“Non violentate Jennifer” (Day of the Woman/aka I Spit On Your Grave) (Usa 1978/Ried.1983) di Meir Zarchi, è diventato oramai improbo, da recensire. Film considerato da molti ancora oggi e nonostante lo status di culto estremo che lo ammanta, nient’altro che “totale spazzatura” (impagabile sarebbe ancora oggi ripubblicare qui la recensione dell’epoca del famoso Roger Ebert sul Chicago Sun-Times, secondo il quale si trattava “del film più disgustoso e moralmente riprovevole a cui si potesse mai aver dovuto avere la disgrazia di assistere, realizzato da persone moralmente ancor più senza principi del film stesso.”, che splendido e imbattibile veicolo di pubblicità!), senza “rivalutazioni” particolari da potervi sopra operare, o qualità di “redenzione” possibile dell’opera e dei suoi intenti puramente “exploitativi”.
Eppure, se allora , “Non violentate Jennifer” è spazzatura, quanto è eccitante rotolarsi nei suoi oleozzanti miasmi.
Film di certo sgradevolissimo alla visione, “I Spit on your Grave” ("Io Sputerò sulla tua tomba" che è lo stupendo titolo della sua prima edizione, quella senza successo, nel 1978), fu ideato e realizzato per cercare di raggranellare qualche dollaro soprattutto nei circuiti cinematografici legati ai campus universitari, ma appena uscito il movimento femminista lo volle praticamente mandare al rogo e da ciò ne scaturì una polemica infinita tale, che lo aiutò e gli fece guadagnare non di poco la pubblicità che cercava. I cinema in cui veniva proiettato erano picchettati, e interi saggi incominciarono ad essere scritti su di esso.
Una volta che il film veniva poi realmente visto dalla gente, tutto ciò che si era sentito di male riguardo a esso manteneva intatta la sua importanza, in quanto era davvero un film che da solo è in grado di ottenere dalle persone tutto il loro disagio e la loro repulsione.
Ed è anche comprensibile in quanto la trama di “I Spit On Your Grave” è la seguente: una giovane e molto attraente donna di città (Camille Keaton, che lavorò anche in alcuni film in Italia come “Cosa avete fatto a Solange?” (’72) di Massimo Dallamano, algidamente bellissima, il suo famoso servizio full nude per Playmen dell’aprile ’74 è strepitosamente da “sturbo”) va in campagna in una casa di legno sperduta nella foresta, in quanto scrittrice è là in cerca soltanto di pace tranquillità e isolamento per poter scrivere il suo nuovo romanzo. Purtroppo si imbatte letteralmente nella conoscenza di un gruppo di ragazzi “redneck” del posto, che si ritrovano sempre insieme e definire idioti e turpi è solo un mero eufemismo. Il gruppo è composto dal solito viscidissimo, da un’altro “loser”, e da uno proprio mentalmente ritardato a cui gli altri non dimostrano mai pietà, ma che anzi deridono continuamente. In breve, dopo poco dall’inizio del film, la ragazza viene catturata e trascinata nel bosco, dove ha inizio una vera e propria gang-bang di stupro continuato, reiterato, lunghissimo,sadico e violentissimo in tutti i modi in cui vi può venire in mente possa essere commesso. Animalesco, senza alcun rimasuglio di umana pietà, reso lividissimo e alquanto lugubre da un’evidente e nemmeno tanto “coperto” senso di gravido e represso da anni e anni, odio misogino.
Comprese in questi ben quaranta minuti di film, sono ovviamente le più viscide degradazioni e umiliazioni della persona, fisicamente e psicologicamente. Selvagge botte e sevizie a completarne il ludibrio. Secondo voi tutto ciò può essere semplicemente disgustoso? E in effetti lo è.
Ma questa appunto è solo la metà, del film. La donna sopravvive miracolosamente dall’essere anche finita, e abbastanza rapidamente inizia a pianificare una ferocissima, infernale vendetta.
Il resto del film è questo: da spettatori “comodamente seduti” poter assistere e ammirati, guardare, alcuni dei più raccapriccianti modi mai concepiti e visti su uno schermo, per ottenere la meritata punizione dei quattro ceffi e ovviamente, una loro morte nella più variegata sofferenza e violenza possibile.
Sembra terribile..? Lo è.
Il film di Zarchi –che in pratica ha fatto solo un altro film oltre questo, con il quale vive di rendita da oltre trent’anni- è interessante e molto,-lo sempre stato-, per svariati motivi. Il primo che viene in mente e che va enumerato sono le scene terribili dello stupro –forse ancora oggi il più lungo visto al cinema- come detto è metà film-, violente e malate da aver portato negli anni sempre molti spettatori alla necessità di voltare lo sguardo (e quasi più gli uomini che le donne).
Secondo: dopo il film di Zarchi è diventato più difficile, anche per un film più di orrore “puro”, andare a trovare qualcosa di più dettagliatamente terrificante come è nelle scene di stupro o della morte orribile dei quattro uomini. Essi vengono ripagati con una giustizia fatta di una violenza uguale al loro stesso modo di essere e di comportamento, nei confronti della vittima ferita e orribilmente seviziata, Jennifer.
E si suppone che quasi tutti si sia contenti che muoiano. Molto bella è però, ad esempio, la scena in cui uno di loro viene da lei castrato con un coltello da cucina nella vasca da bagno, e per coprire le urla mentre sta morendo dissanguato con l’acqua che ribolle di rosso dopo aver chiuso la porta del bagno la ragazza scende al piano inferiore della casa per mettere su un disco della “Manon Lescaùt” pucciniana a coprirne le urla. Bizzarro e strano tocco di consapevole classe, che ancora di più rende arduo l'inserimento di questo film in una categoria precisa, più o meno necessariamente horror…
Terzo: alla fine è invece addirittura un film “femminista” o no? La trama base del film suona piuttosto così, come la semplice e classica dicotomia del “Rape & Revenge”, la struttura “femminista” stupro-vendetta, ma Zarchi riesce a mantenersi molto più ambiguo e scorretto e a non scadere mai nella prevedibile noiosità di questo assunto. Gli spettatori alla fine assistono ad oltre trenta minuti di laida violenza nei confronti di questa donna, ma la sua vendetta non è altrettanto precisata e dettagliata dalla regia del film. Uno solo degli uomini uccisi ci viene mostrato in una lunga, straziante morte. Il castrato nella vasca da bagno sappiamo che muore perché viene lasciato chiuso nella stanza, ascoltiamo le sue grida poi affievolirsi fino a non sentirle più, e sappiamo per questo che è morto, ma non lo abbiamo visto morire effettivamente. Mentre si vede tutto e lunghissimamente, nella prima metà del film, ciè ciò che viene fatto alla protagonista, anche e soprattutto come donna. E sarebbe fino alla morte se come detto, non la scampasse moolto fortunosamente.
Molte donne –praticamente tutte- lo so, direi una bugia se non lo sapessi, le poche che lo conoscano o lo abbiano visto, e tutte quelle che avrebbero il coraggio che non possono avere checchè lo dicano di vederlo davvero, direbbero che è un film che fa veramente schifo, e da odio o da terapia per quegli uomini che lo trovano interessante o peggio, molto “divertente” e “meritorio”.
Appunto, già solo per questo, ve lo ribadisco come un film mooolto “interessante”, e comunque e detto per inciso, alcune sequenze su i modi e strumenti di vendetta di Jennifer, sono bellissime, dinamiche, di gran classe, altro che grezze, e girate benissimo.
La cicatrice visualizzata sul lato sinistro del volto di Jennifer/Camille Keaton nelle scene post-traumatiche dello stupro, è reale, e fu il risultato di un incidente automobilistico giovanile dell’attrice. In queste scene, la cicatrice è stata esagerata con il make-up, mentre all’inizio e alla fine del film, si è nascosta sotto un sottile strato di fondotinta.
Spesso nominato dal famoso critico cinematografico Roger Ebert, come ADDIRITTURA “il peggior film mai realizzato”.
Il film è stato passato uncut in Australia solo fino a dicembre del 1997. E’ stato poi bandito di nuovo dal dicembre 1997 al giugno 2004, prima edizione aussie in dvd.
Meir Zarchi ha dichiarato di preferire il titolo “Day of the Woman”.
Meir Zarchi ha sempre detto di essersi ispirato per fare il film dopo aver aiutato una giovane donna che era stata violentata a New York. Egli raccontò di come con un suo amico e sua figlia stavano in un parco quando videro una ragazza strisciare fuori dai cespugli insanguinata e nuda (in seguito avrebbe scoperto che la ragazza stava per prendere una comune scorciatoia per incontrare il suo ragazzo, quando venne attaccata e stuprata). Presa la ragazza sull’auto, portò sua figlia a casa, e decidendo con l’amico se portarla all’ospedale o alla polizia, la portarono infine alla polizia. Subito dopo scoprirono che fu un errore –in quanto l’ufficiale di polizia, che Zarchi ha descritto come “non adatto a indossare la divisa”, volle farla portare in ritardo in ospedale, insistendo in domande sui suoi assalitori anche se la ragazza aveva la mascella spezzata e non poteva parlare. Infine, Zarchi insistendo con l’ufficiale, fece sì che la ragazza venisse subito portata in ospedale. Zarchi ha anche detto che poco tempo dopo il padre della ragazza gli scrisse una lettera di ringraziamento per l’aiuto dato a sua figlia, e voleva dargli anche una ricompensa, che egli rifiutò.
Nel dvd della Special Edition U.K., vi è un’”easter egg” nascosto nella terza pagina dei contenuti speciali, andare al menu “principale” poi linkare sulla sinistra, e si può evidenziare il coltello che tiene in mano Jennifer nella famosa immagine del manifesto del film. L’”uovo di Pasqua” rivela una selezione di fotografie di scena del film.
Quando questo film ebbe la sua prima uscita nel 1978, il titolo originale era “Day of the Woman” ma fu mal ricevuto al box office. Nel 1981 il distributore Jerry Gross lo ribattezzò “I Spit On Your Grave” –come già un famoso film drammatico francese del 1959- per una re-release.
Sotto questo nuovo titolo il film ricevette maggiore pubblicità e divenne un obiettivo chiave della scellerata campagna dei suddetti famosi critici Roger Ebert e Gene Siskel, contro i film “minacciosi e offensivi per le donne”.
Il film non ha colonna sonora, se non un frammento intradiegetico da un disco della “Manòn Lescaùt” pucciniana per una scena divenuta per questo famosa. Il regista Meir Zarchi aveva l’idea di aggiungere qualche brano musicale dalle library per il suo film, ma non ne trovò a detta sua di adatti, quindi l’unica musica che possiamo ascoltare nel film viene oltre che da Puccini, dalla musica di sottofondo in un negozio e pochi riffi in lontananza dall’armonica del personaggio di Johnny.
La tagline di un poster originale americano diceva erroneamente: ”Questa donna ha appena tagliato, mutilato, massacrato e bruciato cinque uomini al di là del loro riconoscimento.” Gli uomini che lei uccide e solo per vendicarsi sono soltanto quattro, e nessuno di essi viene bruciato. Nel recente e anche bel remake “I Spit On Your Grave: Unrated”(2010) di Steven R. Monroe di cui vi parlerò prossimamente come del recentissimo "sequel" sempre diretto da Monroe e anch'esso notevole, è aggiunto agli stupratori un quinto uomo.
TorsoloMarioVanni