Vi linko una recensione del forumista Marcello del Campo di una community dove sono uno dei relatori esterni, sul film "The Cove- La baia dove muiono i delfini", che chiunque, sensibile o meno alle cause animaliste e ambientali, dovrebbe vedere visto che sono sempre così rare le opere in qualsiasi arte, audiovisiva come le altre, che risultino saper smuovere le coscienze con tale potenza.
Nel 2009 l’Oscar per il migliore documentario lo ha vinto giustamente The Man on Wire di James Marsh, vita e avventure sul filo del funambolo Philippe Petit. Per il 2010, tutti i fan del super premiato Michael Moore si disperano perché non è stato incluso Capitalism a Love Story dello stesso, nessuno che si sia accorto dell’assenza di The Cove di Louie Psyhoyos, uno straordinario documentario sull’eccidio dei delfini nella baia di Taiji in Giappone. Nessuna nomination: eppure The Cove ha ottenuto innumerevoli consensi: eccoli:
(American Cinema Editors, Amsterdam International Documentary Film Festival, Boston Society of Film Critics Awards, Broadcast Film Critics Association Awards, Chicago Film Critics Association Awards, Directors Guild of America, Florida Film Critics Circle Awards, Galway Film Fleadh, Hot Docs Canadian International Documentary Festival, Los Angeles Film Critics Association Awards, Nantucket Film Festival, National Board of Review, Newport Beach Film Festival, Online Film Critics Society Awards, San Diego Film Critics Society Awards, Seattle International Film Festival, Silverdocs Documentary Festival, Stockholm Film Festival, vincitore al Sundance Film Festival, nomination al Grand Jury Prize Documentary, vincitore al Sydney Film Festival, al Toronto Film Critics Association Awards, alla Washington DC Area Film Critics Association Awards, al Woods Hole Film Festival, il consenso della Writers Guild of America).
-successivamente, "The Cove" ha infatti seppur in ritardo vinto anche l'Oscar per il Miglior documentario (nota mia).
Che cosa pensare, se non che i membri della Academy vogliono tenersi buono il governo nipponico che consente l’uccisione di 23.000 delfini l’anno nella baia più sanguinaria del mondo?
The Cove è il racconto di una strage che nessuno aveva mai documentato.
Ric O’Barry, anziano addestratore di delfini, è l’uomo che, con un gruppo di amici dei delfini, è riuscito nell’impresa ardua di penetrare nella baia di Taiji per mostrarci l’orrore: i pescatori dell’isola, protetti dalle autorità locali e da finte associazioni animaliste, ogni notte danno la caccia ai delfini. Questi cetacei, con un cervello simile a quello dell’uomo, diversamente dal rumoroso collega di specie, non sopportano il rumore. La tecnica dei pescatori consiste nel battere delle lunghe canne per ottenere un suono insopportabile, tale che i delfini siano spinti a riparare nella baia, chiusa ermeticamente da potenti griglie di acciaio. A quel punto comincia la mattanza: i poveri cetacei sono percossi, arpionati, fatti a pezzi tra le urla di godimento dei pescatori: nessun delfino è risparmiato, l’ultimo che tenta la fuga, ferito, tra guizzi dolorosi, grondante sangue, viene raggiunto e martoriato.
La baia si trasforma in un lago rosso vivo. I delfini sono caricati sui pescherecci, pronti per diventare cibo (zeppo di mercurio) per gli abitanti del luogo, spacciato come carne generica di pesce in altri paesi del Giappone.
La prima parte del documentario narra come Ric O’Barry è diventato il nemico degli uccisori di delfini in tutto il mondo. Non c’è posto del globo in cui Ric non sia riconosciuto e sorvegliato, non appena vi mette piede. Ric ha un passato di stuntman del quale va fiero e uno di addestratore del quale, da molti anni, ha deciso di disfarsi. Negli anni Sessanta fu lui il primo a addestrare delfini per la gioia dei delfinari dove queste creature intelligenti divertono il pubblico dei popcorn con le loro acrobazie.
Ric ha cominciato a nutrire dubbi e a sentirsi colpevole del suo mestiere quando il delfino “Flipper” (che lui allenò per il film omonimo) gli è morto tra le braccia. Diversamente dagli uomini, il delfino (il documentario svela molte caratteri del cetaceo) decide quando è il momento di morire: basta che trattenga il respiro, un solo respiro.
“Flipper” si suicidò tra le braccia del suo trainer perché era depresso, era stanco di fare il buffone per il divertimento delle stupide masse umane nei parchi gioco. Per questo ‘decide’ di morire di crepacuore: lontano dal mare, dagli eleganti balletti in compagnia del branco: le sinuose evoluzioni impresse al suo corpo da un dio benignamente esteta, gli sono state sottratte dall’avidità degli uomini. Deve darsi la morte per indurre l’amico Ric a compiere l’impresa di fermare le mani lorde di sangue dei pescatori, indurlo a un esame di coscienza che rimetta in discussione il Ric trainer e fare di lui Ric, l’uomo più odiato e sorvegliato dai cacciatori del mare.
La seconda parte del doc., la più emozionante, mostra come un drappello di coraggiosi ambientalisti riesce a superare la barriera che ha finora impedito a chiunque di documentare la strage dei delfini. La barriera è costituita da cartelli KEEP OUT e da pescatori esperti che perlustrano la zona della baia, la costa e il fondo marino.
Il gruppo capitanato da Ric, si accinge nell’impresa di dimostrare agli ambientalisti locali corrotti e al mondo intero, come stanno le cose a Taiji. Lo accompagnano il regista Louie Psihoyos e membri esperti della “Ocean Preservation Society”: ingegneri del suono, tecnici di riprese sottomarine, campioni di immersione in apnea, modellisti che riproducono finte rocce in cui occultare camere per riprese dall’alto o al livello della spiaggia, in modo che nulla possa sfuggire alle riprese. Molti di loro, come Hayden Panettiere, hanno lavorato nel cinema a vario titolo e sanno come girare un documentario senza l’ombra di fiction. L’impresa, dice Ric, nel tratteggiare l’ingegnosa strategia, è simile “alla tecnica” di Ocean Eleven.
The Cove è un documentario di impegno civile che, grazie a una regia che non rinuncia alla spettacolarità, tiene lo spettatore con il fiato sospeso fino al commovente finale, quando Ric, con un personal computer video appeso al collo, entra trionfante nella sala del municipio di Taiji, mostrando all’assemblea, al sindaco e al capo della polizia corrotta le immagini crudeli della carneficina nella baia.
Un documentario potente, attanagliante, spettacolare che meriterebbe una distribuzione decente.
Se per molti spettatori ‘tridimensionali’, il cinema attuale è rappresentato da Avatar, personalmente preferisco cineasti che si impegnano e lottano in questo mondo per la salvaguardia dell’ecosistema e che accettano il rischio a favore della verità e non della distrazione di massa.
Da Il Manifesto del 03/07/2010: “Giappone, arriva nelle sale (blindato) The Cove - Misure di sicurezza imponenti quelle prese in Giappone alla vigilia del debutto, in sei sale, di The Cove il film-documentario sulla caccia ai delfini vincitore dell’Oscar 2010, dopo che una serie di minacce da parte di gruppi nazionalisti ne aveva impedito temporaneamente il lancio il mese scorso. Tutti i cinema che oggi proietteranno il film in alcune grandi città, come Tokyo e Osaka, hanno “blindato” le visioni con un accordo con la polizia. Nel frattempo, il tribunale distrettuale di Yokohama, ha negato il nulla osta a una manifestazione di protesta, che avrebbe dovuto tenersi di fronte a un cinema promossa da un’associazione contraria alla proiezione. La pellicola avrebbe dovuto debuttare il 26 giugno, ma i gestori delle sale avevano deciso di cancellare il programma dopo le accese proteste da parte di gruppi di estrema destra.”