Vorrei anche salvare la risposta di Ugo (a futura memoria) al sempiterno "eh ma nella classifica del gender gap siamo dopo al Burundi"
@Giovanna Cosenza
Ancora con l’indice del gender gap usato come dogma? Ma capite i vari parametri, come sono calcolati e pesati infine con gli altri, o vi limitate a prenderne atto come pezza per gridare allo scandalo e contribuire a iniziative che non varieranno di una virgola lo stato delle cose? Già il fatto che il Burundi sia al terzo posto come parametro “opportunità economiche” , con 605$ di reddito annuale procapite, dovrebbe immediatamente far capire che la classifica premia i miglioramenti relativi INDIPENDENTEMENTE dai valori assoluti. Il che vuol dire che si può occupare la centesima posizione nonostante il reddito medio delle proprie donne (occupate e non, si badi!) sia di oltre 20 volte superiore. Si può essere al primo posto con zero opportunità perlui e per lei, zero reddito per entrmbi. Parità raggiunta, in effetti – l’ONU è acuta.
Pensate che la condizione della donna italiana sarebbe migliore se andasse a lavorare nei campi, o pascolare le pecore, le due principali attività del povero Burundi? Oppure caldeggiate il ritorno in massa al lavoro di donne over 50enni, ovvero coloro che per effetto storico non hanno mai lavorato, all’interno di un modello di famiglia però in cui a mantenerle erano i mariti, con il curioso effetto di far pesare il reddito maschile di quella fascia d’età che ancora vive il ruolo di capo famiglia come se non dovesse spendere anche per la moglie che ha un altro ruolo complementare nella coppia ma non lavora. Ma qui si misura la parità, eh.
Così andiamo a scoprire che nonostante l’Italia nel parametro Economic partecipation and opprtuniy occupi il 135°posto, al suo interno è solo 40a per quanto concerne le donne “Legislators, senior officials and managers “. Ullallà, quindi sembra che il problema dei tetti di vetro sia l’ultimo dei problemi femminili rispetto alla mancanza invece di donne lavoratrici con profilo tecnico (87°), e forza lavoro in generale (87°).
A pesare sembra essere invece il “Wage equality for similar work (survey)”. Il che è tutto dire perché ovviamente nel pubblico tutti gli stipendi sono uguali per uomini e donne, quindi occorrerà capire perché il privato paghi meno una donna di un uomo. E qui si apre un mondo di distinguo per capire come abbiano analizzato i “similar work” tali sedicenti ricercatori.D’altronde quale consistenza abbia questo studio per emancipazione massaie, ce lo dice l’assurdo di questi tre parametri:
Enrolment in primary education ……………………..107
Enrolment in secondary education ……………………..1
Enrolment in tertiary education ………………………….1
Nonostante si sia al PRIMO posto per diplomi alle scuole superiori e alle Università, paradossalmente saremmo al 107esimo per disparità tra licenze elementari, visto che per 98 uomini ci sono 97 donne ( e ci becchimao solo 0,99 di punteggio). Così lo stupido che vuole gridare scandalo, dice: 107°!
Invece, e qui si ride davvero sulla natura al femminile di questo rapporto, siamo primi (1°) per la parità di genere nelle lauree conseguite e ci becchiamo 1,41 di punteggio specifico, che è un’enormità. E perché? Ma perché per 77 donne che si laureano ci sono solo 55 uomini. Cazzo, che parità.
Ma perché premiarla? Perché la filosofia metodologica di questo studio è assegnare alti punteggi a una voce se c’è una parità effettiva o (leggete bene) un predominio femminile e penalizzarla se c’è predominio maschile.
Ma andate a quel Paese, per cortesia. Chi questi studi li fa e chi li usa asinamente.