Cinema, uomini, e solitudini:
"il Grido", Drammatico, Michelangelo Antonioni, 1957, [Italia]
Tanta attenzione è stata rivolta alla successiva "trilogia dell'incomunicabilità", di Michelangelo Antonioni, che i suoi precedenti film neorealista degli anni cinquanta sono stati a volte un pò trascurati, come se fossero un lavoro di preparazione all'affermazione piena del suo talento. Ma, anche se non così consapevolmente 'sperimentale' in questi film, come lo sarebbe stato nei film della trilogia suddetta de "L'alienazione" ("L'Avventura", "La Notte" e "L'Eclisse"), e nei classici successivi come "Blow-Up" e "Professione: Reporter", i suoi film precedenti erano visivamente splendidamente composti e giocavano magistralmente con le emozioni degli spettatori, dando ai loro personaggi situazioni che potrebbero essere vere, grazie alla eccellente scrittura delle situazioni che li coinvolgono. Che la carriera cinematografica di Antonioni fosse iniziata lavorando nel campo del documentario non dovrebbe essere una sorpresa per chi ha familiarità con i suoi film precedenti, come questo.
Uno dei migliori di questi film è appunto stato realizzato nel 1957 in bianco e nero, e si intitola "Il Grido", che Antonioni ha anche scritto, insieme a Elio Bartolini e Ennio de Concini. Lungo quasi due ore, è un film che ha molto in comune con l'altro classico di Federico Fellini del 1954, "La Strada", salvo che il film di Antonioni è completamente verista e procede meno palesemente attraverso momenti strappacuore. Si prefigurano anche molti dei temi che ricorreranno nei lavori successivi di Antonioni, come l'alienazione, la solitudine, l'apatia e l'anomia, e così come possiede anche un fronte politico che ai film successivi manca.
Il personaggio principale è una piccola città (baracche in realtà cadenti, e capanne) di lavoratori in una raffineria italiana,nella quale lavora un operaio meccanico di nome Aldo, interpretato dallo scomparso attore americano di B-movie Steve Cochran, che risulta assolutamente credibile come italiano. La sua notorietà era per lo più legata ai film di gangster, mentre qui egli interpreta un membro del proletariato nel dopoguerra italiano, in quanto il paese è proprio sul punto di tirarsi fuori dalla sua lunga crisi economica. Aldo ha intrattenuto una lunga relazione con una donna bionda più grande di lui e molto sexy di nome Irma, interpretata da Alida Valli. Irma, che però, è sposata, e ha suo marito via da sette anni,a lavorare in Australia, permettendo così ad Aldo di essere stato il suo amante a volontà. La coppia ha anche avuto una bionda bambina, di nome Rosina (Mirna Girardi).
Come si apre il film, Irma scopre che il marito è morto in un incidente, lì agli antipodi, e Aldo è felice, pensando all'idea che adesso potranno dunque sposarsi. Ma Irma, aveva con lui sempre barato e così, adesso ella vuole lasciare la città, e portare la figlia con sè. Aldo esplode, e dopo un pò di questi suoi abusi la schiaffeggia ripetutamente davanti a tutti, in una strada del paese, momento il quale Irma lo scarica definitivamente, in una scena raggelante. Come vendetta, Aldo prende Rosina, e partono insieme, spostandosi in un viaggio che perdura per mesi sulle strade, dopo aver lasciato il proprio lavoro. Le loro avventure insieme ricordano sia "Ladri di biciclette" di Vittorio De Sica che "La Strada", per il cameratismo mostrato della coppia. Aldo si dirige verso un'altra piccola città per incontrare una sua vecchia fiamma, Elvia, interpretata in modo convincente da Betsy Blair, un'attrice americana trapiantatasi in Italia in quelli anni. Ella è entusiasta al fatto che lui si fermi da lei. Sembra che Aldo sia uno di quegli uomini con le donne del suo passato sparse ovunque, le quali sarebbero pronte a rivolerlo indietro un baleno. E anche se questo non è forse credibilissimo, proprio come le cose tra di loro sembrano andare bene quanto l'affetto che nutrivano un tempo, il suo passato ritorna, anche se a sua insaputa. Irma si presenta con una valigia piena di vestiti per lui e Rosina. Come lei stessa spiega le circostanze della sua rottura, Elvia realizza che Aldo non ha fatto ritorno per lei, si infuria e decide di rompere di nuovo. Ma non prima che la sua sorella minore Edera, (Gabriella Pallotta), flirti con lui, dopo che ella torna a casa da una serata in città. Aldo corrisponde, un po ', poi lei si rifiuta, e ride mentre lui si ferma per dormire su una poltrona. La mattina dopo scopre che egli se ne è andato. Elvia conosce il vero motivo, ma c'è uno sguardo di angoscia negli occhi di Edera che rivela di credere lei quale causa della scomparsa di Aldo dalla vita di sua sorella, con i suoi flirt o per la avvenuta ridicolizzazione della sera prima, per colpa della sua castrante risata. E' in piccoli ma grandi momenti come questo che la differenza tra gli appunto grandi e i registi semplicemente medi si mostra pienamente, e tradisce sullo sfondo anche la formazione di Antonioni come documentarista che annota, osserva, anche le più piccole azioni tenendo le chiavi di un personaggio, storia, o anche solo raccontandone un suo momento psicologico.
Tornati sulla strada, e tre mesi che sono nel frattempo passati, Aldo e Rosina dopo aver fatto autostop stanno viaggiando pericolosamente sopra ad una autocisterna di benzina, se mai vi fu un modo pericoloso di viaggiare. Devono poi fermarsi in una stazione di benzina lungo un tratto di strada situato in mezzo al nulla, nelle grigie e brumose langhe padane, nella quale Aldo incontra ed entra in sintonia con una vedova di nome Virginia (la splendida Dorian Gray, doppiata dalla futura musa antonioniana Monica Vitti), che ha venduto la sua azienda agricola di famiglia quando è diventata vedova, comprando la stazione di servizio per sostenere il suo vecchio padre (Guerrino Campanini ),un orgoglioso pazzoide in frequenti scontri con i vicini, il quale fa sì che i camion di frutta rovescino il loro carico, e tante altre cose stravaganti che attirano Rosina a lui, come ad un nonno surrogato, fino a che verrà però spedito in un ospizio per anziani. Naturalmente, Aldo e Virginia si mettono assieme, fino a che Rosina li sorprende, un giorno, ad amoreggiare in un campo. Questa è la scusa con cui Aldo deve abbandonare la vedova. Lo fa, e dopo aver mandato Rosina a Irma su di un autobus, finisce in una piccola città di pescatori, dove si riprende con la locale "signora della notte", una giovane donna di nome Andreina, interpretata da un'altra attrice americana Lynn Shaw.
Tuttavia, egli non può stare con Andreina, sia per la sua disintegrazione personale che si è spinta troppo oltre, sia per il fatto che per essa lui non è niente, come invece era per le altre donne della sua vita, così egli decide di tornare da sua figlia e da Irma, alla quale ovviamente non è mai realmente mancato. Sulla via del ritorno nella sua città natale ha vari intoppi lungo il percorso che lo fanno fermare di nuovo alla stazione di servizio di Virginia, con lo scambio di due commenti sarcastici, su come egli riottenga la valigia che aveva dimenticato. Quando torna nella sua città, la trova transennata dalla polizia, dato che la popolazione evacuata sta per assistere alla demolizione al suolo del suo vecchio aeroporto militare. Aldo vede la testa di Rosina nella casa di sua madre, e quando appare nella finestra vede anche che Irma ha un nuovo bambino. Aldo assume dentro di sè la peggiore delle tristezze, messo dinnanzi al fatto che ella è per lui ormai definitivamente passata, facendo sì che risoluto, si diriga verso il suo vecchio posto di lavoro, la torre della raffineria, laddove il film si era aperto, e si arrampichi sù per gli scalini di metallo. La raffineria è deserta. Irma lo ha però visto anche lei attraverso la finestra e lo insegue fin lì. Lo chiama mentre lui è già in cima alla torre, dove è ormai arrivato. In precedenza, aveva già detto che Andreina amava quel posto perchè gli dava una sensazione di potenza (così come il motivo finale manifesta, invece una realtà di totale sconfitta, e debolezza). Aldo sente e vede là sotto Irma, ma è talmente sconvolto di averla persa per sempre che sembra così stordito, si tiene una mano alla testa, che come lasciandosi, precipita schiantandosi proprio ai piedi di Irma inorridita. Il film finisce qui.
Molti critici hanno sempre visto il finale che mostra Aldo suicidarsi, come chiaramente una morte accidentale, forse perchè nell'Italia degli anni '50 esso, il togliersi la vita volontariamente, era ancora in gran parte tabù. Ma questa interpretazione è chiaramente solo nella mente di coloro che l'hanno voluta vedere così. Solamente e come nelle intenzioni di Antonioni, l'idea che Aldo è un'altra delle infinite vittime del proprio status sociale ha merito, e credito, anche se l'idea del suicidio può essere da molti respinta quasi universalmente perchè fastidiosa, nella sua tristezza. E anche se un operaio specializzato, Aldo, come ormai unico genitore, non può tornare sui suoi passi, e deve rifiutare i lavori che avrebbe potuto accettare se fosse stato solo e senza la bambina da accudire. Il film si concentra anche sulla classe operaia d'Italia, non molto più tardi l'attenzione di Antonioni si sarebbe interessata anchr sull'inattività soprattutto emozionale e sentimentale, della borghesia. Ma, a leggere troppo ideologicamente questo grande e personale film ci si allontana troppo anche dalla eccellente recitazione di un sorprendente Cochran, che è sì ovviamente doppiato in italiano dal grande Otello Toso, così come tutti gli altri attori soprattutto americani che sono stati quasi sempre doppiati, nel cinema italiano. Che Cochran abbia avuto un grande colpo di fortuna nell'ottenere questo ruolo dopo una lunga carriera interpretando personaggi forti ma abbastanza monodimensionali e intercambiabili, dimostra una volta di più quanto la carriera di un attore è dipendente dalla fortuna, come per qualsiasi altra persona in qualunque cosa.
Del film ci sono varie edizioni in dvd, ma la migliore almeno fino a poco fa e ante-avvento del Blu-ray, come ormai quasi norma per i classici italiani non è un'edizione nostrana, ma quella edita dalla statunitense Kino Video, che non ha assolutamente nessun extra, ma però un' eccellente qualità audio-video, da una copia totalemente restaurata nei suoi contrasti, splendore e corposità del bellissimo bianco-nero di Gianni Di Venanzo, e la curiosità degli originali sottotitoli ottici bianchi degli anni cinquanta, in inglese, per l'esportazione, che sono pure interessanti da guardare, perché a quel tempo apparivano sullo schermo per un periodo più breve rispetto alla maggior parte dei sottotitoli elettronici moderni, come da dvd, e perché sono quelli originali impressi sulla pellicola, così da non potere essere tolti. La stampa è come detto completamente ripulita e senza neppure un graffio per un film di ormai 57 anni fa,restituendoci tutta la bellissima, fangosa qualità della sua fotografia nelle Langhe. Eppure, tutta questa grandezza fotografica non distrae come potrebbe sembrare, ma è anzi un tocco aggiunto al realismo documentaristico e che tocca indissolubilmente l'intero film, anzi, la fangosa fotografia ne accentua le proprie tristezze, degli spesso nuvolosi e desolati paesaggi di Antonioni, catturati nella Pianura Padana e in particolare nella provincia di Bologna (dove Antonioni aveva anche girato il suo primo documentario durante la WWII, il meraviglioso "Gente Del Po"). Queste inquadrature di paesaggi industriali depressi avvolti nella nebbia donano a tutto il film uno stato sognante, non diversamente da quello del "Vampyr" di Carl Theodor Dreyer. Gianni de Venanzo come detto fece al suo solito un lavoro eccellente come direttore della fotografia, premiato con il Nastro d'Argento 1958, ma ancora meglio è la partitura musicale, soprattutto l'angosciato tema per pianoforte alla Erik Satie, composta dal grande Giovanni Fusco, anch'egli premiato con il Nastro d'Argento alla colonna sonora, che dettaglia ancora meglio il tumulto interiore di Aldo, rendendolo ancora più convincente.
Il film è stato paragonato, in alcuni ambienti, alle opere scritte da Samuel Beckett, e questa è una delle rare volte che tali confronti sono accettabili. No, i paesaggi di Antonioni non sono però così tetri, né i suoi personaggi sono anzi mai satirici, come in Beckett, però gran parte del film è innegabilmente anche un viaggio fisico verso il nulla, nel quale Aldo finisce per ritornare da dove era esso iniziato, salvo scoprire di non avere assolutamente più posto, lì. "Il Grido" non è uno dei titoli di Antonioni così universalmente lodati tanto quanto i suoi film successivi, ma è ancora meglio che il film seguente, il celeberrimo "L'Avventura" (1960)- che lo aveva visto rompere con il suo passato totalmente, anche se con qualche pausa meno riuscita-, e arrivare forse mai più così compiutamente, alla grandezza. Soltanto già per il suo brusco e disperato finale, "Il Grido" può però ad esempio sostenere il confronto con un altro capolavoro, quale "Rashomon" (1950) di Akira Kurosawa, che si può dire possegga una conclusione simile.
"Il Grido" contiene anche molti momenti che mostrano quale buon sceneggiatore fosse Antonioni, come nella scena di un uomo che entra brevemente in casa di Elvia, chiedendole un appuntamento, andare a vedere un film o a ballare, e lei che lo respinge per la sua casuale proposta, in quanto deve uscire già con un altro, e rispondendogli che potrà uscire con lui domenica sera. Egli allora si fa beffe cinicamente che la sua promessa sara' come quella di "ogni altra domenica''. In quella breve scena, attraverso un personaggio minore quale quello di Elvia, e un piccolo carattere senza nome, sappiamo che tutti hanno bisogno di di Elvia, che lei è ancora ossessionata per Aldo, come quando la vediamo ballare con lui nella scena successiva, e che il suo malessere in quanto ella sa anche che la sta utilizzando solo per dimenticare Irma, è genuino. Non c'è bisogno di un flashback sul passato di Elvia con l'altro uomo, grazie a quella breve scena ne possiamo conoscere il commento con il quale lo riassume, con una meravigliosa poesia e concisione, Antonioni. Sarebbero più che mai tanti, i registi del disastrato cinema italiano attuale, a dover imparare le lezioni che Antonioni ha mostrato oltre mezzo secolo fa, con "Il Grido", ma praticamente nessuno di loro sarebbe in grado di realizzare, oggi, un film di tale altissima qualità, e pochi sarebbero in grado solo di coglierne la dimostrazione qui, della sua grande arte cinematografica.
Avellino neorealismo Film Festival Anno 1959
Ha Vinto a Laceno d'Oro a Michelangelo Antonioni
Sindacato Nazionale Italiano Giornalisti Cinematografici Anno 1958
Ha Vinto il Nastro d'Argento Migliore di Fotografia) Gianni Di Venanzo
Nominato al Nastro d'Argento Migliore Colonna Sonora (Migliore Musica) Giovanni Fusco
Locarno International Film Festival Anno 1957
Ha Vinto il Primo Premio a Michelangelo AntonioniLe riprese si svolsero tra il Veneto e l'Emilia-Romagna nei paesi di Stienta, Occhiobello, Pontelagoscuro, Ravalle, Copparo, Porto Tolle, Porto Garibaldi e Francolino. Il film è stato selezionato tra i 100 film italiani da salvare.
Ha Vinto
il Primo Premio
a Michelangelo Antonioni
Le riprese si svolsero tra il Veneto e l'Emilia-Romagna nei paesi di Stienta, Occhiobello, Pontelagoscuro, Ravalle, Copparo, Porto Tolle, Porto Garibaldi e Francolino.
Il film è stato selezionato tra i 100 film italiani da salvare.
TorsoloMarioVanni
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