Un bell'articolo condivisibile quasi in toto, pag. 6 -"Povera casta"- de Il Fatto Quotidiano, domenica, 22/12/2013
"Attaccate perchè donne": gridare al sessismo è un'alibi
Doppio scivolone
di Daniela Ranieri
L'ultima riguarda la responsabile Lavoro della nuova segreteria PD Marianna Madia, "rea" di aver sbagliato ministero (e ministro) nel presentare un progetto sull'occupazione. Una era stata quella del Presidente della Camera Boldrini che ospita a proprie spese il compagno in occasione della cerimonia di commemorazione di Nelson Mandela; un'altra quella di Debora Serracchiani, accusata di aver approfittato di un passaggio di Letta su un volo di Stato per partecipare a Ballarò.
Cosa accomuna tutte e tre le vicende, sul cui merito ciascuno può farsi la propria opinione? Che la linea di difesa è stata principalemente il genere di appartenenza. Quasi per reazione pavloviana, invece di rivendicare la presenza del compagno come necessaria (Boldrini), invocare l'indispensabilità della presenza fisica in studio come indicatore di un più stretto rapporto con gli elettori(Serracchiani), approfittare del misunderstanding logistico per parlare di lavoro e ammettere di avere molto da imparare (Madia), davanti alle accuse più o meno eleganti dei detrattori si è preferito rifugiarsi nell'argomento che un maschio sarebbe stato trattato con più indulgenza.
Ammesso che ciò sia vero, quando una donna ritiene di essere stata attaccata ingiustamente può reagire in due modi: rispondere per le rime, dimostrando con franchezza la propria buona fede e facendo risaltare la nullità dell'avversario, oppure gridare "al sessista!", neutralizzando di fatto l'occasione di parlare dei temi che ha a cuore, e ottenendo l'effetto di porsi automaticamente in una posizione d'inferiorità. La seconda soluzione, frutto di un fraintendimento del femminismo, è stata purtroppo quella finora più adottata.
Questo meccanismo delinea uno dei paradossi più clamorosi dell'Occidente cosiddetto libero e paritario.
Se è vero che insultare una donna perché donna e non per quello che dice o che fa qualifica già di per sé chi ne è responsabile (è il caso degli utenti che sul blog di Grillo hanno sciorinato tutta la gamma dell'ignominia nei confronti di Maria Novella Oppo), nel momento in cui una donna si difende usando il tema del genere a cui appartiene ha già capitolato al maschilismo che intende combattere.
Pretendere un trattamento diverso da quello che un individuo deve a ogni suo simile, compresa la critica, è una specie di auto-ghettizzazione fatta passare per lotta alla parità. Inoltre, la parità è un obiettivo solo a latitudini ambigue come le nostre e nelle teocrazie. Solo al pensiero di essere parificata (d)a un uomo, una donna dovrebbe rabbrividire: è disperante che una donna con un ruolo politico o istituzionale voglia essere considerata "come" i suoi colleghi maschi, le cui azioni e la cui integrità sono tutti i giorni sotto i nostri occhi. Davvero una donna aspira a essere onesta come B., dotata come Gasparri, raffinata come Crimi, trasparente come Fitto, presentabile come Formigoni, misurata come La Russa? Quando si vuole elogiare una donne forte e determinata si usa quell'espressione che allude ai genitali maschili: vantarsi di avere "le palle" (Santanché docet) e lamentarsi perchè un uomo ci insulta senza avere attivato il silenziatore del galantismo machista sono forme contigue di auto-denigrazione, parenti di quel disgustoso comandamento per cui una donna non si tocca nemmeno con un fiore.
Siamo sicure, noi donne, di non essere maschiliste quando traduciamo ogni critica alla nostra persona nei termini di un attacco maschilsita?
Non agiamo contro le donne dando per scontato che una donna con un ruolo di potere non possa -non le sia concesso- essere stupida, scorretta, corrotta, quanto un uomo? In base a questo principio l'operato di Gelmini e Cancellieri, tanto per dirne due, non avrebbe mai dovuto essere criticato.
Si dovrebbe non volere un trattamento diverso anche per un altro motivo: se un uomo sa che su quel terreno ci annienta, e lo fa, sarò stata solo colpa nostra che si sia permesso di offenderci. Quando un uomo che non sapesse apporre argomentazioni valide nel criticare una donna dovesse concludere con "non ti dico niente perchè sei donna" ci sarà davvero da preoccuparsi. Non bisognerebbe lavorare affinché la viltà di alcuni maschi obbedisca per riflesso condizionato allo stesso codice razzista che da piccoli li faceva desistere dal menare i compagni con gli occhiali. Ecco, se avalliamo questa esenzione cavalleresca, e addirittura la chiediamo come garanzia di rispetto, invece di controbattere con il valore del nostro operato, non stiamo facendo altro che dire che essere donne è un handicap verso cui esercitare pietà, e insieme un alibi per continuare a comportarci male come un uomo.