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Ci risiamo. Si torna a parlare di letteratura femminile e letteratura maschile e, come periodicamente accade, c’è chi è pronto a esagerare. «Non mi interessano le scrittrici», ha detto in un’intervista al magazine online «Hazlitt» il canadese David Gilmour, scrittore, ex direttore del Toronto Film Festival, docente di letteratura all’università. «Preferisco fare lezione sugli scrittori che amo veramente. Sfortunatamente — ha spiegato — succede che nessuno tra questi sia cinese o donna». Nel dubbio di non essere stato del tutto chiaro Gilmour, che si occupa soprattutto di scrittori americani e russi, ha specificato che gli interessano soltanto «serious heterosexual guys: Fitzgerald, Cechov, Tolstoj». Ma anche Henry Miller e Philip Roth, che per lui rappresentano la quintessenza del vero maschio scrittore. Unica donna ammessa nel suo personale pantheon: Virginia Woolf.
La dichiarazione ovviamente ha scatenato il finimondo e accuse di sessismo, ignoranza, stupidità sono arrivate da social network e media vari. L’università di Toronto ha preso pubblicamente le distanze dalle affermazioni del professore che poi ha precisato all’«Huffington Post» che non c’era nulla di misogino nella sua dichiarazione, ma, semplicemente, la legittima affermazione di una predilezione per scrittori maschi, preferibilmente di mezza età: «Questo non significa che non esistano grandi scrittrici. Io però vorrei che gli studenti uscissero dai miei corsi pensando: devo leggere Cechov. Non lo penso per Alice Munro o Margaret Atwood o per qualunque altra scrittrice che ammiro e riconosco brava quanto un maschio, ma che non mi parla altrettanto profondamente».
La discussione esplode periodicamente. Qualche mese fa Wikipedia (spesso accusata di essere un club maschile visto che, secondo una recente ricerca di «New Scientist», il 90 per cento degli editor è maschio) ha tolto dalla voce «American Novelist » i nomi femminili per creare una nuova categoria: «American Women Novelists». «Una distorsione particolare che riflette una distorsione generale», l’ha definita Joyce Carol Oates, sottolineando quanto, in fondo, quest’idea delle scrittrici non all’altezza dei colleghi maschi resti latente.
In estate il mondo culturale americano si è diviso a proposito di Rachel Kushner, scrittrice quarantacinquenne che al suo secondo romanzo, The Flamethrowers, ha suscitato nei critici una domanda ancora più precisa: può una donna scrivere il Grande Romanzo Americano? Sì, secondo James Wood, che con i suoi articoli sul «New Yorker» è in grado di indirizzare il gusto letterario. Sì, anche per Jonathan Franzen, che l’ha definita una «narratrice prodigiosa». Ma c’è stato pure chi ha sostenuto che gli elogi dipendessero dal fatto che quello di Kushner è «un romanzo macho scritto da e su una donna». La scrittrice avrebbe scelto deliberatamente di narrare di motociclisti (la protagonista è una fotografa che attraversa in moto il deserto dello Utah), velocità, attivismo anni Settanta allo scopo di essere accolta nel flusso (maschile) del Grande Romanzo Americano che, nelle parole di Norman Mailer, dovrebbe essere «un libro capace di cogliere lo spirito del tempo e di trasformarlo». Scrivere il Grande Romanzo Americano significa presupporre di poter parlare a nome di un’intera nazione e che sia una donna a farlo, ha notato Salon.com, l’establishment culturale americano non è ancora in grado di accettarlo. «Il dibattito si è focalizzato su un punto — ha detto Kushner discutendo con Colm Tóibín al festival di Edimburgo — cioè che avrei usato “temi maschili”, ma per me non è così. Oppure, se lo è, significa che ho una parte maschile preponderante. Di certo non mi considero macho».
D’altronde in letteratura è innegabile che ci siano temi e generi considerati ingiustamente inferiori (il racconto breve è tra questi e gli editori sono i primi a non amarlo). Ma perché se una donna scrive di temi come i rapporti di coppia o la famiglia sta scrivendo un romanzo femminile, se, invece, se ne occupano Franzen o Eugenides siamo in odore di Grande Romanzo Americano?
«In teoria il rapporto tra le donne e la letteratura femminile è lo stesso che c’è tra il mare e la letteratura marinara, cioè nessuno — dice il critico Massimo Onofri —. Se dovessi scegliere tra gli scrittori italiani più importanti del Novecento metterei Elsa Morante accanto a Luigi Pirandello. Fatta questa premessa, però, nel senso dell’interpretazione il femminile è importante. Faccio un esempio: in Grazia Deledda, grande scrittrice nichilista, relegata dai suoi primi critici all’interno dei temi veristici e dannunziani, proprio l’essere donna fa sì che il meccanismo infrazione-espiazione che sta alla base del suo romanzo L’edera sia ancora estremamente attuale, mentre Il piacere di D’Annunzio non lo è».
Che dal punto di vista contenutistico esistano temi trattati più spesso dalle donne è facile da sostenere, secondo lo scrittore Giulio Mozzi: «Ma questo è un dato sociologico, non letterario. È chiaro che Emily Dickinson, che è stata reclusa tutta la vita, scrive del suo mondo interiore, ma escluderla dalla lista degli scrittori, o escludere Jane Austen, è da pazzi». Mozzi, però, vorrebbe ribaltare la questione. «Sulla scrittura femminile e sul suo specifico ci sono molti studi, a me sembra più interessante chiedersi se esista uno specifico letterario maschile». Mozzi da tempo cerca di indagarlo sul suo blog «Vibrisse», ma senza arrivare a una conclusione. «Quest’estate ho anche lanciato un giochino, prendendo spunto da un poeta francese, Clément Marot, che nel 1536 invitò i suoi amici poeti a comporre delle odi al corpo femminile, o alla sue parti, producendo un’antologia galante e divertente. Abbiamo lanciato un concorso, aperto a donne e maschi omosessuali, per comporre odi al corpo maschile. È emerso che, soprattutto per i dilettanti che non possiedono il mezzo tecnico, staccarsi da un lessico e da un immaginario mascolino, dalle forme in cui, tradizionalmente, è stata esposta la lode al corpo femminile, è impossibile. Insomma, le donne non hanno le parole per dirlo».
Una scrittura al maschile nel 2013 non esiste più, secondo Massimo Onofri. «Non c’è differenza, a mio parere tra Melania Mazzucco e Paolo Giordano, per dire di due scrittori italiani, diversi anche per generazione, che hanno affrontato nei loro ultimi libri la guerra in Afghanistan. Ma è indubbio che quella disparità che a lungo è esistita ha una ragione storica. E cioè che dal ’500 gli uomini sono stati dominanti nella scrittura, le donne hanno cominciato con la diaristica, la memorialistica e nel romanzo sono entrate tardi, da una porta più stretta, continuando a lungo a raccontare la loro vita interiore ed esteriore».
Cristina Taglietti