Si è molto parlato della ''caccia alle streghe'',specialmente in ambito femminista,additando come colpevoli di volta in volta,il maschilismo,o la chiesa.
Secondo questa teoria le streghe sarebbero le depositarie di un'antica sapienza femminile e di una religione pagana,combattuta dalla chiesa cattolica in quanto potenziali ''concorrenti'' della religione ufficiale.
In realtà non sono state mai trovate prove a rinforzo di ciò.
Anche sbagliato è il luogo comune che associa la caccia alle streghe al medioevo,in realtà fu un fenomeno quasi completamente ascrivibile alla modernità,specialmente al 1600.
E anche bene ricordare che circa un terzo dei condannati per stregoneria,erano uomini,dunque,non fu soltanto ''una persecuzione contro le donne''.
Questo articolo avanza l'ipotesi che alla radice del fenomeno della caccia alle streghe ci sia qualcos'altro,uno dei radicali problemi della modernità:i mass media.
La caccia alle streghe infatti è coeva di Gutenberg,e l'attività dei primi giornali sembra coincidere con l'insorgenza del fenomeno.
L'articolo poi paragona la lotta alla pedofilia con la caccia alle streghe,nulla di più vero...
Noi sappiamo bene che l'80% degli stupri è falso...
Le streghe dei nuovi tempi siamo...
noi.
Utile promemoria per cacce alle streghe venture
Maurizio Blondet
19/01/2006
Per radio qualche tempo fa (ero in auto) ho ascoltato la seguente notizia: una bambina di dodici anni ha riferito di aver ricevuto offerte pedofile, e offerte di materiale pornografico via internet.
Qualità giornalistica bassa, tipica dei giornali RAI: pochi dubbi, molto allarmismo moralistico, particolari imprecisi.
Par di capire che la bambina esplorasse quel genere di siti; ne ha fatto denuncia ad un sacerdote siciliano, che ha creato una specie di osservatorio contro la pedofilia in rete.
Intervista al sacerdote.
Un pericolo invisibile minaccia i nostri bambini.
Questo mi ricorda qualcosa.
Qualcosa di antico (non poi tanto) che ho letto.
Che cosa?
Ecco: Svezia 1664 (1).
Ad Alvdalen, un bambino di cinque anni accusa i genitori di averlo condotto ad un sabba notturno a Blakulla, tradizionale raduno di streghe.
Altri bambini cominciano a fare racconti simili, con particolari osceni e raccapriccianti; diventano decine, poi centinaia.
Fanno i nomi di persone del vicinato presenti ai consessi diabolici.
L'allarme popolare esige misure eccezionali; nel 1668, un tribunale locale adotta la tortura contro diversi adulti accusati dai piccini, che ovviamente confessano. Diciotto donne sono condannate a morte.
Poi, l'incubo dilaga; nel 1675 i piccoli innocenti additano come streghe insospettabili dame della stessa Stoccolma.
La tortura diventa corrente, puntualmente seguita da confessioni; si cercano sui corpi degli accusati i «segni del Diavolo», nei, anomalie, punti insensibili, specie nelle parti vergognose, che sigillano il patto con Satana - e ovviamente, si trovano.
Anni dopo, i bambini accusatori cominceranno ad ammettere di essersi inventato tutto, incoraggiati da dolci e cibo offerti loro dai giudici e dalla gente per invitarli a «rivelare i nomi».
Ma sono già state eseguite, per decapitazione seguita da abbruciamento, almeno trecento condanne.
Già questo dovrebbe dirci qualcosa d'istruttivo.
Uno dei maggiori successi della propaganda anticristiana è d'aver associato, nella torbida coscienza collettiva contemporanea, i roghi e le streghe con il Medio Evo, l'Inquisizione e la Chiesa.
Ma il Medio Evo fu esente dalla psicosi stregonesca.
Dante ignora tutto della demonologia del sabba e dei suoi presunti eventi-chiave, la copula con Belzebù, il bacio al suo deretano, il patto stretto con lui per nuocere, il cannibalismo di bambini.
Papa Nicola I aveva vietato la tortura nell'866, in età carolingia, e - se il divieto non fu sempre osservato - il Medio Evo torturò poco.
Di fatto, il terrore delle streghe appare con il tramonto dell'età medievale (1480, poco prima che fosse pubblicato il «Malleus Maleficarum») (2); e il parossismo della persecuzione di massa, con migliaia di torture e roghi, si iscrive pressappoco - fatto altamente simbolico - nell'arco della vita di Renato Cartesio (1596-1650) il filosofo del razionalismo, per prolungarsi ben oltre la morte di Spinoza (1670).
Nel 1697 Amburgo bruciava ancora le sue streghe, nel 1740 Wurzburg emette ancora una condanna a morte per «maleficium».
La caccia alle streghe si situa dunque in quella che si chiama l'Età Moderna.
E non fu un misfatto «cattolico» ma essenzialmente nordico e continentale.
Sarebbe ingiusto dirlo «tedesco», perché quell'area germanica che accese più numerosi i roghi fu la stessa in cui la Riforma e controriforma si affrontavano negli stessi villaggi e famiglie: le terre del «cuius regio eius religio», percorse da pesti ricorrenti, da guerre inestricabili (dei Trent'Anni, dei Cent'Anni), da rivolte contadine; dove lo sgretolamento dell'universalità imperiale lasciò il pulviscolo degli staterelli, embricazione inestricabile di ordini giuridici, instabilità politica.
Non bastasse, quella porzione d'Europa fu colpita allora da geli climatici inauditi (3).
Una terra vasta, a Nord delle Alpi, che comprendeva anche la Lotaringia francese (Borgogna e Lorena), le valli dei valdesi, i Paesi Bassi, e più tardi la Scandinavia luterana.
Mente circola la vulgata secondo cui l'Inghilterra, non avendo conosciuto l'Inquisizione, non conobbe i roghi di streghe: lo scopritore di streghe («witchfinder») divenne una professione lucrosa, gestita da privati (dovremo vedere qui l'antenato
del bounty killer americano? O già la Britannia si lasciava condurre dalla «mano invisibile del mercato» che fu così cara ad Adam Smith?).
Basterà citare quel Matthew Hopkins, puritano di ferro e protetto di Cromwell, che nel 1640 percorse i villaggi dell'Essex, invitatovi dalla popolazione per interrogare le sciagurate che la voce del paese sospettava di arti nere.
Le interrogava in proprio, fuori da ogni regola processuale: le sospette erano interrogate in stato di nudità (il KGB farà suo questo metodo), e talora gettate in un fiume.
I risultati erano eccellenti; Hopkins otteneva confessioni che confermavano i sospetti popolari e sbloccavano così le incresciose situazioni dove la mancanza d'indizi impediva di trascinare le malfattrici davanti a veri tribunali.
A Ginevra Calvino, con gelida inflessibilità biblica, manda al rogo a dozzine donne che crede diffondano la peste coi loro malefici.
Lutero teorizzava nei suoi «Discorsi a tavola», con flemma: «è giusta legge uccidere le maghe, ché sono causa di molti danni, ciò che talora si ignora; possono rubare il latte, il burro e tutto da una casa…Possono stregare un bambino sì che grida tutto il tempo, non mangia più, non dorme più. Possono provocare anche malattie misteriose nel ginocchio umano, talché il corpo si consuma. Ne ho visto qualcuna, di quelle donne. Bisogna ammazzarle tutte».
Del resto Lutero non solo credeva al demonio: l'aveva visto sotto la forma di un gran cane nero che lo seguiva (Faust avrà la stessa esperienza).
Nel sud della Germania, ondate di esecuzioni furono ordinate dai principi-vescovi: ecclesiastici assillati da compiti politici e d'ordine pubblico, portatori di un cattolicesimo da Controriforma che voleva emulare il rigorismo luterano, sordi ai numerosi appelli di Roma (4).
Non c'era l'Inquisizione, nei loro principati.
Dove l'Inquisizione restò forte - Spagna, Portogallo e Italia (con sporadiche eccezioni nella Lombardia dei due cardinali Borromeo e nel Friuli, permeabili agli «etats d'esprit» ossessivo che colavano dal Nord) - la caccia alle streghe fu energicamente spenta, vietata la tortura, rarissimi i roghi.
Tra il 1608 e il 1614 una fiammata s'alzò dai Paesi Baschi (area marginale, montanara, abitata da gente che coltiva ossessioni, oggi terroristiche): trecento persone si accusarono a vicenda di stregoneria.
Dalla parte francese dei Pirenei la psicosi dilagò e si concluse con dozzine di roghi. Invece, da Madrid, «La Suprema» inviò sul posto l'inquisitore don Alonso de Salazar y Frias.
Il «modus operandi» di questo giurista gesuita rivela bene la scrupolosità dell'Inquisizione.
Confrontò le «confessioni» rese dai presunti partecipanti ai sabba, e vide che non combaciavano.
Fece esaminare da ostetriche le decine di ragazze che si accusavano di aver avuto rapporti carnali con Satana: risultarono ancora vergini.
Don Alonso assolse e rilasciò tutte, e rimproverò aspramente i giudici locali per aver condotto gli interrogatori nel disprezzo di ogni regola procedurale.
Di fatto, la persecuzione fu atroce specie dove i processi per stregoneria furono «sottratti» all'Inquisizione.
Aggravò il male una mutazione della procedura penale.
Nel Medio Evo, il sistema prevalente era «accusatorio»: il giudice agiva solo su querela, e allora convocava le parti, rispetto alle quali si manteneva terzo. L'Inquisizione adottò il sistema appunto inquisitorio; com'è ovvio per un tribunale inteso a scovare eresie, il giudice promuoveva e conduceva l'indagine.
Ciò aumentava il potere e l'efficacia dell'inquirente; perciò i tribunali laici e provinciali imitarono entusiasticamente il metodo dell'Inquisizione senza avere i mezzi - anzitutto intellettuali - dell'Inquisizione.
Gli esiti non dovrebbero essere ignoti a noi italiani che abbiamo conosciuto Tangentopoli: indagini promosse per acquisire popolarità, arresti preventivi basati su voci, abuso della tortura, enorme pubblicità data alle «confessioni» estorte (l'Inquisizione agiva con estrema discrezione), arbitrii procedurali; uso smodato di «pentiti» per allargare l'indagine (chi confessava sotto tortura veniva richiesto di accusare altri), intuizioni inquisitorie fondate sul «non poteva non sapere».
E in migliaia di casi la condanna a morte fu eseguita alla svelta, prima che l'Inquisizione o i Tribunali delle capitali (in Francia ad esempio) o imperiali (in Austria) (5) potessero avocare la causa con appello.
Per questa vergogna d'Europa (nell'area islamica non ci fu mai caccia alle streghe) un'altra causa «moderna» non sarà mai abbastanza sopravvalutata: la diffusione della stampa, la grande novità di allora, come oggi è internet.
Fogli volanti rozzamente impressi, chiamati in Francia «canards» e nell'area germanica «Zeitung», che si diffondono prodigiosamente proprio tra il 1580 e il 1630, informano il popolino delle sensazionali confessioni delle streghe dei villaggi lontani e vicini: con preferenza per i particolari macabri, orgiastici, ripugnanti.
E' la prima forma di stampa a sensazione dedicata alle classi subalterne.
A cui si deve ricorrere per spiegare come mai, sotto tortura ma non di rado spontaneamente, tanti accusati di sabba confessino gli stessi dettagli: la piccola gente delle campagne, quando cade a sua volta nelle grinfie degli inquirenti, ripete quel che ha letto o ascoltato avidamente dai «canard», su cui ha formato la sua nuova «cultura».
Dal canto loro, quei magistrati provinciali e laici appartengono a un tipo umano che il Medo Evo per sua fortuna ignorò, che nasce proprio nell'Era Moderna e che oggi dilaga nelle redazioni e nei tribunali: il borghese di mezza-cultura, che crede di sapere perché ha letto qualcosa.
I giudici delle streghe sono appassionati lettori dei libri concepiti da demonologhi non teologi, ma giudiziari.
Non solo il «Malleus», che ha decine di edizioni in due secoli, ma testi più «aggiornati»: «Demonolatria Libri Tres» di Nicolas Rémy (1595), il «Tractatus de confessionibus maleficorum et sagarum» di Petrus Binfeld (1589), le «Disquisitionum Magicarum» di Martin Del Rio (1599).
Tutti questi libri caricano le tinte: la vecchia magia delle campagne (formule di malocchio o d'amore, veleni per far morire la vacca del vicino, ricette d'erbe per abortire o per curare il mal di denti) viene da essi riletta come commercio con Satana (6).
A dare origine a questa casta di «esperti» è Jean Bodin, con la sua «Demonolatriedes sorciers» (1580).
Laico moderno è lo stesso Bodin, giurista, che nel 1576 scrive il pregevole trattato «Six Livres de la Rèpublique», testo capitale dell'assolutismo illuminato, che fonda il concetto di sovranità e con ciò lo «jus publicum aeuropeaum» (Carl Schmitt lo citerà con rispetto).
La demonologia è per lui un «hobby» che lo appassiona da quando, giudice minore a Laon, ha dovuto seguire il caso di una posseduta.
La sua «Demonolatria» si basa su quest'esperienza personale limitatissima, ma arricchita da lettura e compilazioni da altri testi; e Bodin è il primo a sancire chel'«auspicio» basta a giustificare l'arresto (nei nostri tempi, è stata questione di «par condicio»: il latino della bassa modernità non è migliorato).
Le prove, si cercheranno.
Come, lo sappiamo bene.
Ci restano i questionari standardizzati con cui i magistrati interrogavano le loro streghe.
Domande come: «in quale forma Satana è apparso all'accusata? Quante volte il Diavolo ha copulato con essa? Gli infanti divorati nel pasto sabbatico erano arrostiti o bolliti? Che gusto avevano?».
Domande che non miravano ad acquisire dati di fatto, ma a trovar conferma di ciò che i magistrati avevano già letto nei testi di demonologia: anche nella nostra regione le streghe usano baciare «l'anus Diaboli»? (ai nostri tempi: c'è stato o no il bacio a Totò Riina?).
Domande che dettano la risposta.
Non difficile da ottenere, con qualche giro di ruota, qualche buona «estrapade».
Del resto, spesso bastava al boia «mostrare gl'istromenti» allo sventurato.
Sulla qualità di quella cultura di carta, bisogna lasciare la parola a Guy Bechtel: «contrariamente all'idea che si è imposta nei Lumi, della stampa come invenzione liberatrice e promotrice di progresso, i primi libri, i preziosi incunaboli, hanno avuto un influsso negativo. Migliaia di opere che ci guardiamo bene dal ripubblicare, dal leggere in biblioteca e persino dal citare (citiamo solo quella dozzina di testi che davvero annunciavano il mondo futuro) contenevano soprattutto appelli all'odio, al pregiudizio, alla detestazione politica e religiosa, più che all'amore» e alla conoscenza.
La macchina da stampa di Gutenberg diffuse dapprima libelli, confermò odii e pregiudizi, diede credibilità ad incubi e ossessioni, prima di diventare lo strumento della cultura e della verità - se mai lo è stata.
Non è lo stesso oggi su internet?
Perciò non escluderei che quel vecchio lupo non riprenda a percorrere l'Europa.
Da qualche tempo mi pare di scorgere qua e là ciuffi del suo pelo, che come è noto perde più facilmente del vizio.
Ci assediano - nelle redazioni TV e nei tribunali - le mezze culture, con le loro malcotte certezze, la loro moralità «politicamente corretta», fumosa ma rigida.
L'Era Moderna fu l'agonia dell'ecumene del Sacro Romano Impero in staterelli nazionali, con sgretolamento di autorità e decentramenti quasi mai nitidi; fu lo spezzarsi della universalità cristiana in polarità settarie, in esagerati rigorismi opposti; fu un'epoca di angosce identitarie, di spostamenti di popolazioni e immigrazioni forzate, nonché di regressioni in comunità etniche, che offrirono varchi all'arbitrio giuridico.
Oggi, non mi pare che tratti simili manchino.
Viviamo il tramonto degli Stati, il trapasso verso una unità europea lontana dal cuore dei popoli (e vicina alle lobby); sovranità vengono delegate a un ente che non è giuridicamente netto, né politicamente democratico ma piuttosto burocratico
e amministrativo, e che per di più non sa esercitarla; l'Unione Europea mentre si centralizza, favorisce decentramenti e localismi - due modi polari per sminuire lo Stato nazione - che aprono spazi ad arbitri che il centralismo politico conteneva.
Sprazzi di volontà di demonizzazione si manifestano nell'ente supernazionale, come verso l'Austria di Haider; viene procurato e potentemente manipolato, da una stampa di cattiva qualità e poca cultura, «l'allarme naziskin» o «l'allarme pedofilo». Fanciulle di 12 anni si fanno contattare da Satana sul Web.
Possiamo stare tranquilli?
Maurizio Blondet
Note
1) Guy Betchtel, «La sorcière et l'Occidente», Plon 1997, pagina 714.
2) Del domenicano Jacob Sprenger e del teologo inquistore Heinrich Kramer detto Institoris, pubblicato a Strasburgo nel 1487, il «Malleus» s'adoperava a contraddire l'antico canone ecclesiastico «Episcopi» (probabilmente del IX secolo), con cui la Chiesa aveva definito i poteri stregoneschi, il malocchio, il volo magico, l'orgia notturna «effetti della immaginazione»; sogni e illusioni, non comportamenti reali da perseguire in quanto tali. E' significativo che quando Kramer, nel 1485, cercò di istruire processi di stregoneria ad Innsbruck, il vescovo Golser liberò tutte le donne arrestate e invitò l'inquisitore a lasciare il Tirolo, dandogli del balordo: «Propter senium gantz chindisch» («per l'età è tornato all'infanzia»).
3) Jean Delumeau («La Peur en Occident», Parigi 1978), nell'impossibilità di trovare una chiave culturale o politica unificante della caccia alle streghe, ha adombrato la spiegazione climatica. Di fatto, le zone dove la repressione è stata più sanguinosa sono le più fredde del continente, soggette all'inverno continentale. Per di più, dal 1560 gli inverni divennero rigidi in modo tragico (era l'inizio della cosiddetta «piccola era glaciale», durata fino a metà '800), provocando rincari di segale e avena e l'esasperazione popolare. Un memorialista francese ricorda che nell'inverno del 1564 «nelle cantine più profonde il vino gelò nelle botti. Il giorno degli Innocenti le orecchie, le mani e il membro virile di molti uomini, cosa difficile a credere, congelarono».
4) «In questi affari di streghe si proceda con grande prudenza», scriveva il cardinal Savello dal Vaticano, il 17 settembre 1582, al vescovo di Avignone. I vescovi-principi di Maenza, Colonia, Treviri, Bamberg accesero roghi a migliaia. Ma Bechtel, non tenero con il cattolicesimo, deve riconoscere (opera citata, pagina 850): «mai, in nessun caso, ci fu una motivazione religiosa all'origine di una caccia alle streghe».
5) Nel 1532 il Sacro Romano Impero emanò per i territori tedeschi un codice di procedura («lex Carolina») che imponeva, per aprire un processo di stregoneria, che dal supposto maleficio fossero derivati danni constatabili, e altre condizioni mirate ad estendere le garanzie agli accusati. A causa della frammentazione dell'Impero in centinaia di ducati, principati, città libere, contee e così via, la «Carolina» non trovò applicazione né incontrastata né leale.
6) Libri del genere si trovavano spesso anche nelle case dei presunti streghe e stregoni, come risulta dai verbali d'istruttoria: sorprenderà, ma la loro «cultura magica» aveva una base scritta. Malefici e maleficae non erano tutte analfabete, anzi. I veramente miserabili, i destituti, i marginali veri e propri, i solitari dei boschi, non furono quasi mai sospettati di stregoneria. Bisognava essere in qualche relazione col villaggio, avere qualche interesse con o contro i vicini, per essere soggetti alle maligne «voci» e invidie che portavano alla camera di tortura.