La “coscienza infelice” di alcune donne
di Fabrizio Marchi
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Il “povero” conduttore televisivo (del video pubblicato qui sotto), preoccupatissimo per le possibili conseguenze di questa intervista (della serie:”Qui se non sto bene attento a quello che dico, mi cacciano…”) e soprattutto di mantenere il posto di lavoro probabilmente “guadagnato” dopo anni e anni di estenuanti pubbliche relazioni e frequentazioni “giuste” (chi scrive conosce l’ambiente, anzi, l’”ambient”…), dopo ogni risposta dell’autrice del libro (praticamente degli squarci di luce nelle tenebre della disinformazione e dell’occultamento mediatico relativamente al fenomeno della violenza subita dagli uomini…), si sforza (poveretto…) di ribadire che “Per carità, sia chiaro, il fenomeno della violenza sulle donne è drammatico, nessuno vuole metterlo minimamente in dubbio, anzi, la violenza subita dalle donne è comunque stratosfericamente superiore a quella subita dagli uomini , e che parlare per una volta della violenza subita dagli uomini non significa minimamente sminuire la tragedia, ben più grave, di quella subita dalle donne ecc… “. Lo avrà ribadito almeno tre o quattro volte nel corso dell’intervista.
E va bè, bisogna capire, anche lui “tiene famiglia” e la vita del giornalista free lance senza un contratto a tempo indeterminato è quella che è (non parlo per sentito dire…). Del resto come non tutti nascono con la camicia, neanche tutti nascono con le “palle”.
Non è la prima donna che comincia a dire certe cose, e soprattutto che sceglie di dirle pubblicamente. Cominciano a essere non dico tantissime ma diverse. In proporzione (ho scritto, in proporzione…) forse più degli uomini che sono completamente paralizzati da questo punto di vista dopo quarant’anni e più di sistematico pestaggio psicologico, morale, culturale e politico.
In fondo, da un certo punto di vista, l’atteggiamento assunto da parte di queste donne deriva da una sorta di “coscienza infelice”, se mi consentite, sia pur indebitamente e anche presuntuosamente, di prendere in prestito un celebre concetto di un altrettanto celebre filosofo.
La consapevolezza cioè che quanto sta accadendo (la criminalizzazione sistematica del genere maschile, ritenuto responsabile di ogni bruttura esistente al mondo e ridotto ad una macchina di violenza, brutalità e ogni genere di sopraffazione) prima o poi, con il tempo, indirettamente, potrebbe avere effetti nocivi anche per le donne. Se non altro perché relazionarsi con un genere maschile completamente spappolato, non è proprio il massimo della vita.
Che dire, butto lì una provocazione (diretta soprattutto agli uomini dormienti e pavidi…).
Tutte le rivoluzioni sono sempre state guidate da soggetti che, volendo, avrebbero potuto tranquillamente starsene in poltrona, godere dei privilegi della loro condizione, conservare o accrescere la loro posizione sociale e invece, forse proprio a causa o in virtù di quella “coscienza infelice” di cui sopra, hanno scelto di mettersi in gioco, di andare in un’altra direzione, addirittura contro i loro stessi interessi sociali e materiali. Se ci pensiamo bene, tutto ciò non è affatto casuale. Le condizioni materiali (e oggi anche immateriali) oggettive impediscono infatti alle classi e ai soggetti subordinati, di assumere in prima persona l’iniziativa. Ecco quindi che l’iniziativa viene assunta da altri, cioè da alcune “elite” che riescono poi a fare da traino e a coinvolgere tutti gli altri.
Che stia accadendo qualcosa di simile, mutatis mutandis, anche per quanto riguarda la relazione fra i sessi? Dobbiamo anche considerare che per una donna è infinitamente più facile che per un uomo pronunciare quelle parole. Ma questo non toglie valore e merito al loro impegno.
Una giovane donna sta dicendo, anche se forse con un pizzico di imbarazzo del tutto comprensibile, ciò che alcune associazioni e movimenti maschili sostengono da anni: