Avrei potuto intitolare il capitolo sui protagonisti delll'aborto "La donna" . Ma sarebbe stat un'imprecisione . Un'imperdonabile imprecisione . Non ci può essere infatti aborto se prima non c'è una madre . La condizione di madre è intrinseca , implicita alla tragica vicenda dell'aborto . Nella quale , come diceva Madre Teresa di Calcutta con linguaggio crudo e senza perifrasi , la società consente che una madre elimini il proprio figlio . Inoltre , dire donna è oggi un modo piuttosto comodo per alludere a un territorio quasi extragiuridico ed extramorale , dove le regole e i principi normalmente in vigore non sono applicabili .
C'è una "mistica del femminile" , che non mi appartiene e che anzi vorrei additare fra le cause della guerra permanente che da alcuni decenni si combatte sottotraccia tra uomini e donne . Una guerra stupida e assurda , senza vincitori ma solo con tanti , troppi sconfitti . Una guerra che annovera fra le sue vittime innanzitutto i figli . Figli già nati che a sei anni vengono interrogati da un giudice per sapere se è più bravo il papà o la mamma ; figli contesi e tagliati nell'anima , spartiti in quarti o in sedicesimi , come in un nuovo , orrendo giudizio di Salomone senza la saggezza di Salomone . Figli vittime di quella conquista di civiltà che si chiama divorzio , e alla quale nessun individuo della modernità sembra essere disposto a rinunciare per alcuna ragione al mondo .
Ma figli soprattutto non ancora nati , che vengono tolti di mezzo con l'aborto . La donna viene persuasa dalla società che lei madre non lo è ancora . Lo diventerà un minuto dopo aver deciso che "accetta" quel figlio . Se lei lo desidera , allora lui c'è , e lei diventa mamma . Ma se lei non lo vuole , allora lui non c'è e lei è , semplicemente , una donna . E come donna , god appunto di quella "extraterritorialità" , di quell'alibi morale per cui la sua scelta sarà insidacabile , ponderata , e comunque buona .
E' una donna elevata , ma in realtà ridotta , alla sua "volontà di potenza" . Come la capricciosa regina di Alice nel paese delle meraviglie , che a suo capriccio ordina con voce urlante : "Tagliatele la testa !" . E' un comportamento folle che nasce dal rifiuto della realtà . La pazzia è in fondo la perdita di relazione con il vero , con i fatti , con ciò che accade intorno al malato . E l'idea per cui il concepito esiste come figlio soo quando qualcuno decide di riconoscerlo è , letteralmente , folle , poiché rifiuta il principio di realtà .
In questo delirio di onnipotenza , la donna è veramente , totalmente sola . Nessuno , o quasi , dirà a quella donna che invece madre lo si diventa per un fatto inconfutabile , il concepimento . E che se questo fatto viene respinto , se viene rifiutato , allora ci saranno due vittime : la prima , il concepito . La seconda : lei , la madre .
Le donne che putroppo passano attraverso l'esperienza dell'aborto restano segnate per sempre (Si legga a questo proposito il testo fondamentale di Giuseppe Garone , Ma questo è un figlio . Testimonianze del dramma dll'aborto , Gribaudi , Milano 2007 , giunto alla settima edizione) . Questa ferita non si manifesta sempre nello stesso modo . Non è vero che tutte le donne mostrano sofferenza o disagio per un aborto : soprattutto oggi , dopo l'effetto "assolutorio" della legalizzazione , molte sembrano acavalcare il problema senza conseguenze evidenti . Ma il male compiuto con quel gesto lavora ugualmente dentro la psiche della donna , mette le sue radici , e si prepara a vanire a galla in maniera del tutto inattesa . La "sindrome post - aborto" è una triste realtà , che il conformismo dominante nasconde intenzionalmente alla donna che vuole abortire .
(Si veda in proposito lo studio di Cinzia Baccaglino contenuto nel testo di Francesco Agnoli , Storia dell'aborto , Fede & Cultura , Verona 2008)
Nella mia esperienza di conduttore di una trasmissione radiofonica dedicata ai temi di bioetica è frequentissimo , accade quasi ogni puntata , che qualche donna telefoni per raccontare pubblicamente di aver praticato un aborto . Talvolta si tratta di madri non più giovani , che lo hanno fatto clandestinamente , a che nonostante decenni e decenni trascorsi , manifestano ancora un senso di colpa acuto .
Ho la sensazione che il vero problema della donna che ha abortito non sia il perdono degli altri , della società , della Chiesa . In fondo , ottenere questo perdono è relativamente semplice . Il problema principale è che la donna si convinca di essere stata perdonata , e di poter quindi perdonare se stessa . La ferita è così profonda che in alcuni casi la donna si sente colpevole , e cerca parole di conforto , anche quando le circostanze in cui il fatto è avvenuto ne avevano fortemente limitato la libertà , o addirittura l'avevano totalmente spogliata della sua volontà .
Nonostante queste difficoltà oggettive , posso testimoniare che ci sono donne che hanno superato questa tragedia , e che oggi sono serenamente impegnate con entusiasmo sul fronte della difesa della vita umana . (Giuseppe Garrone , Oltre la morte la vita . La via di risurrezione dall'aborto , Gribaudi , Milano 2006) . Provo per ciascuna di queste persone un sentimento di grande tenerezza e di grande ammirazione . Sono per me una prova inconfutabile della potenza del Signore . E di quanto misteriosa sia la trama della vita di ogni uomo , finché la osserviamo con i nostri occhi mortali .
Di Mario Palamaro laureato in Giurisprudenza , filosofo del diritto , docente presso la Facoltà di Bioetica dell'Università Pontificia Ragina Apostolorum di Roma e presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università Europea di Roma . E' presidente nazionale del Comitato Verità e Vita . Giornalista pubblicista , è una delle firme della rivista Il Timone ed è editorialista de Il Giornale e de il Cittadino di Monza . Dai microfoni di Radio Maria conduce da anni la rubrica "Incontri con la Bioetica" .