Il problema è l'integrazione (come coi cinesi). E, se fosse una cosa semplice, sarebbe già risolto. I multiKulturalisti con la Kappa fanno piangere, in effetti. Esasperanti, stupidi, ignoranti.LE NUOVE REGOLE PER L’IMMIGRAZIONEL'integrazione degli islamiciIn tempi brevi la Camera dovrà pronunciarsi sulla cittadinanza e quindi, anche, sull’«italianizzazione» di chi, bene o male, si è accasato in casa nostra. Il problema viene combattuto, di regola, a colpi di ingiurie, in chiave di «razzismo». Io dirò, più pacatamente, che chi non gradisce lo straniero che sente estraneo è uno «xenofobo», mentre chi lo gradisce è uno «xenofilo ». E che non c’è intrinsecamente niente di male in nessuna delle due reazioni.
Chi più avversa l’immigrazione è da sempre la Lega; ma a suo tempo, nel 2002, anche Fini firmò, con Bossi, una legge molto restrittiva. Ora, invece, Fini si è trasformato in un acceso sostenitore dell’italianizzazione rapida. Chissà perché. Fini è un tattico e il suo dire è «asciutto»: troppo asciutto per chi vorrebbe capire. Ma a parte questa giravolta, il fronte è da tempo lo stesso. Berlusconi appoggia Bossi (per esserne appoggiato in contraccambio nelle cose che lo interessano). Invece il fronte «accogliente» è costituito dalla Chiesa e dalla sinistra. La Chiesa deve essere, si sa, misericordiosa, mentre la xenofilia della sinistra è soltanto un «politicamente corretto» che finora è restato male approfondito e spiegato.
Due premesse. Primo, che la questione non è tra bianchi, neri e gialli, non è sul colore della pelle, ma invece sulla «integrabilità» dell’islamico. Secondo, che a fini pratici (il da fare ora e qui) non serve leggere il Corano ma imparare dall'esperienza. La domanda è allora se la storia ci racconti di casi, dal 630 d.C. in poi, di integrazione degli islamici, o comunque di una loro riuscita incorporazione etico-politica (nei valori del sistema politico), in società non islamiche. La risposta è sconfortante: no.
Il caso esemplare è l'India, dove le armate di Allah si affacciarono agli inizi del 1500, insediarono l’impero dei Moghul, e per due secoli dominarono l’intero Paese. Si avverta: gli indiani «indigeni» sono buddisti e quindi paciosi, pacifici; e la maggioranza è indù, e cioè politeista capace di accogliere nel suo pantheon di divinità persino un Maometto. Eppure quando gli inglesi abbandonarono l’India dovettero inventare il Pakistan, per evitare che cinque secoli di coesistenza in cagnesco finissero in un mare di sangue. Conosco, s’intende, anche altri casi e varianti: dalla Indonesia alla Turchia. Tutti casi che rivelano un ritorno a una maggiore islamizzazione, e non (come si sperava almeno per la Turchia) l’avvento di una popolazione musulmana che accetta lo Stato laico.
Veniamo all’Europa. Inghilterra e Francia si sono impegnate a fondo nel problema, eppure si ritrovano con una terza generazione di giovani islamici più infervorati e incattiviti che mai. Il fatto sorprende perché cinesi, giapponesi, indiani, si accasano senza problemi nell’Occidente pur mantenendo le loro rispettive identità culturali e religiose. Ma — ecco la differenza — l’Islam non è una religione domestica; è invece un invasivo monoteismo teocratico che dopo un lungo ristagno si è risvegliato e si sta vieppiù infiammando. Illudersi di integrarlo «italianizzandolo » è un rischio da giganteschi sprovveduti, un rischio da non rischiare.
Giovanni Sartori
20 dicembre 2009http://www.corriere.it/editoriali/09_dicembre_20/sartori_2eb47d0c-ed3e-11de-9ea5-00144f02aabc.shtml" Zerlenga spiega a Sartori il concetto di umma islamica e di soft jihad "dialogo fra Christian Rocca e Franco Zerlenga
Franco Zerlenga (Il Foglio)New York. Le pain quotidien, panetteria belga e mediterranea su Amsterdam Avenue, all’altezza dell’ottantaquattresima strada. Il pensatore newyorkese Franco Zerlenga, già professore di Storia dell’islam alla New York University, ordina una scodella grande di minestrone e un’insalata di frutta extra large. S’era preparato a discutere di tutt’altro, ma a tormentarlo c’è il dibattito aperto da Giovanni Sartori sul Corriere a proposito della difficile integrazione delle comunità musulmane nella società occidentale. “Ma quale integrazione? – chiede Zerlenga – I musulmani non emigrano, la loro emigrazione è come quella di Maometto, quando ha lasciato la Mecca ed è andato a conquistare Medina. E’ scritto nel Corano. L’immigrazione è la prima fase di un jihad di conquista, un soft jihad, che porta alla sottomissione”. In teoria Zerlenga dovrebbe difendere Sartori, perlomeno dagli attacchi dei suoi critici, ma sarebbe troppo banale, per un pensatore brillante e un profondo conoscitore dell’islam come il protagonista di “That’s it”. Al contrario, Zerlenga sbriciola le tesi del professorone del Corriere, pur avendo apprezzato il tentativo di fare un passo avanti. Dei critici di Sartori non si cura nemmeno, perché troppo ignoranti. “La mia tendenza – dice Zerlenga – è di consigliare Sartori di lasciar perdere, di non scrivere più sull’islam e dintorni, perché mi ricorda quei miei compagni di liceo impreparati che venivano interrogati e più rispondevano più dimostravano una profonda ignoranza”. Poi però parte con l’elenco. La prima cosa a infastidirlo è il concetto di “civiltà musulmana”, al centro del dibattito. “Mi volete dire – dice Zerlenga – in che cosa consiste la civiltà musulmana? In 14 secoli ha prodotto solo conquiste militari fatte seguire dall’imposizione ai popoli sottomessi della scelta tra conversione, morte e trasformazione dei popoli non musulmani in dhimmi, in esseri inferiori. Lo ha ricordato l’altro giorno anche il capo della chiesa greca-ortodossa Bartolomeo I, a ‘60 Minutes’: in Turchia siamo cittadini di seconda categoria, ha detto”. L’altro aspetto del ragionamento di Sartori che a Zerlenga non va giù è quello su quale sia il vero islam. “E’ una domanda che i musulmani non si pongono, perché l’islam non è un concetto astratto o filosofico. Tutti i musulmani credono ai cinque o sei pilastri fondamentali dell’islam. Non esiste un islam fondamentalista, ci sono solo diverse sette con diversi nomi”. Il terzo punto è quello della “fede islamica”, come se l’esperienza del fedele musulmano fosse simile a quella di chi ha il dono della fede cattolica o buddista. Zerlengal’islam è un modo di essere, non una fede che si può avere e poi anche perdere. Chi perde la fede, chi lascia l’islam, merita la pena capitale secondo il Corano”. Il pensatore newyorchese, concittadino di Sartori, sostiene che al professore del Corriere sfugga completamente il concetto di umma, la comunità musulmana, che è alla base dell’islam: “La cittadinanza è un concetto occidentale, così come l’idea degli stati nazione. A seconda dei casi sia l’uno sia l’altro sono irrilevanti per i musulmani”. Zerlenga critica anche tutto “l’arzigogolare di Sartori su pluralismo, multiculturalismo, diversità”, perché secondo lui sono vecchie categorie della Guerra fredda: “Con la caduta del Muro di Berlino e la scomparsa dell’Unione sovietica, che per 70 anni ha fatto da muro divisiorio tra il mondo musulmano e il mondo democratico, è ritornato lo scontro tra civiltà democratica e islam”. spiega che “non esiste una fede islamica,
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=8&sez=120&id=32794&print=previewE comunque, Piombini dice che il femminismo ha "spianato la strada" all' Islam (perché castrando i maschi occidentali, rimangono quegli altri: mica perché alle femministe ci piace er caxxo magrebino!!!!! ).