Autore Topic: La sentenza europea "Crea disordine e contrappone uomo e donna ."  (Letto 687 volte)

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Offline Stendardo

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Fonte : http://www.tempi.it/la-sentenza-europea-che-da-alla-madre-il-diritto-di-dare-il-cognome-al-figlio-crea-disordine-e-contrappone-uomo-e-donna

La sentenza europea che dà alla madre il diritto di dare il cognome al figlio: «Crea disordine e contrappone uomo e donna»










gennaio 8, 2014Benedetta Frigerio
 

Il vicepresidente dell’Unione giuristi cattolici: «Sovvertito un diritto millenario. Il rischio è la confusione generazionale che dà solo motivo di contesa»
 





Anche le madri devono avere il diritto di dare il proprio cognome al figlio. È il fulcro della sentenza emanata ieri dalla Corte europea per i diritti dell’uomo. Strasburgo non solo ha messo in discussione la legislazione di uno Stato, ma ha condannato l’Italia per violazione dei diritti umani, chiedendo al legislatore di rivedere le norme. A ricorrere in appello sono stati due coniugi di Milano, Alessandra Cusan e Luigi Fazzo, che si battono dal 1999, anno di nascita della figlia, perché la bimba sia registrata all’anagrafe con il cognome materno. Secondo il vicepresidente nazionale dell’Unione giuristi cattolici italiani, Giancarlo Cerrelli, la sentenza «in linea di principio non tocca nessuna norma del diritto naturale. Ma le motivazioni della Corte, il contesto e l’urgenza con cui giungono, fino alla condanna dello Stato italiano per la sua tradizione giuridica, destano sospetti». Non solo, anche dal punto di vista giuridico, «le conseguenze possono essere pericolose: non comprendo come un simile cambiamento dello strumento che da sempre è stato utilizzato per mantenere l’ordinamento familiare in Italia, possa essere imposto al legislatore nazionale dall’Europa».
 
L’articolo 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali dice che «l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto».
È così, eppure si fa prevalere un altro articolo della stessa Convenzione. Si tratta dell’articolo 8, che parla di diritto alla vita privata e familiare e che viene utilizzato per sostenere l’autodeterminazione della famiglia, spesso a prescindere dai vincoli naturali. Così si permettono ingerenze come questa, che mettono in discussione la modalità con cui l’Italia dall’epoca romana garantisce l’ordine delle generazioni, che si innesta su quello familiare. Non si può da un giorno all’altro imporre un cambiamento simile che non ha nulla a che vedere con i costumi millenari di un Paese. La sentenza si giustifica parlando di lesione dell’uguaglianza, ma le cose sembrano propendere per dare pieno potere alla donna, depotenziando la figura paterna. Infatti, dal 2000, la legge italiana permette già di aggiungere al nome paterno anche quello della madre. Perché questo non è bastato ai giudici europei?
 
Quali conseguenze potrebbe avere un tale cambiamento?
Ai figli nati dallo stesso padre e dalla stessa madre potrebbero essere dati cognomi diversi a seconda delle volontà dei genitori. In questo modo salta ciò che dà garanzia all’ordine genealogico, in cui la madre è sempre certa e il padre riconosce i figli. Ma il problema è anche culturale. C’è un femminismo autodistruttivo che, credendo di difendere la donna, rischia di snaturarne il ruolo, ponendola in conflitto crescente con l’uomo.
 
Cosa intende?
Se si depotenzia la figura paterna, la conseguenza è quella di dividere l’uomo dalla donna: far sì che il padre e la madre si debbano trovare a discutere anche circa la scelta del cognome del figlio, mi sembra assurdo. Si crea un ulteriore motivo di contesa in cui ci vanno di mezzo i figli, come si dovesse scegliere a chi appartengono di più. Questa idea lede quella della comunione tra uomo e donna che si sostengono a vicenda: è affermando la complementarietà che si crea la vera parità. Il femminismo, invece, per combattere ciò che ritiene patriarcale, anziché riaffermare la comunione fra i coniugi, chiedendo all’uomo il riconoscimento e la dignità del ruolo di madre e di sposa, reagisce cercando di sottoporre il sesso maschile a quello femminile. Peccato che così non si indebolisce solo la figura paterna ma anche quella materna; la donna, in questo modo, rischia di rimanere sempre più sola, costretta a fare anche le veci paterne.


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Offline Stendardo

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Re:La sentenza europea "Crea disordine e contrappone uomo e donna ."
« Risposta #1 il: Gennaio 10, 2014, 16:41:20 pm »
Fonte : http://www.tempi.it/dare-ai-figli-il-cognome-della-madre-mantovano-si-svicola-dai-problemi-reali-delle-famiglie

Dare ai figli il cognome della madre? Mantovano: «Si svicola dai problemi reali delle famiglie»










maggio 7, 2013Elisabetta Longo
 

Intervista ad Alfredo Mantovano, che commenta le dichiarazioni del presidente della Corte costituzionale sulla necessità di poter scegliere tra il cognome della madre e quello del padre
 





Nella relazione annuale della Corte Costituzionale, il presidente Franco Gallo ha esortato la modifica della legislazione che prevede l’attribuzione al figlio del solo cognome paterno. «L’attuale disciplina», ha detto, «costituisce il retaggio di una concezione patriarcale della famiglia», ricordando a tutti che la Corte aveva già auspicato l’approvazione di una legge che desse più considerazione al principio costituzionale di uguaglianza tra uomo e donna. Su questa scia è nata anche una petizione, lanciata da Equality Italia, per la difesa del cognome della madre. «Chiediamo che ci sia la possibilità di scelta del cognome (…) così che sia modificata l’attuale legislazione, figlia di una visione familiare superata dai tempi e dall’attuale organizzazione sociale», dice il manifesto per la raccolta firme. Tempi.it ha chiesto un parere al magistrato ed ex sottosegretario del ministero degli Interni Alfredo Mantovano.
 
Cambiare la tradizione italiana è davvero un’urgenza?
 Tutt’altro. Bisognerebbe capire se il cambio di cognome rappresenti un’urgenza per le famiglie, e sinceramente non credo che ci sia questa necessità. Non ci vedo dietro nessuna ideologia, è semplicemente una tradizione. Ogni paese europeo ha la sua, derivante dalla storia della nazione e dal suo contesto. Per esempio, in Russia i figli prendono il cognome del padre ma aggiungono un suffisso differente se si tratta di un uomo o di una donna. In Irlanda invece si appone una “o” apostrofata, alla quale segue il cognome del padre. In Spagna si abbina il primo cognome del padre con quello della madre e in tantissimi altri paesi del continente il figlio prende semplicemente il cognome del padre, come in Italia. Diverso è il concetto legato al cognome della donna coniugata, che dal 1975 aggiunge al suo quello del marito, ma all’anagrafe e in tutti i documenti conserva solo il proprio.
 
Come mai allora questo richiamo della Corte e la nascita di una petizione?
È un modo per svicolare sul tema effettivo della famiglia, sulle sue esigenze concrete, in primis il carico fiscale. Non si guarda al nucleo familiare unitario ma si vede la famiglia come la semplice somma dei singoli. Anche per questo il discorso sul quoziente familiare non è mai decollato del tutto. Si gira intorno ai problemi reali e se ne cercano di nuovi.
 
È la prima volta che si parla in questo senso del cognome della madre?
No, c’era già stato un accenno nella 15esima legislatura. Il dibattito era stato avviato parallelamente a quello sui “Dico”, unioni civili, ma poi è stato accantonato. Ora se ne torna a parlare anche per via del treno che sta passando, carico di tematiche su matrimoni gay, unioni di fatto e quant’altro. E si trascina dietro anche vagoncini più piccoli, come questo legato al cognome.
 
Che piega prenderà la vicenda?
Ho il massimo rispetto per la Corte costituzionale, ma chi ne fa parte dovrebbe controllare se una legge è conforme o meno alla Costituzione, non elargire auspici. Se ritiene che la tradizione del cognome del padre sia contraria alla Costituzione, dovrà poi dare un giudizio in merito a una sentenza. Il fatto che finora non sia mai accaduto niente del genere dimostra che non c’è l’urgenza di discutere di questa tematica.


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