Fonte :
http://27esimaora.corriere.it/articolo/non-lasciare-sole-le-donne-i-passi-da-compiere-dopo-il-decreto/10
Le nuove norme e la necessità di finanziare centri di ascolto per le vittime e corsi di formazione per chi entra a contatto con la violenza
Non lasciare sole le donne. I passi da compiere dopo il decreto
di La Redazione
Tags: convezione di Istanbul, critiche, decreto, femminicidio
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Ora che il decreto legge contro la violenza di genere è stato approvato, si tratta di vedere come il governo metterà in pratica il piano di azione. Che nel decreto c’è. Molta enfasi e critica si è data al taglio punitivo, e la denuncia non ritrattabile resta ancora un elemento di discussione. Ma l’importanza del decreto è soprattutto culturale, simbolica. Quando abbiamo iniziato l’inchiesta tra giornaliste del Blog La 27esimaOra, nel 2012, il femminicidio era un neologismo poco noto e pochissimo usato, la violenza domestica un problema ai margini. Il governo ha riconosciuto che non è chiacchiericcio tra signore. Ma questione nazionale.
Va in questa direzione anche l’aggravante se la violenza è compiuta dal coniuge: smentisce il luogo comune che gli abusi vadano risolti in famiglia. Dalle testimonianze delle donne emerge il riflesso condizionato nelle forze dell’ordine (se non adeguatamente formate) a confinare il problema tra le mura domestiche: «Tornate a casa e fate pace». Sei donne su dieci vengono uccise dai partner dopo maltrattamenti ripetuti (Rapporto Eures 2013). «Non è accettabile che la superficialità o la sciatteria di qualche operatore giudiziario renda superfluo il meccanismo protettivo», dice Fabio Roia, giudice del Tribunale di Milano.
Ora l’articolo 5 del decreto legge promette di «garantire la formazione di tutte le professionalità che entrano in contatto con la violenza di genere e lo stalking» e di «potenziare le forme di assistenza e sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli». È un passaggio fondamentale, ma rischia di rimanere vuoto senza risorse adeguate. Gli interventi funzionano dove ci sono poliziotti, carabinieri, magistrati, medici e operatori formati a valutare il rischio e impegnati a fornire insieme alternative concrete alle donne maltrattate, che spesso sono sole. Anche dopo la denuncia. «Prima o poi ti scontri con la realtà, il giudice che chiama a testimoniare i vicini di casa e quelli presentano i certificati medici perché hanno paura di presentarsi. Senza considerare i tempi del tribunale, che impiega mesi per prendere una decisione sulla tua vita – dice Laura in Questo non è amore , il libro-inchiesta in cui è confluito il lavoro che ancora continua sul blog -. Quando finalmente arrivi in comunità, ti accorgi che lui è fuori in libertà e tu sei reclusa in una casa che non senti mai tua».
L’altro fronte spesso dimenticato è il lavoro con gli uomini. «La detenzione da sola non basta – spiega Francesca Garbarino, avvocata e criminologa che segue i maltrattanti nel carcere di Bollate -. Gli autori di questo tipo di violenze non riconoscono di aver compiuto un reato, si sentono vittime. Distorcono la realtà. Non possiamo abbandonarli a loro stessi, se si vuole evitare la recidiva». E se si vuole che questa non sia una lotta tra uomini e donne.
Il governo deve avere il coraggio di dire che, nonostante la crisi, ci saranno soldi contro la violenza domestica, i cui costi sociali sono alti. Li paghiamo tutti, li paga il Paese. I centri antiviolenza non possono funzionare con bandi di 6-9 mesi. Non si possono aprire sportelli, case rifugio, numeri verdi, senza la certezza di finanziamenti. Assistenza psicologica ma anche materiale (casa, un lavoro, protezione per le donne e i figli). È uno dei cardini – assieme all’educazione alla parità – della convenzione di Istanbul, che l’Italia ha ratificato. Quel documento nasce dalle esperienze di chi lavora sul campo, in tutto il mondo, contro la violenza. Insegna che dopo l’arrivo delle forze dell’ordine, dopo le denunce e gli arresti, non si possono lasciare sole le donne. Altrimenti a cosa serve liberarle dalle botte?