, quando ella non dava ormai alcun segno di reazione e non si nutriva più, i partigiani decisero di «giustiziarla» come «spia fascista» insieme a Dina Parenti, una maestra elementare, impiccandole all'interno della chiesetta di Santa Giulia e fracassando loro in seguito il cranio a colpi di vanga.
 

 

- Italina Bocchi Morisi, di sessant'anni, era madre del Dr. Francesco Bocchi, vice-federale repubblichino di Modena. La sera del 16 marzo 1945, Italina si avviò, come era solita fare, incontro al figlio che rincasava. Ma una pattuglia di «gappisti» 3, già da tempo in agguato, aprì il fuoco contro il Dr. Bocchi fulminandolo sotto gli occhi della madre. Italina Bocchi si gettò urlando sul corpo del figlio e i «gappisti», allora, uccisero anche lei. Le salme di Italina Bocchi e di suo figlio restarono abbandonate per la strada fino al mattino seguente.

 

- Jolanda Pirondi, diciotto anni, di Carpi (Modena). Prelevata e uccisa dai partigiani comunisti il 30 marzo 1945. Jolanda era assolutamente aliena da ogni attività politica. Un partigiano comunista da lei respinto, si vendicò accusandola di essere una «spia». Jolanda Pirondi venne così prelevata da un gruppo di partigiani, trascinata in un campo nei pressi di Gargallo, violentata e uccisa con un colpo alla nuca. I suoi uccisori, identificati a guerra finita, furono processati, ma assolti per avere compiuto un'«azione di guerra» (?!).

 

- Abitavo a Saliceto Panaro, così ho conosciuto Simoni Aldo, quarantanove anni, ucciso dai partigiani il 21 maggio 1946. Essendo un uomo onesto, con dieci figli da sfamare, fu assunto come casellante-guardiano del passaggio a livello delle ferrovie dello Stato su via Montanara. Abitavo a poche centinaia di metri dalla piccola casetta sulla ferrovia abitata da quella numerosa famiglia; ho giocato con i figli di quest'uomo che non ha mai fatto male ad alcuno. Dal fascismo aveva ricevuto solo del bene; per questo era fascista, quanto bastò perché fosse prelevato da due partigiani armati e condotto verso il fiume Panaro. Durante il tragitto, un acquazzone fermò il gruppo in cammino. Ricordo che entrarono nel cortile di casa mia e si fermarono sotto il porticato della stalla. Cessato il temporale, ripresero il cammino che terminò al fiume con la morte del Simoni. Uno dei figli, di pochi anni di età, seguì a distanza il gruppo che portava alla fucilazione il padre e fu testimone impotente di tanta atrocità.

 

 
Sopra: montagne del biellese, settembre 1944: il partigiano detto il Negher, della 12ª «divisione garibaldina», fredda con un colpo alla testa un prigioniero fascista.
 

 

- Era un bravo veterinario; è entrato molte volte in casa mia. Amico di mio padre, veniva chiamato ogni qualvolta una mucca, nella stalla del contadino, partoriva il vitello. Svolto il suo lavoro, beveva un bicchiere di quello buono e ripartiva. In zona era conosciuto e stimato da tutti. Il 9 gennaio 1945, a San Damaso, un paesino a pochi chilometri da Modena, fu la volta dell'intera famiglia Pallotti, composta da Carlo Pallotti, veterinario, dalla moglie Maria e dai figli Luciano, di quattordici anni, e Maria Luisa, di dodici. Su questo tragico episodio ecco quanto ha scritto, sul settimanale Candido, del 30 maggio 1956, il giornalista Antonio De Carlo, già ufficiale in servizio permanente effettivo e addetto, dopo l'8 settembre, ai «servizi speciali» del Governo del Re, operanti nel territorio modenese agli ordini del Colonnello Duca: «Erano circa le 19,00 e la campagna del modenese, quella sera, era avvolta da una nebbia fittissima. Il contadino Fernando Vaschieri era intento a puntellare la porta della sua casa con un paio di paletti. Aveva salutato da poco il Dr. Pallotti, un veterinario di Modena, che, proprio quel mattino, era andato ad abitare al piano di sopra. Vaschieri stava quindi per chiudere l'uscio, allorché dovette alzare le mani, minacciato dai mitra di alcuni individui, sbucati dalla nebbia. Questi individui si avvicinarono sempre più ed entrarono in casa; i loro volti avevano quel beffardo sorriso di chi protegge la propria vigliaccheria puntando un'arma da fuoco contro un inerme. "Siamo partigiani - dissero - e abbiamo l'ordine di portare al nostro comando il Dr. Pallotti". Vaschieri fu spinto in un angolo, accanto ai suoi familiari, ammutoliti dal terrore. I partigiani salirono al piano superiore dove abitava la famiglia del Dr. Carlo Pallotti. Questi aveva ottenuto due anguste stanzette, perché il giorno precedente era stato costretto ad abbandonare la villetta, dov'era sfollato, in seguito al tentativo di una squadra di "gappisti" di sfondare la porta. In quella occasione, i partigiani comunisti avevano preso a sparare sulle finestre e la bimba del dottore, Maria Luisa, di dodici anni, s'era messa a letto, spaventatissima, con una febbre da cavallo. L'altro figliolo, Luciano, s'era dimostrato più coraggioso, ma dopo aver chiamato in segreto il babbo, gli disse che aveva molta paura e che, per il bene di tutti, sarebbe stato meglio trasferirsi altrove. Il veterinario allora aveva chiesto provvisoriamente a Vaschieri quelle due stanzette. Salendo una scaletta, i tre armati raggiunsero lestamente il piano superiore. Vaschieri intese il grido di una bambina e il pianto disperato di un ragazzo. E poi ancora un grido di donna; vi fu un tramestio, come di seggiole violentemente sbattute e un tizio, rimasto di guardia alla porta, ad un tratto corse di sopra. Si udì allora un ordine secco seguito da alcune raffiche di mitra.

 

 
Sopra: la famiglia del veterinario Paollotti.
 

 

Poi, più nulla. Carlo Pallotti, sua moglie e i due bambini, giacevano riversi sul pavimento di mattoni, unendo i loro rivoli di sangue. Uno degli sparatori si chinò sul corpo crivellato del veterinario: era ancora caldo di vita; il sangue seguitava a uscire a fiotti dalla gola, e c'era pericolo che la bella giubba di pelle indossata dal morente si sporcasse. Allora Carlo Pallotti fu spogliato e il suo carnefice si rimirò con soddisfazione in uno specchio pendente da una parete. Alla signora Maria furono tolti gli orecchini, l'orologio da polso e le fedi. A Maria Luisa venne strappata una medaglietta della Madonna. Così terminò l'"azione di guerra"! I "giustizieri" ridiscesero le scale, diedero una voce a Vaschieri e scaricarono ancora i mitra contro una parete urlandogli: "Non ti muovere fino all'alba. Stattene tranquillo perché hai visto cosa succede ai nostri nemici". Fernando Vaschieri si strinse presso i suoi familiari, inebetito, incapace di comprendere ciò che era successo. La fiamma di una candela fissata su di una bottiglia cominciò a sussultare perché la cera s'era tutta consumata. Il contadino ebbe terrore di rimanere al buio; si mosse, cercò una nuova candela, la accese e si rimise al solito cantuccio. Su una mensoletta una sveglia scandiva gli attimi interminabili di angoscia. Ma ad un tratto, Vaschieri avvertì un lamento: era una voce fioca che proveniva dal piano di sopra. Non c'erano dubbi: era la voce di Maria Luisa. Si trattava di un pianto sommesso, rotto a tratti da un'invocazione straziante: "Papà, mamma, perché non rispondete? Anche voi avete tanto male? E allora perché non vieni tu, Gesù, ad aiutarmi"? Vaschieri guardò l'orologio sulla parete. Era trascorsa appena un'ora dalla strage. La bimba di sopra chiamava; la sua voce era sempre più fioca: "Gesù, perché non vieni"? C'era da accorrere presso la bimba. Ma il contadino Fernando Vaschieri non aveva un cuore di leone e non volle disobbedire agli ordini dei carnefici. Non ebbe nemmeno il coraggio di affrontare il pericolo del coprifuoco per correre poco distante, chiamare aiuto e cercare un medico per la povera Maria Luisa: "Tanto è destinata a morire", si scusò con sé stesso. E non si scosse nemmeno quando, all'alba, la piccina cessò di invocare Gesù». A guerra finita, i massacratori della famiglia Pallotti vennero identificati dalla polizia, e il 31 marzo 1949 il Prefetto di Modena indirizzò al Ministero degli Interni un dispaccio che terminava come segue: «L'orrendo crimine, per la qualità delle vittime e l'efferatezza con cui fu consumato, destò unanime raccapriccio e nulla fu lasciato intentato, sebbene senza risultato, per addivenire scoperti i suoi autori. D'ordine del Questore Marzano, indagini sono state riprese e condotte senza interruzione giorno e notte con massimo impegno e hanno portato a scoperta e arresto autori delitto. Hanno partecipato strage: Reggianini Michele, di anni ventotto; Maletti Dante, di anni ventinove; Sarnesi Savino, di anni ventitre; Benassi Ennio, di anni ventitre; Costantini Giuseppe, di anni quarantuno; Menabue Gerardo, di anni trentacinque, e altri due non ancora identificati facenti parte squadre S.A.P. e G.A.P.». I partigiani arrestati confessarono la strage. Sottoposti a diversi processi, solo il Reggianini e il Costantini vennero condannati rispettivamente a trenta e a sedici anni di carcere. Gli altri imputati furono assolti per aver agito in base agli ordini superiori e perché il fatto costituiva un'«azione di guerra» (?!). La tragedia della provincia di Modena non terminò con l'arrivo delle truppe anglo-americane. Per mesi interi, squadre di terroristi rossi seminarono ovunque la morte, macchiandosi di centinaia di delitti. Desidero terminare questo triste racconto con la dolorosa storia dell'eccidio della famiglia Govoni, abitante a Pieve di Cento, grosso borgo ai confini con la provincia di Ferrara. Sette fratelli seviziati e uccisi dai partigiani. Tutti abbiamo sentito parlare dei sette fratelli Cervi, partigiani uccisi dai fascisti, dopo essere stati catturati con le armi in pugno. Il Presidente Sandro Pertini (1896-1990) 4 si è recato più volte ad onorare questi caduti e a confortare i parenti, ma dei sette fratelli Govoni dove trovare un accenno? Pochi chilometri dividono le località delle due stragi. Sarebbe stato bello vedere il Presidente, che si diceva di tutti gli italiani, dopo Reggio, arrivare anche a Pieve di Cento, perché anche i nomi di questi martiri hanno diritto di essere ricordati 5.

 

l I sette fratelli Govoni

 

La famiglia Govoni, di antico ceppo contadino, era una delle più numerose di Pieve di Cento, un grosso borgo quasi al confine con la provincia
di Ferrara. La componevano Cesare Govoni, sua moglie Caterina Gamberini e otto figli: sei maschi e due femmine. Il primogenito si chiamava Dino, un artigiano falegname che si era sposato nel 1938. Aveva avuto due figli. Dopo l'8 settembre, si era iscritto al Partito Fascista repubblichino, comportandosi sempre correttamente, tanto che nessuno, a guerra finita, aveva levato contro di lui la minima accusa. Quando lo ammazzarono aveva da poco compiuto quarantuno anni. Dopo Dino veniva Marino, di tretatre anni. Era coniugato dal 1937 e aveva una figlia. Combattente d'Africa, aveva aderito dopo l'8 settembre alla R.S.I. Contro di lui non pendevano accuse di sorta. Terzogenita una donna, Maria, nata nel 1912. Fu l'unica a salvarsi degli otto fratelli perché, dopo sposata, si era trasferita con il marito ad Argelato, e i partigiani non riuscirono a rintracciarla. Veniva poi Emo, di anni trentadue, un artigiano falegname che non aveva aderito alla R.S.I. e che non si era mai mosso dal paese. Viveva in casa con i genitori. Il quintogenito, Giuseppe, di anni trenta, era coniugato da poco tempo, faceva il contadino e abitava nella casa paterna. Nemmeno lui era iscritto al Partito Fascista repubblichino. Quando lo uccisero, era diventato padre da tre mesi. Il sesto e il settimo dei fratelli Govoni erano Augusto, di ventisette anni, e Primo, di ventidue anni, ambedue ancora celibi, contadini, e vivevano con i genitori. Non si erano mai interessati di politica. L'ultima nata si chiamava Ida, e aveva vent' anni. Si era sposata da un anno ed era diventata mamma solo da due mesi. Abitava ad Argelato. Né lei né suo marito avevano aderito alla R.S.I.. Va precisato che la strage dei sette fratelli Govoni e dei loro compagni di sventura non fu provocata solamente da un'esplosione di pazza criminalità, o da un odio furibondo accumulato da alcuni partigiani nei mesi della lotta fratricida, ma fu la conseguenza di un piano freddamente e cinicamente attuato in base alle direttive emanate dal Partito Comunista con lo scopo di seminare dovunque il terrore per giungere più facilmente al controllo totale della situazione.

 

 
I sette fratelli Govoni. Da sinistra, in alto: Dino, Marino,

Emo, Giuseppe, Augusto, Primo e Ida.
 

 

«Drago», «Zampo», «Ultimo» e i loro partigiani non furono che gli esecutori di queste direttive che insegnavano, tra l'altro, come il terrore lo si semini maggiormente con i fulminei prelevamenti, le silenziose soppressioni, il segreto assoluto sulla sorte toccata alle vittime e sul luogo della loro sepoltura. Il mistero alimenta il terrore. Al tramonto del 10 maggio 1945, iniziarono i prelevamenti dei fratelli Govoni. Tutta la popolazione della zona era già talmente in preda al terrore, che i partigiani avrebbero potuto ammazzare chiunque e seppellirlo in pieno giorno con la sicurezza assoluta che nessuno avrebbe osato denunciarli. La strage dei sette fratelli Govoni venne preceduta da molti massacri; nessuno però ne parlava, anche se tutti sapevano. Il massacro dell'11 maggio, nel quale trovarono la morte anche i sette fratelli Govoni, venne preceduto, quarantott’ore prima, da un altro massacro in cui trovarono la morte dodici innocenti nei pressi di Argelato. È indubbio che la strage dei dodici costituì il preludio al massacro dei sette fratelli Govoni e degli altri dieci che ne divisero la sorte. Era giorno fatto quando il breve convoglio ripartì per Argelato con il suo carico di prigionieri. Ida Govoni cominciò a pregare che la lasciassero tornare a casa, dalla sua creatura. Non le risposero neppure. Verso le 8,00, i due automezzi raggiunsero il podere di Emilio Grazia, dove già si trovava prigioniero Marino Govoni. In un grande camerone adibito a magazzino, cominciò a sfogarsi la ferocia dei partigiani: pugni, calci e colpi di bastone. Verso le 11,00 del mattino, un fulmineo prelevamento di altre dieci vittime, tutte di San Giorgio di Piano. Non è possibile riferire tutto ciò che accadde in quelle ore; basti dire che nessuna delle vittime morì per arma da fuoco. Le urla strazianti dei diciassette morituri risuonarono per molte ore. I partigiani della «Brigata Paolo» infierirono con una crudeltà e un sadismo veramente inconcepibili su ogni prigioniero. Anche Ida, la mamma ventenne, che non aveva mai saputo niente di fascisti o di partigiani, morì tra sevizie orrende, invocando la sua bambina. Quelli che non morirono tra i tormenti furono strangolati. Quando le urla si spensero erano le 23,00 dell'11 maggio. Ebbe luogo, quindi - prosegue il testo della sentenza - la ripartizione degli oggetti d'oro in possesso dei prelevati. Per anni interi, sfidando le raffiche dei mitra degli assassini, sempre padroni della situazione, solo i familiari delle vittime cercarono disperatamente di fare luce su quanto era accaduto, nella speranza di poter almeno rintracciare i resti dei loro cari, primi fra tutti, la madre e il padre dei sette fratelli Govoni.

 

 
A sinistra: il 24 febbraio 1951 vennero rinvenuti in una fossa comune i resti mortali dei sette fratelli Govoni e di altre dieci persone uccise con loro. A destra: il 28 febbraio, quattro giorni dopo il macabro ritrovamento, vennero celebrati a Cento (Ferrara) i funerali delle vittime. Parlando di questa eccidio, l'On. Fausto Bertinotti, ex segretario di Rifondazione Comunista, ha affermato: «Come vittime i sette giovani Cervi e i sette giovani Govoni, per me sono uguali; come vittime! La differenza consiste che i primi hanno costruito la Repubblica italiana e perciò vanno onorati non come morti, ma come attori di quel cambiamento. Gli altri non hanno fatto niente, sono vittime, ma non come attori della storia. Ci sarà pure una differenza, o no»? (*). Innocenti di serie A e innocenti di serie B... Due pesi e due misure... Ecco la «giustizia» dei comunisti.

 

(*) http://digilander.libero.it/freetime1836/libri/libri30.htm
 

 

Fu una ricerca estenuante, dolorosissima, ma inutile. Nessuno volle parlare, nessuno volle aiutarli; molti li cacciarono via in malo modo, coprendoli d'insulti. Ci fu anche chi osò alzare la mano su quella povera vecchia che cercava solo le ossa dei suoi sette figli. A Cesare e Caterina Govoni, sopravvissuti al più inumano dei dolori, lo Stato italiano, dopo lunghe esitazioni, decise di corrispondere, per i figli perduti, una pensione di 7.000 lire mensili: 1.000 lire per ogni figlio assassinato! 6. Volantini di questo tenore (vedi sotto), ispirati ad un violento anticlericalismo, vennero messi in circolazione nei primi mesi della guerra civile da gruppi comunisti: «Prete, tu con la scusa della tua fede hai vissuto alle spalle dei gonzi e creduloni. La volontà del popolo schiaccerà il mito dei falsi. Per un solo dio: il proletariato. Il Comitato Esecutivo».

 



 

l Mio cugino Arrigo

 

Il Dr. Arrigo Muzzioli, laureato con il massimo dei voti, aveva trovato lavoro presso la ditta Ghisetti-Cancarini, produzione e lavorazione frutta, in via Canaletto, Modena; era addetto al personale. Il Dr. Arrigo era la rettitudine e l'onestà personificata; non si era mai prestato a trucchi o menzogne per coprire chi non faceva il proprio dovere come lavoratore. L'odio contro i «servi dei padroni», del quale era impregnata l'aria di quel tempo, troncò la sua vita a ventisei anni sulla porta di casa, in viale Moreali. Un colpo di arma da fuoco lo raggiunse la sera del 7 febbraio 1946. Non si era mai interessato di politica.

 

l Sacerdoti martiri nell'oblio

 

Desidero qui ricordare con venerazione e affetto i sacerdoti che durante la guerra civile in Italia (1943-1945), immolarono la vita per restare fedeli alla loro missione di apostoli di Cristo. Voglio ricordare quelli rimasti vittime della ferocia dei nemici della fede e della Patria, i partigiani comunisti. Così li definisce un volantino fatto stampare dai cattolici modenesi presso la tipografia Azzi di Pavullo l'8 agosto 1965 Ho raccolto e posto qui in elenco novantaquattro nomi, ma certo i sacerdoti uccisi da componenti le bande partigiane, o presunti tali, sono molti di più. Comunque, per questi che io riporto, c'è stato il silenzio assoluto! I giovani non debbono sapere; verrebbe demolita l'epopea costruita in questi anni intorno al movimento partigiano. A Modena, il 19 agosto 1984, si è ricordato, a Crocette di Pavullo, in occasione della festa della Madonna Assunta, patrona della parrocchia, don Luigi Lenzini, parroco della medesima, seviziato barbaramente e ucciso dai partigiani; ma nessuna autorità, né religiosa né civile, ha presenziato al rito. La stampa, compresa quella cattolica, non ne ha fatto cenno; silenzio assoluto anche dal settimanale diocesano Nostro Tempo...

Don Giuseppe Amatelo, parroco di Coassolo (Torino), ucciso a colpi di ascia dai partigiani comunisti il 15 marzo 1944 perché aveva deplorato gli eccessi dei guerriglieri rossi;

Don Gennaro Amato, parroco di Locri (Reggio Calabria), ucciso nell'ottobre 1943 dai capi della repubblica comunista di Caulonia;

Don Ernesto Bandelli, parroco di Bria, ucciso dai partigiani slavi a Bria, il 30 aprile 1945;

Don Vittorio Barel, economo del seminario di Vittorio Veneto, ucciso il 26 ottobre 1944 dai partigiani comunisti;

Don Stanislao Barthus, della Congregazione di Cristo Re (Imperia), ucciso il 17 agosto 1944 dai partigiani perché in una predica aveva deplorato le «violenze indiscriminate dei partigiani»;

Don Duilio Bastreghi, parroco di Cigliano e Capannone Pienza, ucciso la notte del 3 luglio 1944 dai partigiani comunisti che lo avevano chiamato con un pretesto;

Don Carlo Beghè, parroco di Novegigola (Apuania), sottoposto il 2 marzo 1945 a finta fucilazione che gli produsse una ferita mortale;

Don Francesco Bonifacio, curato di Villa Gardossi (Trieste), catturato dai miliziani comunisti iugoslavi l'11 settembre 1946 e gettato in una foiba;

Don Luigi Bordet, parroco di Hône (Aosta), ucciso il 5 marzo 1946 perché aveva messo in guardia i suoi parrocchiani dalle insidie comuniste;

Don Sperindio Bolognesi, parroco di Nismozza (Reggio Emilia), ucciso dai partigiani comunisti il 25 ottobre 1944;

   
Don S. Barthus
 Don F. Bonifacio Don S. Bolognesi

Don Corrado Bortolini, parroco di Santa Maria in Duno (Bologna), prelevato dai partigiani il 1° marzo 1945 e fatto sparire;

Don Raffaele Bortolini, canonico della Pieve di Cento, ucciso dai partigiani la sera del 20 giugno 1945;

Don Luigi Bovo, parroco di Bertipaglia (Padova), ucciso il 25 settembre 1944 da un partigiano comunista poi giustiziato;

Don Miroslavo Bulleschi, parroco di Monpaderno (Diocesi di Parenzo e Pola), ucciso il 23 agosto 1947 dai comunisti iugoslavi;

Don Tullio Calcagno, direttore di Crociata Italica, fucilato dai partigiani comunisti a Milano il 29 aprile 1945;

Don Sebastiano Caviglia, cappellano della Guardia Nazionale Repubblichina, ucciso il 27 aprile 1945 ad Asti;

Padre Crisostomo Ceragiolo o.f.m., cappellano militare decorato al valor militare, prelevato il 19 maggio 1944 da partigiani comunisti
nel convento di Montefollonico e trovato cadavere in una buca con le mani legate dietro la schiena;

Don Aldemiro Corsi, parroco di Grassano (Reggio Emilia), assassinato nella sua canonica, con la domestica Zeffirina Corbelli, da partigiani comunisti, la notte del 21 settembre 1944;

   
Don Corrado Bortolini
 Don R. Bortolini Don Aldemiro Corsi

Don Ferruccio Crecchi, parroco di Levigliani (Lucca), fucilato all'arrivo delle truppe di colore nella zona su false accuse dei comunisti del luogo;

Don Antonio Curcio, cappellano dell'11° Battaglione Bersaglieri, ucciso il 7 agosto 1941 a Dugaresa da comunisti croati;

Padre Sigismondo Damiani o.f.m., ex cappellano militare, ucciso dai comunisti slavi a San Genesio di Macerata l'11 marzo 1944;

Don Teobaldo Daporto, arciprete di Castel Ferrarese, Diocesi di Imola, ucciso da un comunista nel settembre 1945;

Don Edmondo De Amicis, cappellano pluridecorato della Prima Guerra Mondiale, venne colpito a morte dai «gappisti», a Torino, sulla soglia della sua abitazione nel tardo pomeriggio del 24 aprile 1945, e spirò dopo quarantott'ore di atroce agonia;

Don Aurelio Diaz, cappellano della Sezione Sanità della Divisione «Ferrara», fucilato nelle carceri di Belgrado nel gennaio del 1945 da partigiani titini;

Don Adolfo Dolfi, canonico della Cattedrale di Volterra, sottoposto il 28 maggio 1945 a torture che lo portarono alla morte l'8 ottobre successivo;

Don Enrico Donati, arciprete di Lorenzatico (Bologna), massacrato il 23 maggio 1945 sulla strada di Zenerigolo;

Don Giuseppe Donini, parroco di Castagneto (Modena), trovato ucciso sulla soglia della sua casa la mattina del 20 aprile 1945. La colpa dell'uccisione fu attribuita in un primo momento ai tedeschi, ma alcune circostanze, emerse in seguito, stabilirono che gli autori del sacrilego delitto furono i partigiani comunisti;

Don Giuseppe Dorfmann, fucilato nel bosco di Posina (Vicenza) il 27 aprile 1945;

Don Vincenzo D'Ovidio, parroco di Poggio Umbricchio (Teramo), ucciso nel maggio 1944 sotto accusa di filo-fascismo;

Don Giovanni Errani, cappellano militare della Guardia Nazionale Repubblichina, decorato al valor militare, condannato a morte dal Comitato di Liberazione Nazionale di Forlì, salvato dagli americani e deceduto in seguito a causa delle sofferenze subite;

Don Colombo Fasce, parroco di Cesino (Genova), ucciso nel maggio del 1945 dai partigiani comunisti;

   
Padre S. Damiani
 Don T. Daporto Don E. De Amicis

Padre Giovanni Fausti s.j., superiore generale dei gesuiti in Albania, fucilato il 5 marzo 1946 perché italiano. Con lui furono trucidati altri sacerdoti dei quali non si è mai potuto conoscere il nome;

Padre Fernando Ferrarotti o.f.m., cappellano militare reduce dalla Russia, ucciso nel giugno 1944 a Champorcher (Aosta) dai partigiani comunisti;

Don Gregorio Ferretti, parroco di Castelvecchio (Teramo), ucciso dai partigiani slavi e italiani nel maggio 1944;

Don Giovanni Ferruzzi, arciprete di Campanile (Imola), ucciso dai partigiani comunisti il 3 aprile 1945;

Don Achille Filippi, parroco di Maiola (Bologna), ucciso la sera del 25 luglio 1945 perché accusato di filo-fascismo;

Don Sante Fontana, parroco di Comano (Pontremoli), ucciso dai partigiani il 16 gennaio 1945;

Don Giuseppe Gabana, della Diocesi di Brescia, cappellano della 6ª Legione della Guardia di Finanza, ucciso il 3 marzo 1944 da un partigiano comunista;

Don Giuseppe Galassi, arciprete di San Lorenzo in Selva (Imola), ucciso il 1° maggio 1945 perché sospettato di filo-fascismo;

Don Tiso Galletti, parroco di Spazzate Sassatelli (Imola), ucciso il 9 maggio 1945 perché aveva criticato il comunismo;

Don Domenico Gianni, cappellano militare in Iugoslavia, prelevato la sera del 21 aprile 1945 e ucciso dopo tre giorni;

Don Giovanni Guicciardi, parroco di Mocogno (Modena), ucciso il 10 giugno 1945 nella sua canonica dopo sevizie atroci da chi, col pretesto della lotta di liberazione, aveva compiuto nella zona una lunga serie di rapine e delitti, con totale disprezzo di ogni legge umana e divina;

   
Padre G. Fausti s.j.
 Don G. Gabana Don Tiso Galletti

Don Virginio Icardi, parroco di Squaneto (Aqui), ucciso il 4 luglio 1944, a Preto, da partigiani comunisti;

Don Luigi Ilarducci, parroco di Garfagnolo (Reggio Emilia), ucciso il 19 agosto 1944 da partigiani comunisti;

Don Giuseppe Jemmi, cappellano di Felina (Reggio Emilia), ucciso il 19 aprile 1945 perché aveva deplorato gli «eccessi inumani di quanti disonorano il movimento partigiani»;

Don Serafino Lavezzari, seminarista di Robbio (Piacenza), ucciso il 25 febbraio 1945 dai partigiani, insieme alla mamma e a due fratelli;

Don Luigi Lenzini, parroco di Crocette di Pavullo (Modena), trucidato il 20 luglio 1945. Nobile, autentica figura di martire della fede. Prelevato nottetempo da un'orda di criminali, strappato dalla sua chiesa, torturato, seviziato, fu ucciso dopo lunghissime ore di indescrivibile agonia, quale raramente si trova nella storia di tutte le persecuzioni. Si cercò di soffocare con lui, dopo che le minacce erano risultate vane, la voce più chiara, più forte e coraggiosa che, in un'ora di generale sbandamento morale, metteva in guardia contro i nemici della fede e della patria. Il processo, celebrato in una atmosfera di terrore e di omertà, non seppe assicurare alla giustizia umana i colpevoli, mandanti ed esecutori, i quali, con tale orribile delitto, non unico, purtroppo, hanno gettato fango, umiliazione e discredito sul nome della Resistenza italiana. Ma dalla gloria all'Eternità, come nella fosca notte del martirio, don Luigi Lenzini fà riudire le ultime parole della sua vita, monito severo e solenne, che invitano a temere e a stimare soltanto il giusto Giudizio di Dio;

Don Giuseppe Lorenzelli, Priore di Corvarola di Bagnone (Pontremoli), ucciso dai partigiani il 27 febbraio 1945, dopo essere stato obbligato a scavarsi la fossa;

Don Luigi Manfredi, parroco di Budrio (Reggio Emilia), ucciso il 14 dicembre 1944 perché aveva deplorato gli «eccessi partigiani»;

   
Don Virginio Icardi
 Don G. Jemmi Don Luigi Manfredi

Don Dante Mattioli, parroco di Corazzo (Reggio Emilia), prelevato dai partigiani rossi la notte dell'11 aprile 1945;

Don Fernando Merli, mensionario della Cattedrale di Foligno (Perugia), ucciso il 21 febbraio 1944, presso Assisi, da iugoslavi istigati dai comunisti italiani;

Don Angelo Merlini, parroco di Fiamenga (Foligno), ucciso il medesimo giorno dagli stessi, presso Foligno;

Don Armando Messuri, cappellano delle Suore della Sacra Famiglia in Marino, ferito a morte dai partigiani comunisti e deceduto il 18 giugno 1944;

Don Giacomo Moro, cappellano militare in Iugoslavia, fucilato dai comunisti titini a Micca di Montenegro;

Don Adolfo Nannini, parroco di Cercina (Firenze), ucciso il 30 maggio 1944 da partigiani comunisti;

Padre Simone Nardin o.s.b., dei benedettini olivetani, Tenente cappellano dell'ospedale militare «Belvedere» in Abbazia di Fiume, prelevato dai partigiani iugoslavi nell'aprile 1945 e fatto morire tra sevizie orrende;

Don Luigi Obid, economo di Podsabotino e San Mauro (Gorizia), prelevato da partigiani e ucciso a San Mauro il 15 gennaio 1945;

Don Antonio Padoan, parroco di Castel Vittorio (Imperia), ucciso da partigiani l'8 maggio 1944 con un colpo di pistola in bocca e uno al
cuore;

Don Attilio Pavese, parroco di Alpe Gorreto (Tortona), ucciso il 6 dicembre 1944 da partigiani dei quali era cappellano, perché confortò alcuni prigionieri tedeschi condannati a morte;

Don Francesco Pellizzari, parroco di Tagliolo (Aqui), chiamato nella notte del 10 maggio 1945 e fatto sparire per sempre;

Don Pombeo Perai, parroco dei SS. Pietro e Paolo di città della Pieve, ucciso per rappresaglia partigiana il 16 giugno 1944;

Don Enrico Percivalle, parroco di Varriana (Tortona), prelevato da partigiani e ucciso a colpi di pugnale il 14 febbraio 1944;

Don Vittorio Perkan, parroco di Elsane (Fiume), ucciso il 9 maggio 1945 da partigiani mentre celebrava un funerale;

Don Aladino Petri, parroco di Pievano di Caprona (Pisa), ucciso il 2 giugno 1944 perché ritenuto filo-fascista;

Don Nazzareno Pettinelli, parroco di Santa Lucia di Ostra di Senigallia, fucilato per rappresaglia partigiana il 1º luglio 1944;

Don Umberto Pessina, parroco di San Martino di Correggio, ucciso il 18 giugno 1946 da partigiani comunisti;

Seminarista Giuseppe Pierami, studente di Teologia della Diocesi di Apuania, ucciso il 2 novembre 1944, sulla Linea Gotica, da partigiani comunisti;

Don Ladislao Pisacane, vicario di Circhina (Gorizia), ucciso da partigiani slavi il 5 febbraio 1945 con altre dodici persone;

Don Antonio Pisk, curato di Canale d'Isonzo (Gorizia), prelevato da partigiani slavi il 28 ottobre 1944 e fatto sparire per sempre;

Don Nicola Polidori, della Diocesi di Nocera e Gualdo, fucilato il 9 giugno 1944 a Sefro da partigiani comunisti;

Don Giuseppe Preci, parroco di Montalto (Modena). Chiamato di notte col solito tranello, fu ucciso sul sagrato della chiesa il 24 maggio
1945;

Don Giuseppe Rasori, parroco di San Martino in Casola (Bologna), ucciso la notte del 2 luglio 1945 nella sua canonica, con l'accusa di filo-fascismo;

Don Alfonso Reggiani, parroco di Amola di Piano (Bologna), ucciso da marxisti la sera del 5 dicembre 1945;

   
Don Dante Mattioli
 Don Antonio Padoan Don Alfonso Reggiani

Don Giuseppe Rocco, parroco di Santa Maria, Diocesi di San Sepolcro, ucciso da slavi il 4 maggio 1945;

Padre Angelico Romiti o.f.m., cappellano degli allievi ufficiali della Scuola di Fontanellato, decorato al valor militare, ucciso la sera del 7 maggio 1945 da partigiani comunisti;

Don Leandro Sangiorgi, salesiano, cappellano militare decorato al valor militare, fucilato a Sordevolo Biellese il 30 aprile 1945;

Don Alessandro Sanguanini, della Congregazione della Missione, fucilato a Ranziano (Gorizia) il 12 ottobre 1944 da partigiani slavi per i suoi sentimenti di italianità;

Don Lodovico Sluga, vicario di Circhina (Gorizia), ucciso insieme al confratello;

Don Luigi Solaro, di Torino, ucciso il 4 aprile 1945 perché parente del federale di Torino Giuseppe Solaro, anch'egli trucidato;

Don Emilio Spinelli, parroco di Campogialli (Arezzo), fucilato il 6 maggio 1944 dai partigiani sotto accusa di filo-fascismo;

Padre Eugenio Squizzato o.f.m., cappellano partigiano ucciso dai suoi il 16 aprile 1944 fra Corio e Lanzo Torinese perché impressionato dalle crudeltà che essi commettevano, voleva abbandonare la formazione;

Don Ernesto Talè, parroco di Castelluccio Formiche (Modena), ucciso insieme alla sorella l'11 dicembre 1944;

Don Giuseppe Tarozzi, parroco di Riolo (Bologna), prelevato la notte sul 26 maggio 1945 e fatto sparire. Il suo corpo fu bruciato in un forno da pane, in una casa colonica;

Don Angelo Taticchi, parroco di Villa di Rovigno (Pola), ucciso dai partigiani iugoslavi nell'ottobre 1943 perché aiutava gli italiani;

Don Carlo Terenziani, prevosto di Ventoso (Reggio Emilia), fucilato la sera del 29 aprile 1945 perché ex cappellano della milizia;

Don Alberto Terilli, arciprete di Esperia (Frosinone), morto in seguito a sevizie inflittegli dai marocchini, eccitati da partigiani, nel maggio 1944;

Don Andrea Testa, parroco di Diano Borrello (Savona), ucciso il 16 luglio 1944 da una banda partigiana perché osteggiava il comunismo;

Mons. Eugenio Corradino Torricella, della Diocesi di Bergamo, ucciso il 7 gennaio 1944 ad Agen (Francia) da partigiani comunisti per i suoi sentimenti d'italianità;

Don Rodolfo Trcek, diacono della Diocesi di Gorizia, ucciso il 1° settembre 1944 a Montenero d'Idria da partigiani comunisti;

Don Francesco Venturelli, parroco di Fossoli (Modena), ucciso il 15 gennaio 1946 perché inviso ai partigiani;

Don Gildo Vian, parroco di Bastia (Perugia), ucciso dai partigiani comunisti il 14 luglio 1944;

Don Giuseppe Violi, parroco di Santa Lucia di Madesano (Parma), ucciso il 31 novembre 1945 da partigiani comunisti;

Don Antonio Zoli, parroco di Morra del Villar (Cuneo), ucciso dai partigiani comunisti perché, durante la predica del Corpus Domini del
1944, aveva deplorato l'odio tra fratelli come una maledizione di Dio.

   
Don G. Tarozzi
 Don Alberto Terilli Don F. Venture
Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti (Winston Churchill) https://storieriflessioni.blogspot.it/ il blog di Jan Quarius

Offline Stendardo

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Re:Il Giornale : Esecuzioni , torture , stupri Le crudeltà dei partigiani .
« Risposta #2 il: Agosto 09, 2013, 14:14:25 pm »
Fonte : http://blog.libero.it/mcsar/commenti.php?msgid=8737496

25 Aprile : I crimini partigiani...per non Dimenticare !!!


Brigata Garibaldi
Questa storia, tratta da “Il Triangolo della Morte” Ed. Mursia, di Giorgio e Paolo Pisanò, ripercorre una delle tante eroiche imprese della Brigata Partigiana per eccellenza: “La Brigata Garibaldi” ovvero il nucleo partigiano che ha combattuto con tenacia e sprezzo del pericolo per la libertà e la democrazia.

Ines Gozzi, una bella ventiquattrenne di Castelnuovo Rangone (MO), è una studentessa universitaria, laureanda in lettere. Conoscendo la lingua tedesca è diventata l’nterprete del locale Comando Germanico. Ciò ha significato la salvezza del paese quando i partigiani hanno ucciso due soldati tedeschi nella zona e questi volevano distruggere l’abitato. E’ stata proprio Ines Gozzi a interporsi e a battersi perchè la rappresaglia fosse evitata. Così, da quel giorno, tutti gli abitanti di Castelnuovo Rangone lo sanno e gliene sono grati.

Ma tutti sanno anche che la ragazza è fidanzata con un ufficiale della Guardia Nazionale Repubblicana e questa è una colpa imperdonabile agli occhi dei “partigiani assassini -salvatori della patria- ed eroi coraggiosi pluridecorati“!

La notte del 21 gennaio 1945 una squadra di partigiani della brigata “Garibaldi” fa irruzione in casa Gozzi prelevando Ines e suo padre.

I due vengono portati in un casolare in aperta campagna e qui, davanti al genitore legato, la ragazza subisce le più atroci sevizie e le violenze più indicibili da tutti i “coraggiosi” componenti dell’”onorata” Brigata Garibaldi.

I partigiani garibaldini ubriachi la posseggono a turno, la picchiano, gli sputano addosso, le tagliano le unghie fino alla carne, gli spengono dei mozziconi di sigaretta negli occhi, poi le urinano addosso.
Tutto questo orrore davanti al padre legato, costretto ad assistere al martirio di quell’unica figlia nell’impotenza e nella consapevolezza che non ne sarebbero usciti vivi. Dopo essersi accaniti contro la povera Ines, i partigiani infieriscono su quel padre che oramai non si rendeva più conto di cosa stesse accadendo tanto era il dolore che gli avevano provocato quei porci stramaledetti!

All’alba del 22 gennaio 1945, dopo la lunga notte di baldoria, i “coraggiosi partigiani garibaldini“  finiscono padre e figlia con numerosi colpi di pistola alla testa. Verranno ritrovati e riesumati alcuni giorni dopo. I
l corpo della ragazza è tanto straziato, tanto sfigurato da dover essere nascosto agli occhi della madre.
Sui muri di Castelnuovo Rangone qualcuno scrive: “Bestie, avete ucciso la nostra salvatrice“.

Bastiglia (MO) Era una notte calda e umida a Bastiglia (MO) quando la sera del 27 aprile 1945 alcuni partigiani (Brigata Garibaldi) si introdussero nell’abitazione di Walter Ascari, lo derubarono, fecero razzia di carni e salumi; lo prelevarono e lo trasportarono in aperta campagna.

Ascari non era fascista, ma neanche comunista, era un benestante e questa era una grandissima colpa durante le “Radiose Giornate” quindi colpendo Walter Ascari avrebbero colpito lo “Stato Borghese“.

Giunti in località Montefiorino alcuni partigiani estrassero dei bastoni e cominciarono a colpire il malcapitato come dei forsennati; altri con l’ausilio di una canna di bambù lo seviziarono fino a rompergli l’ano e parte dell’intestino. Ma era ancora ben poca cosa, una fine orrenda attendeva il povero Walter Ascari. “A morte!” “A morte!” Urlavano gli assassini… Per la sua mattanza finale, i gloriosi e pluridecorati eroi garibaldini pensano a qualcosa di diverso dalla solita raffica di mitra…  Qualcosa di speciale… Qualcosa che soltanto la loro mente perversa e assassina poteva immaginare, qualcosa che va aldilà dell’umana cattiveria.

Lo appesero per i polsi ad un grosso ramo in modo che il corpo del moribondo fosse ben teso assicurandolo per i piedi al terreno con una corda. Poi, con una grossa sega da boscaiolo a quattro mani, lo tagliarono in due! Da vivo! Il suo corpo fu gettato in seguito in una porcilaia. Quando lo ritrovarono, ben poco era rimasto di quel pover’uomo.

Nel Modenese la “giustizia proletaria” fu esercitata con particolare ferocia contro le donne, fasciste o presunte tali. Oltre alle violenze consumate sulle malcapitate già destinate a morte, subito prima della loro soppressione, non furono pochi i casi di sevizie e violenze d’ogni sorta.
Episodi di sequestro e di detenzione di prigioniere prelevate e tenute in vita fino all’inservibilità delle medesime come “oggetti sessuali” per i loro partigiani sequestratori, nella sola provincia di Modena, se ne contano circa duemila.

E’ noto il caso di Prima Stefanini Cattabriga e Paolina Cattabriga, di Cavezzo (MO) madre e figlia, quest’ultima di 15 anni, prelevate il 16 aprile 1945 dalla tristemente nota “banda di Cavezzo” il nucleo partigiano alle dirette dipendenze della Brigata Partigiana Garibaldi, e costrette ad un calvario di 12 giorni prima di ottenere la “grazia della morte“.

“Azione di guerra“, naturalmente, così il C.L.N. commentò l’accaduto.

Un altro membro della famiglia Cattabriga, Angiolino, fratello di Paolina, in seguito alle percosse, mutilazioni, bruciature in quasi l’80% del corpo da parte dei sanguinari partigiani, impazzì e morì nell’ospedale di Mirandola.

Un altro caso conosciuto (sono assai di più quelli di cui non se ne sa niente…) è quello di Rosalia Paltrinieri, di Medolla. Ella aveva il “torto” di essere la segretaria del Fascio femminile locale, nel quale si era impegnata prodigandosi e mettendosi a disposizione di tutti i suoi concittadini.
Era convinta di non avere nulla da temere, perciò, nonostante nella zona si vociferava su quanto stessero combinando i partigiani, preferì rimanere al suo posto. Nonostante tutto, aveva fiducia nei propri simili… perchè aveva avuto la “sbadataggine” di considerare i partigiani appartenenti alla specie umana…

Ma pagò per la sua “colpa“: un gruppo di gappisti le invasero la casa, bastonarono a morte il marito così violentemente da fargli schizzare via il cervello dalla scatola cranica; poi la violentarono davanti ai suoi  tre bambini.
Alla fine, come da copione, le svaligiarono l’abitazione e la portarono con loro conducendola in un casolare in aperta campagna, dove nel frattempo era stata trascinata anche una certa Jolanda Pignatti.
Qui, le due sventurate ebbero modo di “espiare” ancora a lungo la “colpa” di essere fasciste (violenze d’ogni genere) finchè furono costrette a scavarsi la fossa.
Ma Rosalia Paltrinieri, la morte se la dovette proprio guadagnare: “non le fu fatta la grazia di un colpo alla nuca“. Venne legata e fatta stendere viva nella fossa che lei stessa aveva scavato; a questo punto i “coraggiosi partigiani patrioti” la ricoprirono accuratamente di terra.

Uno dei coraggiosi partecipanti a questa “eroica azione di guerra“, ebbe modo di vantarsene nei giorni successivi, insistendo compiaciuto e soddisfatto sul particolare che Rosalia Paltrinieri, mentre soffocava sotto le palate di terra che le venivano gettate addosso, invocava ancora i suoi bambini.

NOVARA
Nel campo sportivo sono rinchiusi un centinaio di appartenenti a formazioni militari fasciste operanti nel vercellese. Vengono in seguito condotti all’Ospedale psichiatrico; una notte, i “partigiani” di Moranino, li uccidono nei modi più barbari. Molti furono schiacciati sotto le ruote di pesanti automezzi, e tutti subirono atroci sevizie.

SANTUARIO DELLA GRAGLIA (BIELLA)
Un gruppo di Ufficiali, 23, più cinque donne ausiliarie e due mogli di Ufficiali, che erano stati catturati dopo un aspro combattimento a Cigliano e che si erano arresi poiché era stata loro promessa salva la vita, sono condotti ai piedi del Santuario di Graglia nei pressi di Biella e rinchiusi in uno stanzone dell’albergo Belvedere; a piccoli gruppi furono prelevati e condotti in luoghi diversi nei dintorni del Santuario. Furono trucidati in modo bestiale, compresa la moglie di uno degli ufficiali che attendeva un bambino; terminata la strage, gli assassini si divisero il bottino composto da tutto quello che avevano addosso le vittime.

ODERZO (TREVISO)
Centodiciassette allievi ufficiali del Collegio Brandolini, nonostante le promesse fatte da parte del CLN di mantenere salva la vita ai militi fascisti, sono tutti fucilati sul Ponte della Priula. Uno degli scampati ha raccontato che i suoi camerati furono legati alle mani con fili di ferro, seviziati, raccolti in gruppo presso l’argine del fiume e falciati con il fuoco delle armi automatiche.

SCHIO (VICENZA)
Cinquantacinque fascisti o presunti tali, detenuti nel carcere di Schio sono uccisi in una delle più bestiali esecuzioni di massa. In due stanzoni sono rinchiusi novanta prigionieri, dodici partigiani armati di fucili mitragliatori, sparano all’impazzata sul gruppo di uomini e donne che, in un caos immaginabilmente incredibile, cadono gli uni sugli altri in un impressionante lago di sangue. 55 di questi risultarono uccisi e 31 feriti gravemente.

REVINE LAGO (TREVISO)
Ventuno militari fascisti furono trucidati in quella località in una zona in prossimità delle fornaci.
 

RECOARO TERME (VICENZA)
Diciotto persone sono trucidate il 21 Maggio, ma molte altre in quei giorni persero la vita in quella località: si può citare la sorte toccata a due militi prelevati dai partigiani, condotti sulle rive del Brenta e bastonati a sangue; nella sabbia del fiume fu scavata una buca e i due furono interrati. Solo le loro teste affioravano dal suolo. E su quelle teste alcuni di quei criminali si esercitarono al tiro a segno tra schizzante ed insulti atroci. Le urla dei due disgraziati non ebbero altro effetto che quello di divertire i loro carnefici. Poi gli spasimi dei due, oramai moribondi, furono soffocati dalle palate di terra con le quali ricoprirono le loro teste. Poi il Brenta si ingrossò, rimosse la sabbia e restituì alla luce i due volti deformati. I cani randagi banchettarono quel giorno con i miseri resti, e brandelli di carne umana furono disseminati lungo la riva. Poi gli “eroi” ritornarono e cosparsero quello che rimaneva dei due cadaveri, con benzina e vi appiccarono fuoco.
MONDOVI’ (CUNEO)
Dodici alpini della Divisione Monterosa sono massacrati dopo essere stati tenuti per tre giorni completamente senza alimenti.

ROVETTA (BERGAMO)
Quarantacinque giovani appartenenti alle formazioni della Legione camicie nere “Tagliamento”, sono fucilati in questa località; la loro età oscillava tra i quindici anni del più giovane e ventidue anni il più vecchio.

S. MARTINO D’ALBARO (GENOVA)
Trenta persone imprigionate nelle scuole di quel centro, sono prelevate dai partigiani e portate in località sconosciuta: di loro non si avrà più nessuna notizia.

VADO (SAVONA)
Undici persone sono prelevate dalle carceri, fucilati e sepolti in una fossa comune. Uno dei disgraziati è stato sepolto ancora in vita.

ONEGLIA (IMPERIA)
Trentun fascisti vengono prelevati dal carcere di Oneglia; con le mani legate dietro la schiena da filo spinato vengono bestialmente percossi, poi condotti al cimitero e dopo averne mutilati diversi, tutti vengono trucidati e sepolti a fior di terra, accanto ai cadaveri di alcune donne prima stuprate e poi fucilate.

BAJARDO (IMPERIA)
In questa località è trucidata la famiglia Laura, composta di sette persone. La madre ed un figlio di undici anni furono trovati in aperta campagna sepolti sino al collo con il capo spaccato in due.

BORGHETTO VARA (LA SPEZIA)
Ventitré militi della GNR, oltre ad un ufficiale ed un maresciallo sono prelevati dai partigiani: bastonati a sangue, sono condotti a Costa Cavallara, dove saranno fucilati e fatti precipitare dentro una caverna

BOLOGNA
Davanti alle macerie dell’Ospedale Maggiore sono massacrati decine e decine di fascisti assieme a parecchie donne.

DECIMA DI PERSICETO (BOLOGNA)
Dodici cittadini di Decima, rinchiusi in una stanza del Dopolavoro locale sono torturati per vari giorni, poi una notte caricati su di un camion sono portati in località sconosciuta. I loro corpi non furono mai ritrovati.
Altre 8 persone, tra le quali due sorelle di sedici e diciotto anni furono uccise in questa località.

SALA BOLOGNESE (BOLOGNA)
Trentanove furono i trucidati fascisti in questo piccolissimo centro.

FERRARA
Strage nelle carceri ferraresi; diciassette fascisti sono barbaramente trucidati all’interno di una delle celle.

COMACCHIO (FERRARA)
Undici persone sono prelevate dalle carceri per essere interrogati presso la sede dell’ANPI (Ass. Naz. Partigiani), due sono bestialmente percossi poi tutti vengono condotti a morte.

REGGIO EMILIA
Venticinque fascisti vengono prelevati dalle carceri e su di un camion condotti verso Bagnolo in Piano, per un’uscita di strada del camion, tre riusciranno a fuggire, gli altri verranno tutti trucidati.

NOVELLARA (REGGIO EMILIA)
Il Dott. Barbieri, per pochi mesi segretario del locale fascio repubblicano, dopo essere stato violentemente percosso, veniva rinchiuso in una gabbia di legno ed esposto agli insulti della plebaglia. Dopo alcuni giorni di torture veniva finito a colpi di arma da fuoco.

IMOLA
Diciassette fascisti appartenenti alla Brigata Nera, provenienti da Verona, vengono trucidati in questa località

CODEVIGO
Ventisette fascisti ravennati vengono condotti in questa località e fucilati.

SUSEGANA (TREVISO)
Venti appartenenti alla Guardia Nazionale Repubblicana di questa zona vengono brutalmente trucidati.

VITTORIO VENETO
Nel “bus de la luna”, baratro profondissimo del Monte Cansiglio, centinaia di catturati della Repubblica Sociale Italiana, vengono precipitati dentro dai partigiani; in un sol giorno vengono “infoibati” sessanta alpini del battaglione di Conegliano Veneto.

MIANE (TREVISO)
In località Combai viene esumata una fossa con quaranta salme irriconoscibili; erano stati prelevati dai partigiani a Cernaglia della Battaglia.

SALESINO (PADOVA)
Sei fascisti vengono trucidati; tra loro il segretario comunale di quel paese: venne ucciso dentro una cassa irta di chiodi che gli si conficcarono nella carne straziandolo sino alla morte.

CHIOGGIA
Venti persone vengono prelevate dalle carceri, alcuni appartenevano alle BB.NN.; vennero portati alle foci del Brenta e trucidati.

PORDENONE
Undici fascisti vennero prelevati dalle carceri e poi fucilati.

ISTRIA E VENEZIA GIULIA
Migliaia e migliaia furono gli italiani “infoibati” dai comunisti italiani e titini. Il loro numero non è mai stato stabilito con esattezza.




Mentre i reparti militari si andavano smobilitando e i loro uomini erano catturati, tanti si arrendevano ai partigiani, anziché attendere le truppe anglo-americane, poiché questi giuravano e spergiuravano che avrebbero avuto salvata la vita e non avrebbero torto loro un capello.

Moltissimi reparti, anche numerosi, che avrebbero potuto almeno contrastare le forze delle bande partigiane con possibilità di sopravvivenza sino all’arrivo di truppe regolari, caddero, invece, nei tranelli delle promesse dei partigiani.
Le formazioni comuniste si dedicavano al lavoro che chiamavano di “ripulitura“. Nelle case, nelle strade vi fu una battuta di caccia senza precedenti, condotta con accanimento, determinazione e programmazione.

Basti pensare che nella sola città di Milano. nelle giornate di fine Aprile 1945, si rinvenivano giornalmente nelle strade, in media, oltre duecento morti, generalmente abbandonati senza documenti che ne potessero rendere possibile l’identificazione.

Vi erano in giro, come al tempo dei monatti di manzoniana memoria, appositi automezzi che caricavano i cadaveri e li trasportavano negli obitori, dove vi era in continuazione un lunghissimo pellegrinaggio di parenti che, a rischio della loro vita andavano alla ricerca dei congiunti.

Le donne che non furono uccise, furono costrette a subire oltraggi degni delle orde barbariche di Gengis Kan.
Tutta la ferocia, il livore, l’odio e lo spirito di vendetta esplosero in un modo irresponsabile, alimentato da uomini della sovversione rossa che agivano con disposizioni ben precise.

Un’intera classe dirigente e politica fu eliminata in un gigantesco genocidio.
Fu una cosa selvaggia, che non si può spiegare solamente come l’esplosione della rabbia e della vendetta del periodo della guerra civile, in quanto uccisioni, ritorsioni e rappresaglie furono compiute da entrambi gli schieramenti, ma è appunto spiegabile solamente come vera e propria programmazione delle centrali moscovite in quanto si doveva eliminare il maggior numero tra coloro che, con tutta certezza, si sarebbero opposti con tutte le loro forze alla penetrazione comunista che cercava di prolungare la guerra civile in un’illusoria speranza di conquista del potere assoluto.
Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti (Winston Churchill) https://storieriflessioni.blogspot.it/ il blog di Jan Quarius

Offline yamamax

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Re:Il Giornale : Esecuzioni , torture , stupri Le crudeltà dei partigiani .
« Risposta #3 il: Agosto 09, 2013, 14:56:09 pm »
Standarte con tutto il rispetto ( autentico ) per le tue competenze e conoscenze storiche vorrei chiederti ma di cosa vuoi convincerci ?
Qual è lo scopo, il senso di questa apologia verso il regime fascista ? Io non ho certo la tua cultura di questo periodo storico italiano, ma come logica penso che certe nefandezze si chiamino crimini di guerra accaduti sia dall’ una che dall’ altra parte, d’ altronde in certi periodi storici bellici non credo che si facciano sconti a nessuno, tanta è la rabbia e la sete di vendetta da tutte le parti. Quando si smette di dialogare e si imbracciano i fucili  queste cose che tu elenchi con minuziosità diventano all’ ordine del giorno, provo un vero ribrezzo per le cronache da te riportate ma nello stesso tempo sono purtroppo convinto che siano state precedute da altre dalla parte opposta. La casa in cui abito è stata occupata dalle truppe tedesche in ritirata e dai racconti dei miei nonni (cacciati a calci ) ridotta uno scempio. Ho buttato via io anni fa ancora una baionetta e il barilotto della maschera antigas lasciate qui !
Erano in mezzo ad una guerra voluta da pochi ma pagata da tanti come la storia ci insegna.

Offline Stendardo

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Re:Il Giornale : Esecuzioni , torture , stupri Le crudeltà dei partigiani .
« Risposta #4 il: Agosto 09, 2013, 15:12:00 pm »
Standarte con tutto il rispetto ( autentico ) per le tue competenze e conoscenze storiche vorrei chiederti ma di cosa vuoi convincerci ?
Qual è lo scopo, il senso di questa apologia verso il regime fascista ? Io non ho certo la tua cultura di questo periodo storico italiano, ma come logica penso che certe nefandezze si chiamino crimini di guerra accaduti sia dall’ una che dall’ altra parte, d’ altronde in certi periodi storici bellici non credo che si facciano sconti a nessuno, tanta è la rabbia e la sete di vendetta da tutte le parti. Quando si smette di dialogare e si imbracciano i fucili  queste cose che tu elenchi con minuziosità diventano all’ ordine del giorno, provo un vero ribrezzo per le cronache da te riportate ma nello stesso tempo sono purtroppo convinto che siano state precedute da altre dalla parte opposta. La casa in cui abito è stata occupata dalle truppe tedesche in ritirata e dai racconti dei miei nonni (cacciati a calci ) ridotta uno scempio. Ho buttato via io anni fa ancora una baionetta e il barilotto della maschera antigas lasciate qui !
Erano in mezzo ad una guerra voluta da pochi ma pagata da tanti come la storia ci insegna.

Appunto yamamax .
Io vorrei dire ai rossi quello che tu stai dicendo adesso .
Più volte in questo forum vnd ha incensato i partigiani ed io non sono mai intervenuto .
Perchè non volevo ferire le altrui sensibilità .
Poi però quando io ho aperto un thread apposito per commemorare l'altra parte loro non hanno esitato un attimo a lordare la loro memoria .
Io non voglio convicere nessuno voglio solo che si conosca la verità storica , dato che in nessun libro di storia , troverai quanto ti ho riportato .
Ps - Io non ho fatto alcuna apologia di fascismo perchè io non ho parlato proprio dell'ideologia fascista di cui condanno i suoi errori come le leggi razziali del 1938 o la soppressione della democrazia . 
pps - la Corte Costituzionale si soffermò invece a meglio definire la fattispecie dell'apologia di fascismo, segnalando che il reato si configura allorquando l'apologia non consista in una mera "difesa elogiativa", bensì in una «esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista», cioè in una «istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tal fine idoneo ed efficiente».
Oltretutto io non ho fatto l'elogio di alcuna idea fascista ho solo parlato di avvenimenti di guerra citando ogni volta le fonti .
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Offline fabriziopiludu

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Re:Il Giornale : Esecuzioni , torture , stupri Le crudeltà dei partigiani .
« Risposta #5 il: Agosto 13, 2013, 11:30:52 am »



 Qui, sul Forum QM, bisognerebbe andar sullo specifico, no rimanere sul generico.
 Sven Hassel parla delle Partigiane Russe e Italiane che davano le BOTTE.
 Dovevano essere trattate senza riguardo, visto le MANIE che avessero!


 

Offline vnd

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Re:Il Giornale : Esecuzioni , torture , stupri Le crudeltà dei partigiani .
« Risposta #6 il: Agosto 13, 2013, 20:07:55 pm »

Più volte in questo forum vnd ha incensato i partigiani ed io non sono mai intervenuto .

Poi però quando io ho aperto un thread apposito per commemorare l'altra parte loro non hanno esitato un attimo a lordare la loro memoria .

Oltretutto io non ho fatto l'elogio di alcuna idea fascista ho solo parlato di avvenimenti di guerra citando ogni volta le fonti .

1) Io avrei lodato chi?
Io ho difeso. Da te per l'esattezza.
Che non ti sei mai fattoscrupolo di offendere i ipartigiani. Il che equivale a sputare nel piatto dove mangi.
E' diverso.


2) Anche questo è falso.
Passando al nemico si sono lordati da soli.
Spergiuri.
Infatti hanno persino dovuto rigiurare!

3) Tu fai l'elogio dei fascisti.
Ma non puoi permetterti di parlare a nome del forum.
Vnd [nick collettivo].

Offline Mercimonio

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Re:Il Giornale : Esecuzioni , torture , stupri Le crudeltà dei partigiani .
« Risposta #7 il: Agosto 14, 2013, 03:48:10 am »
comunismo, fascismo, democrazia ... sono solo il metodo, lo scopo finale e' sempre lo stesso, tenere il popolino per le palle, illuderlo, indottrinarlo, manipolarlo, farlo sgobbare e fottergli i frutti del suo lavoro, e' una forma di schiavitu' cambiano solo i tempi e i modi.

i partigiani li hanno usati come utili idioti e manovalanza per poi dare il vero potere ai loro stessi nemici, questa e' la morale della storia.

gli angloamericani hanno promesso mari e monti e la plebaglia si e' bevuta tutte le loro promesse per ritrovarsi con l'Euro e col culo per terra come oggigiorno, gliel'hanno messo in culo lentamente con abbondanti dosi di vasellina ma tutto e' finito come ampiamente predetto gia' negli anni 30 e 40 purtroppo gli italioti se proprio non gli fai la cacca nel loro giardino non si svegliano manco a cannonante.

Offline Stendardo

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Re:Il Giornale : Esecuzioni , torture , stupri Le crudeltà dei partigiani .
« Risposta #8 il: Agosto 14, 2013, 08:13:11 am »
1) Io avrei lodato chi?
Io ho difeso. Da te per l'esattezza.
Che non ti sei mai fattoscrupolo di offendere i ipartigiani. Il che equivale a sputare nel piatto dove mangi.
E' diverso.


2) Anche questo è falso.
Passando al nemico si sono lordati da soli.
Spergiuri.
Infatti hanno persino dovuto rigiurare!

3) Tu fai l'elogio dei fascisti.
Ma non puoi permetterti di parlare a nome del forum.

1)Il forum è pieno di lodi che hai proferito hai partigiani , di video di canzoni partigiane tradotte anche in russo etc. ed io non sono mai intervenuto per rispetto all'altrui sensibilità , sei tu che sei intevenuto ad infangare la X° Flottiglia MAS , io non sono mai venuto da te ;

2)Io ho riportato i crimini compiuti dai partigiani . Che sono realmente e storicamente accaduti . Se a te dà fastidio che la gente venga a conoscenza dei crimini commessi dai partigiani io non posso farci nulla ;

3)Italia e Germania durante la seconda guerra mondiale hanno fatto parte dell'ASSE !
L'Italia non è passata al nemico . L'Italia la seconda guerra mondiale l'ha persa . L'Italia perchè nazione dell'Asse sconfitta non si è mai seduta al tavolo dei vincitori a differenza di Francia , Inghilterra , Stati Uniti d'America ed Unione Sovietica .
Ed infatti l'Italia essendo una nazione dell'Asse sconfitta ha dovuto fare delle concessioni territoriali alla Francia , alla Jugoslavia , ha perso Rodi ed il Dodecanneso e tutte le colonie .
L'Italia non è mai stata ammessa al tavolo delle potenze vinictrici proprio perchè faceva parte dell'Asse .
Dire che l'Italia è uscita vinictrice dal secondo conflitto mondiale è affermare una menzogna grande quando una casa ! 
Sei tu che capovolgi totalmente la storia !
Anche l'Italia di Badoglio non venne mai considerata dagli Alleati una nazione alleata ma una semplice cobelligerante .

3)IO CONDANNO MOLTI ERRORI IDEOLOGICI DEL FASCIMO SENZA SE E SENZA MA . Come lo devo scrivere ? . Questo però non significa non avere la possibilità di raccontare la verità sulla resistenza e sui partigiani .
Sei tu che giustifichi le torture , gli stupri , i saccheggi e tutti gli atti di sadismo nei confronti di civili che con il fascismo non avevano nulla a che fare !
Io ho parlato della X Flottiglia MAS il cui valore in battaglia è stato unanimamente riconosciuto anche dai nemici ed il cui comportamento complessivo in guerra fu corretto .
Inoltre io PARLO A TITOLO PERSONALE NON A NOME DEL FORUM !
Ed anche tu , comunque , non parli a nome del forum .
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Offline Stendardo

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Re:Il Giornale : Esecuzioni , torture , stupri Le crudeltà dei partigiani .
« Risposta #9 il: Agosto 14, 2013, 08:14:02 am »
comunismo, fascismo, democrazia ... sono solo il metodo, lo scopo finale e' sempre lo stesso, tenere il popolino per le palle, illuderlo, indottrinarlo, manipolarlo, farlo sgobbare e fottergli i frutti del suo lavoro, e' una forma di schiavitu' cambiano solo i tempi e i modi.

i partigiani li hanno usati come utili idioti e manovalanza per poi dare il vero potere ai loro stessi nemici, questa e' la morale della storia.

gli angloamericani hanno promesso mari e monti e la plebaglia si e' bevuta tutte le loro promesse per ritrovarsi con l'Euro e col culo per terra come oggigiorno, gliel'hanno messo in culo lentamente con abbondanti dosi di vasellina ma tutto e' finito come ampiamente predetto gia' negli anni 30 e 40 purtroppo gli italioti se proprio non gli fai la cacca nel loro giardino non si svegliano manco a cannonante.

Quoto al 100% .
Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti (Winston Churchill) https://storieriflessioni.blogspot.it/ il blog di Jan Quarius

Offline vnd

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Re:Il Giornale : Esecuzioni , torture , stupri Le crudeltà dei partigiani .
« Risposta #10 il: Agosto 14, 2013, 09:08:48 am »
1)Il forum è pieno di lodi che hai proferito hai partigiani , di video di canzoni partigiane tradotte anche in russo etc. ed io non sono mai intervenuto per rispetto all'altrui sensibilità , sei tu che sei intevenuto ad infangare la X° Flottiglia MAS , io non sono mai venuto da te ;

2)Io ho riportato i crimini compiuti dai partigiani . Che sono realmente e storicamente accaduti . Se a te dà fastidio che la gente venga a conoscenza dei crimini commessi dai partigiani io non posso farci nulla ;

3)Italia e Germania durante la seconda guerra mondiale hanno fatto parte dell'ASSE !
L'Italia non è passata al nemico . L'Italia la seconda guerra mondiale l'ha persa . L'Italia perchè nazione dell'Asse sconfitta non si è mai seduta al tavolo dei vincitori a differenza di Francia , Inghilterra , Stati Uniti d'America ed Unione Sovietica .
Ed infatti l'Italia essendo una nazione dell'Asse sconfitta ha dovuto fare delle concessioni territoriali alla Francia , alla Jugoslavia , ha perso Rodi ed il Dodecanneso e tutte le colonie .
L'Italia non è mai stata ammessa al tavolo delle potenze vinictrici proprio perchè faceva parte dell'Asse .
Dire che l'Italia è uscita vinictrice dal secondo conflitto mondiale è affermare una menzogna grande quando una casa ! 
Sei tu che capovolgi totalmente la storia !
Anche l'Italia di Badoglio non venne mai considerata dagli Alleati una nazione alleata ma una semplice cobelligerante .

3)IO CONDANNO MOLTI ERRORI IDEOLOGICI DEL FASCIMO SENZA SE E SENZA MA . Come lo devo scrivere ? . Questo però non significa non avere la possibilità di raccontare la verità sulla resistenza e sui partigiani .
Sei tu che giustifichi le torture , gli stupri , i saccheggi e tutti gli atti di sadismo nei confronti di civili che con il fascismo non avevano nulla a che fare !
Io ho parlato della X Flottiglia MAS il cui valore in battaglia è stato unanimamente riconosciuto anche dai nemici ed il cui comportamento complessivo in guerra fu corretto .
Inoltre io PARLO A TITOLO PERSONALE NON A NOME DEL FORUM !
Ed anche tu , comunque , non parli a nome del forum .

Perchè non dai qualche prova delle accuse che mi fai?
Io che scrivo in russo?
E' pazzesco!

Ovvio che mi infastidisca che un nostalgico fascista parli a sproposito dei crimini commessi da ex-partigiani o partigiani al di fuori del contesto della resistenza,
E' la classica storia della trave e della pagliuzza.
L'incoerenza e l'ipocrisia mi infastidiscono.

Sei una persona falsa e scorretta.
Tutti così i tuoi amici, immagino.
Vnd [nick collettivo].

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Re:Il Giornale : Esecuzioni , torture , stupri Le crudeltà dei partigiani .
« Risposta #11 il: Agosto 14, 2013, 09:19:57 am »
Perchè non dai qualche prova delle accuse che mi fai?
Io che scrivo in russo?
E' pazzesco!

Ovvio che mi infastidisca che un nostalgico fascista parli a sproposito dei crimini commessi da ex-partigiani o partigiani al di fuori del contesto della resistenza,
E' la classica storia della trave e della pagliuzza.
L'incoerenza e l'ipocrisia mi infastidiscono.

Sei una persona falsa e scorretta.
Tutti così i tuoi amici, immagino.

Fai il finto tonto ?

1)Era una canzone partigiana la cui traduzione fu fatta dal coro dell'Unione Sovietica ! Altri video li hai postati quando ci fu la polemica con fikasicula . Inoltre rompi in continuazione facendo riferimenti a destra e a manca sui partigiani .

2)I crimini di guerra ed i crimini contro l'umanità fatti dai vigliacchi partigiani assassini sono realmente accaduti , fattene una ragione .
I crimini furono commessi DAI PARTIGIANI PRIMA E DOPO LA GUERRA OVVERO PRIMA E DOPO LA RESISTENZA .
E' inutile che neghi l'evidenza .

3)Sei una persona meschina e codarda come del resto tutti i tuoi pari .
 
« Ultima modifica: Agosto 14, 2013, 12:27:34 pm da Vicus »
Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti (Winston Churchill) https://storieriflessioni.blogspot.it/ il blog di Jan Quarius

Offline Stendardo

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Re:Il Giornale : Esecuzioni , torture , stupri Le crudeltà dei partigiani .
« Risposta #12 il: Agosto 14, 2013, 09:21:27 am »
Altro episodio di torture feroci commesse dai partigiani della garibaldi DURANTE la guerra (2 Maggio 1944)  contro 1 carabiniere e 2 vigili urbani che col fascismo non c'entravano nulla .

Fonte : http://www.qelsi.it/2012/2-maggio-1944-un-atroce-eccidio-operato-dai-partigiani-di-cui-nessuno-parla/

Stilare un elenco dei crimini e degli eccidi commessi dai partigiani durante la Resistenza risulta impresa ai limiti dell’impossibile, soprattutto con il passare del tempo. Alcune nefandezze sono state insabbiate, altre dimenticate, altre ancora smentite. E sono talmente tante, solo quelle riconosciute e accertate, che persino elencarle diventa arduo. Ci ha provato Gianpaolo Pansa nel suo libro “Il sangue dei vinti”. Lui, che da uomo di sinistra si è sentito dare del “fascista” per aver osato denunciare i crimini dei partigiani.
 Per questo motivo, raccontare l’uccisione di tre servitori dello Stato, in un paesino di provincia, da parte di partigiani in piena guerra civile potrebbe sembrare quasi inutile. Eppure, il barbaro massacro costato la vita al carabiniere Florindo Di Mattia e ai due vigili urbani Emidio Creati e Florangelo Di Stefano il 2 maggio del 1944  può diventare un simbolo di quella che è stata la Resistenza.
 Per diversi motivi: i tre erano uomini in divisa “colpevoli” di fare soltanto il loro dovere; nessuno dei tre era riconducibile direttamente al regime fascista, né partecipava attivamente alla vita politica né era schierato apertamente con il Partito Fascista; l’orrendo massacro non solo è stato insabbiato e taciuto, ma ancora oggi nessuno lo vuole ricordare neppure nel paese in cui è avvenuto.
 Non ci sono lapidi commemorative, come nel caso dei “martiri partigiani della Resistenza”. Non esistono riferimenti in cronache passate né recenti, tanto che neppure il pur bravo Gianpaolo Pansa è venuto a conoscenza del fatto: sul suo libro non v’è traccia.
 Eppure questo “martirio dimenticato” rappresenta uno degli episodi più atroci della Resistenza, commesso dalla fazione “rossa” dei partigiani, meglio conosciuta come quella dei “partigiani garibaldini”.
 Ricorre oggi l’anniversario: il fattaccio è infatti avvenuto il 2 maggio 1944, nel paesino di Arsita, località del centro Italia in provincia di Teramo.
 Alle ore 17, i tre tutori dell’ordine, in divisa, vengono attirati davanti ad una casa di contadini. E’ stato denunciato un furto di legname, ma in realtà è una trappola. In quella casa non c’è stato alcun furto.
 I due vigili urbani e il carabiniere si recano sul posto per raccogliere le testimonianze, scortati da un drappello di soldati tedeschi. Finché la “scorta” rimane in loco, non accade nulla, ma appena  i tedeschi si allontanano scatta il massacro. I tre malcapitati, la cui unica colpa era quella di far rispettare l’ordine e la disciplina, vengono attirati in un boschetto nelle vicinanze: ad aspettarli c’è un gruppetto di partigiani nascosti.
 Il più fortunato dei tre è Emidio Creati, 56 anni, che muore d’infarto vedendo le sevizie e le torture che i “patrioti” stanno riservando ai molto più giovani compagni di sventura. Gli altri due, invece, patiscono atroci sofferenze prima di spirare: torturati, evirati, massacrati, orrendamente mutilati prima e dopo essere stati giustiziati con una pallottola in testa.
 Un eccidio inspiegabile, se non con il fatto che in quel momento i tre, in quanto uomini in divisa, potevano rappresentare in qualche modo il “regime”.
 Emidio Creati, padre di famiglia, lascia sei figli, di cui uno portatore di handicap e bisognoso di assistenza.
 Quello che stupisce ancora di più è il silenzio che si è creato intorno all’evento: omertà assoluta, in paese, nei giorni e negli anni a seguire. La sensazione è che ancora oggi qualcuno sappia, quel giorno abbia visto qualcosa o addirittura partecipato al massacro, ma non voglia parlare. Pochi sono ancora in vita, e forse il “segreto” smetterà di essere tale quando tutti i colpevoli saranno nella tomba.
 E forse, prima o poi, si deciderà di porre fine al silenzio omertoso e apporre una lapide commemorativa.
 Per ora, l’unica testimonianza documentata è rappresentata da un articolo di giornale, che riporta la data del giorno seguente, dal titolo “Cannibali”.
Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti (Winston Churchill) https://storieriflessioni.blogspot.it/ il blog di Jan Quarius

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Re:Il Giornale : Esecuzioni , torture , stupri Le crudeltà dei partigiani .
« Risposta #13 il: Agosto 15, 2013, 10:54:29 am »
Chiedo al moderatore di sezione di cancellare questo thread .
A volte durante la concitazione da ambedue le parti si dicono cose che a freddo non si penserebbero nè si direbbero mai , inoltre non mi va di ferire la sensibilità di altri qmmisti .
Grazie .
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Re:Il Giornale : Esecuzioni , torture , stupri Le crudeltà dei partigiani .
« Risposta #14 il: Agosto 15, 2013, 14:11:14 pm »
Fai il finto tonto ?

1)Era una canzone partigiana la cui traduzione fu fatta dal coro dell'Unione Sovietica ! Altri video li hai postati quando ci fu la polemica con fikasicula . Inoltre rompi in continuazione facendo riferimenti a destra e a manca sui partigiani .

2)I crimini di guerra ed i crimini contro l'umanità fatti dai vigliacchi partigiani assassini sono realmente accaduti , fattene una ragione .
I crimini furono commessi DAI PARTIGIANI PRIMA E DOPO LA GUERRA OVVERO PRIMA E DOPO LA RESISTENZA .
E' inutile che neghi l'evidenza .

3)Sei una persona meschina e codarda come del resto tutti i tuoi pari .
 

1) Non ricordo. Se è vero, avrò avuto sicuramente le mie buone ragioni.

2) crimini commessi prima o dopo la Resistenza, non possono essere considerati crimini partigiani, per definizione. Visto che era partigiano chi faceva capo al CLN. Sciolto il CLN, sciolti i partigiani. Quindi si tratta di crimini commessi di motu proprio da balordi che saranno diventati o sono stati partigiani ma, non da partigiani.
Durante la resistenza, possono essere considerati crimini partigiani soltanto quelli legati ad attività di resistenza (ad esempio si sarebbe potuto discutere dell'attentato di Via Rasella se non avesse avuto un obiettivo militare, armato, che marciava per Roma,  oltretutto,  contravvenendo alle regole della Roma città aperta, per di più composto da traditori italiani, e se un tribunale non avesse decretato che si trattò di regolare operazione di guerra.
Ma l'uccisione di un fascista al di fuori dal combattimento e senza regolare processoda parte di un tribunale di guerra non è un reato partigiano.

3) Codardo? E perché mai?
Vabbè... allora tu sei un pirla.


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