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"I Mastini del Dallas"(North Dallas Forty) (Prima ed. 1973),di Peter Gent
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Suicide Is Painless:
"La vita è una gigantesca partita di football".
"I Mastini del Dallas"(North Dallas Forty) (Prima ed. 1973),di Peter Gent
http://www.amazon.it/I-mastini-Dallas-Peter-Gent/dp/8896538432
Proseguendo in questo iniziale ma non casuale, excursus nella grande letteratura americana verista, settantesca, vi propongo un romanzo che ho potuto leggere soltanto di recente, perchè mai pibblicato prima in italiano, per quarant'anni. Un libro che lambicca nella mia mente da mesi per la sua quasi dickensiana capacità di esporre e restituire nella pagina scritta pur tradotta, un mondo di drammatica rapacità e mancanza sedimentale di sentimenti. Ambientando il tutto nell'ambito dell'universo eminentemente commerciale ed economico, dello sport professionistico americano NFL. Avevo visto oltre venticinque anni fa il superbo film che ne trasse il bravo Ted Kotcheff, con una bellissima squadra corale di protagonisti. Non potevo adesso esimermi dalla lettura del romanzo da cui venne tratto, e grazie a Blackswan per la segnalazione della sua pubblicazione, avvenuta il 29 agosto grazie alla piccola e benemerita casa editrice romana 66THAND2ND.
Ogni mattina Phil Elliot si sveglia con le narici piene di sangue e le giunture bloccate dall’artrite. Phil ha le «migliori mani di tutta la Nfl», il corpo devastato dai placcaggi e il problema di riprendersi il posto da titolare nell’attacco dei North Dallas Bulls. Pur di giocare è disposto a convivere con «paura e dolore», a imbottirsi di analgesici e fabbricarsi protezioni artigianali, più sottili della norma, in modo da recuperare la velocità che ha perso per via degli infortuni. Dopotutto il football è la sua vita. Ma il «vero divertimento» va in scena nell’attesa tra una partita e l’altra, con le groupie e i parassiti che circondano il club, le rivalità tra i giocatori, il braccio di ferro con i dirigenti, i postumi di un matrimonio fallito, le dosi di speed e mescalina per tirare avanti: un vortice di autodistruzione da cui Phil sembra poter fuggire solo grazie a Charlotte, una vedova di guerra incontrata per caso in uno dei deliranti festini della squadra.Attraversato dalle canzoni di Bob Dylan e dei Rolling Stones e dal soffio libertario della controcultura, I mastini di Dallas racconta l’altra faccia dello sport, mettendo a nudo le logiche del business milionario dietro le carriere degli atleti. Nel mondo del football Gent proietta con effetti grotteschi – come fa DeLillo in End Zone – le paranoie e le distorsioni di quel «complesso tecnomilitare» che era l’America ai tempi del Vietnam.
C’è un termine che ricorre con una continuità inquietante nelle pagine di questo romanzo : paura. Paura del dolore, paura di perdere tutto, paura di non essere all’altezzza, paura che la notorietà e il successo svaniscano, paura dei tifosi, paura di sè stessi, del proprio cinismo e indifferenza, paura dei compagni, dell’allenatore, paura di essere solo un ingranaggio senza identità in quella macchina da guerra letale che è una squadra di football. Da partita a partita, otto giorni in cui Phil Elliot, flanker dei Dallas Cowboys, racconta al lettore, in prima persona e senza fare sconti, le proprie paure di giocatore ed essere umano. Un terrore così radicato e invasivo che per combatterlo è lecito tutto : l’abuso di droghe e di medicinali, sbornie colossali, sesso d’accatto e tradimenti di ogni sorta. Il viaggio di Gent attraverso il mondo del football è tanto allucinato da lasciare il lettore senza fiato. Perché anche se siamo abituati a ipotizzare eccessi e bella vita legati agli ambiti sportivi che ci sono noti, I Mastini Di Dallas apre il sipario su una passata realtà (il romanzo si svolge alla fine degli anni ‘60) che nemmeno il più cinico di noi riuscirebbe a immaginare. I giocatori rappresentati dalla prosa cruda ed efficace di Gent sono gladiatori senz’anima che si muovono in un contesto deprivato da ogni forma d’etica che non abbia connotati paramilitari (giocare a football e combattere in Vietnam sono i due rovesci della stessa medaglia). Guerrieri che confondono la vita reale con il campo di battaglia, devastatori lanzichenecchi, stupratori seriali, tossici all’ultimo stadio, bestie da soma sfruttate da allenatori e dirigenti che non conoscono umanità e vivono di statistiche e filmati: questi sono i protagonisti di una settimana in cui lo sport è solo una punizione da scontare e l’abuso, di ogni tipo, è l’unica vera salvezza. Eppure, in un contesto tanto sordido, Gent riesce comunque a ricreare, attraverso le proprie malinconiche riflessioni, l’epica del football americano. Da un lato la coralità degli eccessi e del cinismo, dall’altro il soliloquio di un atleta atipico, inserito negli ingranaggi distorti del sistema, eppure consapevole della realtà e del proprio destino, capace ancora di uno scarto critico, di compredere la sottile linea di confine fra bene e male. In un mondo ipocrita, che in nome di Dio e del dio denaro, chiude gli occhi e accetta le peggiori turpitudini, Elliot ha ancora la forza per imboccare la via della salvezza. Ed è proprio questo suo percorso di crescita a condannarlo. A nulla valgono le sue indubbie doti di giocatore a mantenerlo all’interno del sistema, né pesano gli eccessi folli, peraltro condivisi coi propri compagni, a decretarne l’espulsione. Elliot viene messo fuori gioco, in un finale crudele e inaspettato, dalla sua incapacità a irregimentarsi, dalla sua propensione a scegliere l’individualismo critico rispetto alla stolida abnegazione verso regole che trasformano la passione sportiva in logica del business. In definitiva, per Gent lo sport diventa una sorta di metafora necessaria a rappresentare un periodo controverso della storia americana e lo scontro fra due culture agli antipodi: quella conservatrice, reazionaria e militarista connotata da un Texas retrogrado e violento, e quella nascente, hippie e libertaria, che risuona nelle canzoni di Dylan e nella testa di Elliot. Crudo, grottesco e sempre al limite, il romanzo di Gent è imprescindibile non solo per chi ama lo sport, ma anche per tutti coloro che vogliono gettare uno sguardo, cinico ma decisivo, su un’epoca di grandi cambiamenti che condurrà l’America e il mondo verso una nuova direzione.
Il libro di Gent fu pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1973. Solo adesso, a quarant’anni di distanza, viene edito anche in Italia.
Nel 1979, ne venne fatto un film straordinario e trascinante anche grazie alla colonna sonore del sommo John Scott, per la regia di di Ted "Rambo" Kotcheff, con Nick Nolte all'apice della sua bravura, nei panni di Phil Elliot.
Peter Gent, ovviamente un ex giocatore della Nfl (Dallas Cowboys, non a caso), è intanto scomparso a 69 anni nel 2011. Questa fu una sorta di autobiografia romanzata che, quando nel '73 uscì, destò clamore e suscitò polemiche per la sua crudezza ma ottenne anche un immediato successo tanto da spingere Hollywood e appunto Kotcheff, a farne la versione cinematografica uscita anche in nel '79.
Doveroso, un cenno biografico di Gent:
http://www.outsidethebeltway.com/wp-content/uploads/2011/10/peter-gent-1974.jpg
Figlio di un postino e di una segretaria scolastica, Peter Gent (1942-2011) è stato un flanker dei Dallas Cowboys negli anni Sessanta, «quando la difesa faceva ancora parte del gioco». La sua carriera si è conclusa prematuramente con un bilancio di due operazioni al ginocchio, varie dita e costole rotte e una serie di fratture del setto nasale. Nel 1973, dopo aver provato senza successo a rilanciarsi come commentatore tv, ha deciso di dedicarsi alla letteratura e immergersi «nell’oceano dei ricordi». «Scrivere è l’unica cosa che mette paura quasi quanto il football» rivela Gent nella prefazione al suo libro d’esordio, diventato anche un film con Nick Nolte: I mastini di Dallas è considerato uno dei ritratti più fedeli del professionismo sportivo, benché il presidente dei Cowboys abbia bollato il romanzo come «una colossale bugia» e l’autore come una mela marcia che voleva infangare la Nfl.
TorsoloMarioVanni
Suicide Is Painless:
Vi linko la recensione di Giovanni Marino apparsa su Repubblica.it del 08/08/2013, poichè è eccezionale, anche per come parla delle donne che appaiono nel libro:
Il fascino de "I mastini di Dallas"
l'America in una partita di football
Esce in Italia il romanzo (con chiari riferimenti autobiografici) di Peter Gent, ex giocatore Nfl dei Dallas Cowboys e poi scrittore. Il racconto di una vita in otto giorni dove avviene (proprio) di tutto
di GIOVANNI MARINO
Il fascino de "I mastini di Dallas" l'America in una partita di football
"La vita è una gigantesca partita di football". Il quarterback dei North Dallas parla con disincanto e un'insospettabile ritrovata lucidità al suo compagno di squadra, il wide receiver Philip Elliot. Sono stravolti. Come sempre, nelle loro esistenze folli e straordinarie, coraggiose e dissennate, esaltanti e deprimenti, gioiose e dolorose. Tutto attorno gira un mondo di eccessi, dove sesso, droga e dollari, si rincorrono senza alcun ordine e gradualità.
L'America violenta e ricca di contraddizioni degli anni Settanta raccontata, senza sconti, attraverso il formidabile escamotage del football americano. E' il libro "I mastini di Dallas", in uscita il ventinove agosto per l'elegante casa editrice romana 66THAND2ND.
Philip Elliot (interpretato al cinema da un credibile e ispirato Nick Nolte), voce narrante in prima persona, è in realta proprio Gent. Come lui gioca a Dallas. Come lui è un wide receiver, un ricevitore: gli tocca cioè il compito di catturare i lanci, spesso missili, del quarterback e tradurli in touchdown evitando severissimi placcaggi di difensori che vanno letteralmente a caccia di te. Come lui, ha una vita disordinata, segnata da tempestosi legami sentimentali, un divorzio e tanta, tanta confusione.
Ma non si può non tifare per Philip Elliot durante le vertiginose 183 pagine che raccontano otto giorni della tempestosa esistenza del giocatore Nfl. Otto giorni in cui accade di tutto. Da lunedì al lunedì successivo con lo sfondo del Texas dei palloni gonfiati ricchi come Creso e delle persone perbene destinate ineluttabilmente a soccombere o a sopravvivere nella migliore delle ipotesi; del razzismo mai sopito e degli abusi di polizia sui più deboli; di una società falsa e iper competitiva che vive di mezzucci e ricorre costantemente ad alcol e droghe.
Philip è un buon diavolo, preso nel bel mezzo di questo vortice. D'accordo, è sconclusionato, autolesionista, incapace di valorizzare il suo talento, spesso sottovalutato e strumentalizzato ma sa ancora lottare per riavere il suo posto in squadra, ama nell'essenza lo sport e non ha mai cattivi sentimenti. Tutto questo lo rende vero e terribilmente vicino a molti di noi.
C'è ovviamente, anche tanto football nel libro, uno sport spesso e volentieri colpevolmente equivocato dai media italiani, una disciplina, assieme, intelligente e violenta, dura e solidale, tecnica e fisica. "Scrivere I Mastini di Dallas - ricordava dalla Contea di Van Buren, Michigan, Peter Gent nel luglio del 2003 - mi ha concesso il raro piacere di immergermi nell'oceano di ricordi di quegli anni di vita dura, violenta, dolorosa condivisa con quaranta tra gli uomini più affascinanti, intelligenti, astuti e pericolosi che abbia avuto, prima e dopo, la fortuna di frequentare. Erano giocatori di football".
Elliot ha delle mani fantastiche, una presa sicura anche in condizioni di gioco difficili, è un gran wide receiver, il migliore probabilmente. Ma alcuni tremendi infortuni ne hanno minato il fisico e il suo coach, cinicamente, lo utilizza solo nelle situazioni disperate, quando è spalle al muro.
Lui, nonostante gli acciacchi del corpo e della mente, non si arrende e tra cocktail di antidolorifici (droghe in realtà e anche molto potenti), compagni di squadra che definire matti sarebbe un eufemismo, allenatori e dirigenti che valutano gli uomini come merce e null'altro, donne disposte a tutto e donne pericolose, notti insonni a combattere con i suoi fantasmi e con una realtà bastarda, cerca, ostinatamente, a suon di touchdown, di riconquistare il posto di titolare che gli spetta.Tutto in otto giorni.
In otto giorni dove vittoria e sconfitta si sostituiranno costantemente senza dare mai certezze. Come, poi, avviene in quella "gigantesca partita di football" che è la vita.
g.marino@repubblica.it
@jmarino63
(08 agosto 2013)
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