Autore Topic: Cinema, uomini, e solitudini: "Un Borghese piccolo piccolo"(Italia 1977) di Mari  (Letto 1885 volte)

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"Un Borghese piccolo piccolo"
Drammatico, Mario Monicelli, 1977, [Italia]

« Pensa a te, Mario, pensa solo a te! Ricordati che in questo mondo basta fare sì con gli occhi e no con la testa, che c'è sempre uno pronto che ti pugnala nella schiena. D'altronde io e tua madre siamo soddisfatti: abbiamo un figlio ragioniere, che vogliamo di più? Per noi gli altri non esistono. Tu ormai sei sistemato, noi siamo vecchi: non c'abbiamo altre ambizioni. Tutto quello che vogliamo è morire in pace, con la coscienza a posto. »

Giovanni Vivaldi/Alberto Sordi

Per le solitudini al cinema non potevo esimermi dall'affrontare un film italiano particolarmente potente e che non verrà mai dimenticato, sul tema. Mi riferisco naturalmente a "Un Borghese piccolo piccolo" di Mario Monicelli, distribuito con grande successo e clamore mediatico nell'ormai purtroppo lontanissimo 1977. Ho visto personalmente per la prima volta questo film appunto oltre trent'anni fa e non ho mai potuto dimenticarlo. L'inizio, come aspettandosi una commedia dato un grandissimo Alberto Sordi come il protagonista Giovanni Vivaldi, per un film che si trasforma ben presto in un nerissimo racconto sull'orrore della vita. Molti aspetti presi e trasposti in questo film dallo sceneggiatore Cerami il quale adattò il suo famoso romanzo dell'anno prima, sono reali e ispirati a fatti veri che accadevano nella Roma e nell'Italia del '77. La bravura di Monicelli e dello stesso Cerami nell'impostazione di un terrore quasi fisiologico, inquietante, dell'impatto duraturo e devastante che avrà sulle vite dei personaggi principali del marito e della moglie, poi dell'immensa tristezza e rabbia che travolge lo spettatore e i protagonisti , è stata semplicemente da manuale. Non a caso, anche "Un Borghese piccolo piccolo" è stato uno dei film italiani del periodo preferiti da Tarantino, per il suo incrocio tra una certa apparente leggerezza da commedia all'italiana e una disperazione nera, una violenza indiscriminata che nemmeno nel suo "Reservoir Dogs"(Le Iene). Se vogliamo difatti, col senno di poi potremmo persino dire che la tortura del poliziotto nel film citato possa ricordare quella della tortura al ragazzo nel film di Monicelli. Gran parte della riuscita si deve certamente ascrivere ad un eccezionale Alberto Sordi in uno dei ruoli forse d'arrivo di un'intera carriera, quale la sua, assolutamente irripetibile e inarrivabile non solo per il cinema italiano. Egli è un tipico burocrate romano di quegli anni all'inizio solamente disperato per ottenere al figlio (Vincenzo Crocitti/Mario Vivaldi) un lavoro presso l'amministrazione comunale della città. Arrivando persino al punto di assecondare e farsi credere nel voler essere un fratello adepto muratore massonico(lui già violentemente antifascista, potrebbe essere una prosecuzione (in)naturale del Silvio Magnozzi di "Un Vita difficile" [1961] di Dino Risi) dal suo capo ufficio (uno strepitoso Romolo Valli/Dr. Spaziani affetto da una fantascientifica forfora e dai lunghi capelli pettinati con l'olio d'oliva), partecipando poi alla sua riunione di affiliazione per riuscire ad avere prima il possibile tema al concorso del figlio per un posto al ministero. Proprio la mattina del concorso, davanti al luogo in cui si dovrà svolgere, Sordi che accompagna suo figlio si troveranno letteralmente nel luogo sbagliato al momento sbagliato, e nel corso di una rapina in banca il figlio rimarrà ucciso da una gratuita sventagliata di mitra sparata da uno dei banditi (Renzo Carboni),per coprirsi la fuga. A questo punto il film non è certo più una commedia e non si ridera mai fino alla fine. Sordi, che ha memorizzato la faccia del giovane assassino, non lo indica alla polizia ad un riconoscimento fra altri giovani pregiudicati, e seguitolo con la macchina all'uscita della questura riesce con uno stratagemma a tramortirlo, catturarlo, e portarlo in una sua casa di campagna per torturarlo sadicamente, legato ad una sedia come in castigo, per l'assassinio del figlio. Intanto per lo shock muore la moglie Amalia interpretata da una sempre straordinaria Shelley Winters, la quale era rimasta in sedia a rotelle senza capacità di parlare, dal giorno della morte del figlio, ricevendone la notizia dalla televisione. Precipitando da qui in poi Giovanni Vivaldi/Alberto Sordi in una straziante, cupissima solitudine rancorosa. La genialità di questo film lo ripeto è la tipica acre, senza sconti e non conciliante, capacità di Monicelli nell'utilizzare certi topòi della commedia all'italiana già da egli utilizzati fin dagli anni cinquanta, per poi iniettarvi un dramma umano di tali dimensioni e gravità. All'inizio sembra un film dal tono leggero nella tipica ambietazione romana dalle annotazioni caratteristiche sulle follie a cui debbono soccombere i pendolari, gli spostamenti nel traffico quasi stritolati nella propria 500, la lotta per trovare un posteggio, la gara contro il portiere che deve segnare il tuo minuto di ritardo all'entrata degli uffici del Ministero, la tanta "romanità" nelle felici sardoniche trovate sulla burocraticità della vita in ufficio, nel ventre di questi organismi insulari di governo tipicamente italiani, nei quali una stretta di mano tra affiliati ad una setta massonica segreta para-P2 può più come sempre si dice di qualsiasi sana competizione o meritocrazia, ma basta invece aderire a certi "codici" di comportamento e vita, in realtà assolutamente molli e ridicoli. Tant'è che Valli rimarrà pure un pò deluso perchè Sordi ovviamente non seguirà una cerimonia funebre massonica, per la sepoltura del figlio barbaramente ucciso. Quindi, una magistrale visione cinematografica di un certo ambiente fin troppo reale e concreto, che inizia ridanciamente cogliendone tutto il suo insito di ridicolo e grottesco pressapochismo, per poi peggiorare rapidamente in una visione dalla tristezza travolgente, e psicologica del personaggio protagonista di Sordi, veramente nera e intinta nel pessimismo più crudo, fosco, e quindi certamente meno "italiano". Svelandone il lato psicologico più segreto, insitamente nascosto, che la società apertamente condannerebbe, ma che, in segreto, l'individuo manifesta nella sua insopprimibile necessità di una vendetta. Torturando sadicamente il giovane rapinatore assassino fino a provocarne una più o meno involontaria, insostenibile morte (se ne è sempre discusso molto a riguardo fin dalla comparsa nei cinema, quando il pubblico soprattutto delle sale romane spesso toccato in prima persona dalla violenza e dalla criminalità metropolitana di quei giorni -il famoso caso di Re Cecconi docet-, inneggiava a Sordi e all'atto che stava compiendosi).Eppure la posizione di Monicelli come quella già da prima nel libro di Cerami nei confronti di ogni esaltazione o vicinanza, aderenza "vigilantista" è chiara, quando nel magnifico finale ci mostrano un Sordi invecchiato e ovviamente solo, intento su una panchina dei giardinetti a leggere il giornale in una fredda e cupa giornata invernale come è stato per tutto il film, il quale dopo che un già maturo coatto romano col chiodo di pelle (interpretato da Ettore Garofolo, uno dei "ragazzi dde borgata" di PPP, ed impersonificante "Ettore", il figlio di Anna Magnani nell'immenso capolavoro "Mamma Roma"[1962]) lo urta e poi gli risponde villanamente, incomincia a seguirlo pedinandolo con la sua 500, lasciandoci con lo sguardo minaccioso di Sordi che lo osserva, forse pronto a fargli fare la stessa fine di quella che riservò ad un assassino. Solitario e indistinguibile mostro, folle, forse oramai reso schizofrenico, nel resto di una folla annaspante in un mare di disumanità. "Piccolo uomo normale" forse già pronto per essere spinto nuovamente a compiere cose orribili. Le scene insostenibili non mancano, scolpita nella memoria quella dal grandioso tocco registico e quasi insostenibile per il disagio, la sofferenza e la tristezza che provoca, della camera mortuaria al Verano, con le bare accatastate per mancanza di posto e che ogni tanto anche esplodono letteralmente per i gas sprigionatisi facendone cadere a pile, tra i pianti e la disperazione ardente dei molti parenti, che si aggirano nauseati dallo sprigionarsi dei gas cadaverici in un  paesaggio dantesco di lumini e cataste di casse da morto malamente impilate fino ai soffitti, come carcasse di auto negli sfasciacarrozze. Anche per trovare finalmente un posto al cimitero per il figlio, Vivaldi dovrà rivolgersi a Spaziani e alla loggia, che con l'immancabile corruzione glielo troverà facendolo passare prima nelle liste per le assegnazioni. Un film che solo chi ha visto sa quanto non potrà mai essere dimenticato, per la sua inaspettata stravolta drammaticità, la potenza della sua mestizia che letteralmente colpisce come un maglio lo spettatore. Un film che a seconda delle sensibilità, si può anche essere costretti a fermare, certo per non resistere al bisogno di riprenderlo poi, dopo.

Da Wiki, un doveroso cenno ai richiami critici anche del periodo:

"Un borghese piccolo piccolo" segna una sorta di resa, di sconfitta. Monicelli comprende che ridere dei vizi degli italiani, ridicolizzarli e sbeffeggiarli, equivaleva ad una manifestazione di fiducia, ad un atto d'amore e ad una speranza sincera nelle loro capacità umane.

Dinanzi alla trasformazione della società , rappresentata dalla trasformazione subita da Giovanni Vivaldi, il regista però getta la spugna e afferma l'«irrappresentabilità degli italiani, per perdita irreversibile di tutti i caratteri positivi». In sostanza, non c'è più nulla da sperare, da credere, da ridere. Questo giudizio, insieme al caustico anticlericalismo del regista, è ben rappresentato dalla scena della omelia funebre del prete, nel corso del funerale della moglie del protagonista, ove egli afferma che per chi è "costretto" a conoscere tutte le miserie umane, l'unico giudizio possibile è un decreto di "morte generale".

Dello humour nero e del tono sardonico e beffardo tipico del regista toscano resta la memorabile scena della stanza di sepoltura comune, dove le bare, alcune delle quali addirittura esplodono, sono ammassate in un paradossale disordine, i parenti pregano davanti ai tumuli sbagliati e la vedova, dopo che il protagonista, per aiutarla, lancia il mazzo di fiori sulla bara sbagliata, si allontana graziosamente commentando "tanto è lo stesso".

Il film segna anche una grande interpretazione di Alberto Sordi ed un punto di svolta per la carriera cinematografica dell'attore romano, che per la prima volta scinde il comico dal tragico. Da questo momento in poi infatti si atrofizza la qualità delle sue interpretazioni ispirate alla società italiana, a riprova del fatto che la commedia all'italiana muore anche per l'esaurirsi dei suoi interpreti e delle sue maschere, alle quali era intimamente legata.

È nel contesto storico-politico generale degli anni settanta che Mario Monicelli, confermando la profonda vena politica che permea tutto il suo cinema, abbandona la satira sociale della commedia all'italiana e confeziona un puro film drammatico, attingendo dai problemi della società italiana di quel periodo
Per certi aspetti si potrebbe definire "Un borghese piccolo piccolo" come l'atto conclusivo della commedia che a partire dalla metà degli anni settanta aveva già intrapreso la sua parabola discendente.

Festival di Cannes Anno 1977 Nominato alla Palma d'Oro, Mario Monicelli

David di Donatello Anno 1977 Ha Vinto come Miglior Film ex-aequo con "Il Deserto dei Tartari"(1976) di Valerio Zurlini,
Miglior regista(Migliore Regia) Mario Monicelli ex-aequo co Valerio Zurlini per "Il Deserto dei Tartari"(1976),
Miglior attore ad Alberto Sordi, a Vincenzo Crocitti come Miglior attore non protagonista,
a Shelley Winters un David speciale per la sua interpretazione.

Sindacato Nazionale Italiano Giornalisti Cinematografici Anno 1977 Ha Vinto il Nastro d'Argento come Miglior Attore(Migliore Attore Protagonista) ad Alberto Sordi,

Migliore Attore non Protagonista a Romolo Valli

Miglior attore esordiente a Vincenzo Crocitti

Migliore Sceneggiatura a Sergio Amidei, Mario Monicelli

Nominato al Nastro d'Argento per Miglior regista(e Regista del Miglior Film) Mario Monicelli

Efebo d'Oro Anno 1979 a Mario Monicelli

TorsoloMarioVanni

http://mr.comingsoon.it/imgdb/locandine/big/15038.jpg

http://it.wikipedia.org/wiki/File:Un_borghese_piccolo_piccolo_mario.png
« Ultima modifica: Dicembre 13, 2013, 12:21:44 pm da TorsoloMarioVanni »
Neil McCauley/Robert DE Niro [ultime parole]:- "Visto che non ci torno in prigione?"
Vincent Hanna/Al Pacino :-"Già."
Noodles:"I vincenti si riconoscono alla partenza. Riconosci i vincenti e i brocchi.Chi avrebbe puntato su di me?"
Fat Moe:"Io avrei puntato tutto su di te."
Noodles:E avresti perso.

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 Vivaldi, per la verità, non si occupa molto della coniuge paralizzata: la pone davanti alla TV, ed esce.
 Racconta cosa abbia fatto al ragazzo "con quella faccia da birbaccione, sicuro di farla franca", l'attesa in auto, mangiando un toast , davanti l'abitazione di lui, il colpo in testa col cric.
 Trasporta in auto il ragazzo tramortito fino in campagna, lo lega col filo di ferro ad una sedia, gli deterge la faccia insanguinata.
 Tornerà il mattino dopo con la coniuge. Colpirà di nuovo in testa il ragazzo, la faccia sarà di nuovo insanguinata. Oltre ad esser legato alla sedia, sarà pure legato per il collo ad un pilastro.
 Vivaldi lascerà col ragazzo la propria coniuge, che assisterà a due morti: quella del ragazzo e quella di un moscone, accanto ad un vetro.
 La terra smossa e una vanga tra le mani di Vivaldi, sono i segnali di una sepoltura appena avvenuta.
 Il I° giorno di Pensione è quello del decesso della Signora Vivaldi, spirata mentre lui dormiva; Vivaldi sa solo chiamare disperato la vicina di casa.
 Non si sa se abbia bevuta la frottola sulla tomba del figlio.
 Vivaldi, senza più donna, e fuori dal mondo lavorativo, diventerà un serial killer, per noia; stavolta, è lui convinto di farla franca.
 Vengon affrontati vari temi:
 i Corsi inutili, Mario aveva fatto un Corso di Dattilografia.
 i Concorsi Pubblici "I Posti offerti non sono tantissimi, non sono migliaia, son solo trecento!". "che non sono neanche pochi!".
 I Candidati son decine di migliaia, si sa già che Titolo Preferenziale sia esser figlio di qualcuno ivi lavorante?
 Gli spaghetti diventati una matassa.
 La piccola Borghesia Impiegatizia, un po' come "Demetrio Pianelli" di Emilio De Marchi.

 Dall'inizio, si vede NON sia molto Commedia, col sangue del pesce ucciso a botte.



 
« Ultima modifica: Dicembre 17, 2013, 22:36:06 pm da fabriziopiludu »

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Sì, Fabrizio hai ragione. Anch'io l'ho però accennato da qualche parte che l'inizio grazie anche ad una fotografia molto liquida ma anche plumbea nei colori, lasciava presagire il tono senza speranza e nerissimo alla Durenmatt che poi avrebbe assunto la vicenda del film. E' vero, il pesce ucciso a mazzate è particolarmente simbolico in un film che vive di simbologie intradiegetiche come quella famosa della morte per strangolamento del giovane assassino assieme allo sbattere della mosca contro il vetro della finestra. Hai ragione sul certo distante menefreghismo un pò tipico dei personaggi sordiani ,nei confronti delle donne, qui nel rapporto ormai genitoriale con la moglie Amalia. E che io avevo un pò stemperato nel ricordo.
Neil McCauley/Robert DE Niro [ultime parole]:- "Visto che non ci torno in prigione?"
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Mi piacciono molto i temi affrontati che elenchi, certamente veri. Con "gli spaghetti che diventano una matassa" nel mezzo, semplicemente geniale. E se vogliamo, potrebbe essere un'altra simbologia dell'Italia del '77 anch'essa. Alla Spiegel.
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 La pasta lunga che si appiccica, sgradevole al momento di consumarla. NON riesci ad arrottolarla sulla forchetta!
 Tagliarla? No! Non sarebbe più pasta lunga!!!
 Se, invece, vuoi far una torta - salata, o meno - è bene che la pasta si appiccichi; metti anche l'uovo per farla legare!


 

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AHAHAHAHAHAHAHAHA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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 Quell'ACCANIRSI sui ragazzi ricorda il Totò di "Il mostro della domenica", Episodio di "Capriccio all'Italiana".
 Si traveste pure da donna, per far cader i ragazzi in trappola!
 Non uccide i ragazzi, li fa diventare skinheads.


 

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 Quell'ACCANIRSI sui ragazzi ricorda il Totò di "Il mostro della domenica", Episodio di "Capriccio all'Italiana".
 Si traveste pure da donna, per far cader i ragazzi in trappola!
 Non uccide i ragazzi, li fa diventare skinheads.

Me lo ricordo.


 
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